XXXI

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Ella Lyudmila Ivanov, paese remoto vicino a Belfast, Irlanda del Nord.

Dopo aver messo k.o. Noah O'Crowley la curiosità della mia quasi prigionia iniziò a mangiarmi viva da metà del pomeriggio. Ero curiosa perché nonostante ciò che Noah avesse dovuto fare con me, sapevo che non avrebbe alzato un solo dito sulla mia persona. Avrebbe potuto farlo in un milione di occasioni, eppure era rimasto in disparte e questo mi diceva molto sulla mia permanenza in quella camera lussuosa.

Mi sollevai dal letto, arcistufa di quelle pareti, e spalancai la porta. Dietro di essa trovai il tizio con il capellino da baseball, inarcai un sopracciglio in segno di sfida e l'uomo sorrise sardonico, mi spostai di lato e mi seguì.

"Non credevo di essere prigioniera." Incrociai le braccia al petto. "Non in questo modo almeno."

"Consideralo un omaggio dopo la tua uscita del pomeriggio."

No, quel tipo non mi piaceva, come non mi piaceva quel suo sorrisetto nella penombra del cappellino da baseball.

"Questo pomeriggio." Inarcai un sopracciglio e mi avvicinai. "Ho solo dato a Cesare quel che è di Cesare, se sai cosa intendo."

"Certo che sono cosa intendi." Corrugò le sopracciglia. "Mi credi uno zoticone?"

Sfruttai quella sua confusione per fare un passo avanti.

"L'hai detto tu non io"— sollevai le mani al cielo e iniziai ad incamminarmi lungo il corridoio—"in questo posto c'è del cibo?"

"Devi tornare in camera."

Mi fermai a metà corridoio e sfoggiai un ghigno alla Mikhail.

"Mi ci dovrai trascinare, Kieran," ringhiai il suo nome e sorrisi diabolica, gentile retaggio di mio padre. "E, ti avverto, so dove colpire."

Gli diedi le spalle e ricominciai a camminare lungo i corridoi di quella villa con il tipo alle calcagna, ma non avevo proprio idea di dove andare e voltato un ennesimo angolo, di un ennesimo corridoio perfetto, incontrammo altri cinque ragazzi.

"Kieran, vedo che fai il baby sitter," disse uno di quelli in seconda fila. "Con il nuovo regalino di Noah."

Mi morsicai il labbro per evitare di rispondere, perché ero abbastanza saggia da sapere che una prigiona, per quanto fosse lussuosa la gabbia, sarebbe stata pur sempre una prigionia.

"Ma è vero che hai lanciato un bicchiere a Noah?" Il più giovane, addossato alle pareti con le guance dolcemente rossastre per colpa dell'acne, ma bello quanto gli altri mi sorrise con sincero divertimento. "Dannazione, avrei voluto presenziare."

"Avrei pagato dieci sterline per assistere alla fine di quella faccia perfetta," parlò un terzo. "Nostro fratello è semp-

"Fratello?" Inarcai le sopracciglia. "Tutti voi siete fratelli?"

Fissai Kieran stralunata e poi le varie sfumature bionde dei ragazzi.

"Tutti fratelli."

"Mio Dio." Mi appoggiai una mano sul petto. "Vi prego, ditemi che avete una madre diversa almeno."

Sette figli erano troppi anche per una donna la cui unica tecnologia era un'antenna radio. I ragazzi si guardarono e scoppiarono a ridere di gusto e quasi li odiai. Percepii un po' di rossore dipingermi le guance per colpa del mio errore.

"Tre madri diverse, per la precisione." Uno dei sei mi fece un saluto militare e lasciai il fiato che avevo trattenuto. "Piacere, sono Adan."

Il tizio da cui doveva andare Kieran.

"Emmett."

"Finn." Il più giovane mi fece un mezzo inchino. "Piacere di conoscerti, Ella."

Assottigliai lo sguardo con stizza.

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora