XLIX

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Ella Lyudmila Ivanov, Casa Sicura, paese remoto vicino a Belfast, Irlanda del Nord.

Guardai il calendario appeso alla parete della stanza di Noah e sospirai. Era trascorso un mese, un mese in cui vi era stata calma piatta e trenta giorni in cui l'Irlanda aveva vinto ogni partita, grazie al talento del giovane O'Crowley.

Oggi era la notte della finale, la grande partita che avrebbe decretato la vittoria del campionato e siccome veniva disputata in Francia e contro la Spagna, il fuso orario ci permetteva di assistere senza problemi. Tutta la casa sicura avrebbe partecipato alla serata.

Liam, il più giovane degli O'Crowley, mi aveva addirittura comprato un vestito verde e mi aveva convinto a farmi dipingere le unghie di arancione da Shannon, che avevo imparato a conoscere meglio in quel mese di solitudine, perché a detta sua stavo davvero diventando irlandese, a cominciare dal fatto che stessi apprezzando la loro birra ogni sera più della precedente.

Scuotendo la testa e dandomi un'ultima occhiata allo specchio, chiusi a chiave la porta della stanza e mi incamminai nel grande salone.

"Ella!" Incontrai Liam a metà dell'ultimo corridoio. "Ella, vieni, stanno per scendere in campo!" Mi trascinò con forza e mi fece accomodare al centro del divano. "Guardalo! Guardalo lì mio fratello, non è un figo spaziale?"

Scoppiai a ridere per la sua agitazione. "Oh, lo vedo." Ed era davvero bellissimo, con i capelli un pelo più lunghi del solito, tirati indietro da una fascetta bianca, che gli rendeva assolutamente giustizia nel grande schermo. "Lo vedo," mormorai e Adan mi diede di gomito.

Quando Noah iniziò a riscaldarsi notammo tutti una giornalista avvicinarsi al perimetro del campo e gesticolare nella sua direzione; come un corpo unico ci allungammo verso il gigantesco televisore al plasma, che Emmett aveva trasportato solo per quell'occasione nel salone, insieme a tavolini ricchi di pietanze in cui bazzicavano i bambini più piccoli, che tra meno di qualche ora si sarebbero addormentati; aguzzammo le orecchie per cercare di comprendere la curiosità della biondina.

"Lei è la giornalista irlandese," disse qualcuno alla mia destra. "Quella famosa."

"Seee, Charles." Liam lanciò un pugno di popcorn all'uomo al suo fianco. "Lo sappiamo tutti chi è Hilary Johnson, la giornalista famosa per le sue storie con i calciatori." Mi diede di gomito. "Ogni volta che gioca Nah"—diminutivo di Noah—"è sempre in campo."

Ingoiai un grosso boccone amaro e pensai all'anello che avevo lasciato sulla scrivania della camera di Noah, ma quello era sempre stato il mio punto debole: la fiducia e non perché Noah non mi avesse dimostrato che ci tenesse, quanto più perché conoscevo il mondo dei ricchi e chi bazzicava quel genere di scenario. Ripensai intensamente all'anello, soprattutto quando la biondina sorrise a quello che ormai decretavo il mio ragazzo, ripensai alla bella pietra adagiata sul fondo di un cassetto in mogano e sospirai. Non volevo indossarlo e non perché non ero felice del significato, quanto più perché un mese lontano erano sempre trenta giorni in cui tutto poteva cambiare.

"Allora, O'Crowley, come la vedi questa partita?" La voce starnazzante della giornalista saturò il salone, in cui tutti erano improvvisamente diventati muti, anche i bambini. "Pronto per farci sognare ancora?"

Noah scrollò le spalle come se la domanda non lo toccasse minimamente e nella mia mente lo ringraziai.

"Farò del mio meglio come ho sempre fatto e mi impegnerò come i miei compagni di squadra."

Un altro calciatore si avvicinò e si lanciò sulle spalle di Noah.

"Viva l'Irlanda!"

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora