Prologo

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Ella Lyudmila Ivanov, Juilliard, New York.

Ero nata e i miei genitori non sapevano nemmeno che dovessi venire al mondo, il medico di famiglia aveva avuto qualche problema all'epoca ed il parto di mia madre era stato piuttosto stravagante.

Una biondina con i capelli a caschetto che nel passatempo dissezionava i corpi, era stata così in gamba da tirarmi fuori e farmi incontrare il sole russo insieme a mio fratello gemello. Gennady Andrej Ivanov.

Per lui la strada era stata piuttosto semplice: cresciuto come un vero ragazzo della nostra famiglia, a sedici anni aveva varcato la porta del campo di addestramento ed era diventato un vero e proprio uomo d'onore e medico. Il figlio perfetto insieme ad Aleksei e Fillip, di qualche anno più piccolo.

Per me non era stato così: mia madre, per la quale nutrivo, e nutro, un sincero e profondo rispetto, aveva dovuto convincere il grande Dimitri a lasciare che studiassi lontano dalla Russia. Da piccola avrei voluto diventare medico come il mio gemello; in quel periodo, avevo avuto davvero una grande vocazione, ma poi mi ero resa conto che la mia strada fosse un'altra, che tutti quei riflettori sulla mia famiglia avrebbero potuto farmi diventare una grande musicista e avevo colto la palla al balzo. Mi ero trasferita in America, ero entrata alla Juilliard per merito e a ventitrè anni stavo studiando il violino.

Sarei tornata a Mosca solo quando ogni centimetro della grande mela avrebbe conosciuto il mio nome: Ella Lyudmila Dojcov, la grande violinista.

Già, purtroppo, per poter vivere allo scoperto e frequentare posti di quel genere, non avevo potuto utilizzare il mio vero cognome. Era stato un compromesso voluto da mio padre: vuoi vivere fuori dalla Russia, Ella? Vuoi farti una carriera? Allora sappi che dovrai rinnegare chi sei, almeno in parte.

E, Dio, aveva fatto male rigettare le mie radici, la mia vita, il mio collegamento con la Drakta, perché per quanto quel mondo fosse psicotico era parte di me, ma volevo studiare, volevo davvero diventare qualcuno grazie alle mie sole doti e per questo avevo accettato i nuovi documenti fornitomi da zio Mikhail con gratitudine.

Nonostante tutto, i miei genitori erano stati
felici lo stesso, ma non era stato semplice, iniziare a vivere in un paese che aveva tolto tanto alla mia famiglia non era stato per nulla semplice, ma necessario. Necessario perché ad un certo punto, su un certo palco, avrei gridato al mondo la mia vera eredità e lo schiaffo morale alla mafia italiana sarebbe stato plateale.

Quale pecca per codesti uomini, se non far crescere, maturare e splendere una stella russa? Una stella che pensavano di aver spento per sempre?

E fu proprio in nome della Drakta e del mio futuro 'colpo di stato', che avevo accettato di gareggiare per uno stupido concorso che mi avrebbe portato a Las Vegas; forse era stata una mossa azzardata, anzi sicuramente, perché quando varcai la soglia del locale in cui avrei dovuto suonare, mi si gelò il sangue alla vista di quegli uomini.

"Ella?" La violoncellista al mio fianco mi diede una gomitata. "Ella, il signor De Mattheis ti ha chiesto come è andato il viaggio."

Spaesata, mi inumidii il labbro inferiore e pregai che il mio accento fosse mascherato dai tre anni vissuti in America.

"Molto bene grazie." Rifuggii lo sguardo ambrato dell'uomo di fronte a me e sorrisi alla violoncellista, Clare. "Sarà il caso che segua il maestro."

"Oh, signor De Mattheis, dovete sapere che Ella è la violinista più giovane della nostra orchestra," gongolò Clare e per un attimo sperai che si strozzasse, ma non conosceva davvero chi fossi come non conosceva chi fosse l'uomo con cui parlava. "Dovete essere molto lusingati dalla sua presenza."

Con timore per la mia copertura le appoggiai una mano sulla spalla.

"Basta così, Clare; troppi complimenti rischiano di montarmi la testa."

Ancora una volta, lasciai che gli occhi ambrati mi assestassero ma non leggessero nulla delle mie intenzioni.

"Come sei modesta."

"Come hai detto che ti chiami?" L'interesse del giovane uomo esplose alle stelle quando incontrò i miei occhi azzurri, retaggio russo degli Ivanov, ma non mi permisi di dubitare di me stessa, così sorrisi con le labbra carnose della mia parte italiana. "Ella Dojcov."

"Dojcov?" Assaggiò il nome ma non trovò corrispondenza nella sua mente, perché mio zio era stato fin troppo bravo quando aveva costruito i miei documenti. "Mai sentito, da dove viene?"

"È serbo, non è molto utilizzato, soprattutto in Russia, sono di in un piccolo paesino vicino a Novosibirsk." Lontano, lontanissimo dalla Mosca dei miei genitori. "Non mi sorprende che non lo conosciate."

Il ragazzo sorrise con una punta di sospetto, ma sembrò non interessargli indagare oltre.

"Sono Jack De Mattheis." Infossò le mani nelle tasche e fece un cenno nella direzione dell'uomo anziano. "Quello è mio padre, Roberto De Mattheis, per qualsiasi problema rivolgetevi a lui."

Deglutii dei cubetti di ghiaccio ed in qualche modo la mia espressione rimase neutrale. Sapevo chi fosse perchè da non più di cinque anni i De Mattheis governavano la costa e l'entroterra dell'America e proprio su loro ordine un gruppo di musicisti della Juilliard avrebbe dovuto intrattenere per un mese, un mese intero, i clienti dei De Mattheis tra cui figuravano anche persone di spicco dello spettacolo e della politica.

Per il mondo, i De Mattheis erano imprenditori e costruttori, per me, la combinazione peggiore: la criminalità irlandese unita a quella italiana.

Ero sbarcata nella tana dei Leoni di San Patrizio e potevo solo pregare di salvarmi.


ANGOLO AUTRICE🤩:
Come potete notare non sono riuscita a tenere fede al mio intento, ma purtroppo, considerate anche le altre due storie, gli aggiornamenti saranno lenti.

Spero comunque che abbiate gradito la sorpresa!!!

P.S. Ho notato dopo che il correttore ha scritto James, ma è Jack

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora