XL

3.8K 198 11
                                    

Gennady Andrej Ivanov, Villa Ivanov, Mosca, Russia.

Quella notte avevo ordinato ad un nostro autista di guidare fino al cimitero di Mosca, quello della parte nord e avevo portato con me Laoise, perché era necessario che sapesse il reale motivo del mio comportamento; mio padre non era stato d'accordo sull'uscire allo scoperto dopo nemmeno settandue ore che eravamo tornati in Russia, ma la necessità impellente di rilevare quella parte della mia vita era diventata soffocante e il miglior modo per garantire la mia lealtà era recarsi in quel luogo tetro e misericordioso.

"Perché mi stai portando in un cimitero?" Bisbigliò schivando una lapide. "Gen?"

Deglutii a vuoto e non incontrai i suoi occhi. Mi ero sempre ritenuto un uomo d'onore con le palle, ma forse avrei dovuto riconsiderare l'opinione che avevo di me stesso.

"Perché ho bisogno che tu sappia la verità e la verità la possiamo trovare solo qui."

La guardai da sopra la spalla e con i capelli neri che si muovevano in perfetta sincronia con il vento che soffiava da est, chiuse la bocca formando una lunga linea dritta e mi guardò apertamente. Nei suoi particolari, occhi color whiskey, esplose una scintilla di incertezza, ma non le permisi di dubitare, evitai di pensare, e la sospinsi a seguirmi. Mi avviai verso la tomba in cui giaceva Inessa; o almeno, dove venivano conservati i resti di quella che era stata la bellissima ragazza.

In una piccola parte della mia mente mi resi conto della delicatezza di Laoise, quando mi avvicinai alla tomba per sistemare il fiorellino rosso, ma registrai solo qualche secondo più tardi che rimase un passo indietro, raccolta ed in silenzio.

"Non lo sapeva nessuno," mormorai e mi inginocchiai davanti alla lapide, spolverandola e ripulendola. "Nessuno della mia famiglia conosceva Inessa." Presi un respiro tremante. "Ha vissuto solo sei mesi..."

E poi le raccontai in inglese tutto quello che era successo. Tra noi due l'ostacolo della lingua non sembrava essere un problema, perché l'educazione dei miei genitori era stata rigida, ma giusta e avevamo una cultura a trecentosessanta gradi, dunque parlavamo fluentemente l'inglese e un pizzico di francese e spagnolo, oltre al russo. Parlai per quelle che mi sembrarono ore e al termine ero più svuotato di quando avevo iniziato, più sofferente, tanto che mi curvai sulla lapide. Il ricordo di Inessa palpitava nella mia cassa toracica.

"Gen." La mano bianca di Laoise si appoggiò sulla mia spalla e con la coda dell'occhio osservai una lacrima scenderle lungo la guancia. "Mi dispiace davvero tanto che tu abbia dovuto soffrire da solo questa perdita."

Sfarfallai le palpebre e la guardai con tristezza. 

"Non, non dovresti essere così accondiscendente." Mi girai con il tronco. "Dovresti odiarmi per avere in mente lei ogni volta che ti penso, per non riuscire a guardarti per quella che sei perché ho lei insinuata sotto la pelle come una malattia e non riuscire a creare un rapporto." Sollevai leggermente la voce ma non mi preoccupai delle ombre. "Dovresti stare con un uomo che vuole solo te, Laoise, non con uno le cui ombre del passato lo inseguono come un codardo."

"Forse," il suo sussurro venne attutito dai movimenti e me la ritrovai in ginocchio, al mio fianco. "Forse, forse non voglio nessun altro e questo fa di me una stupida ragazzina ingenua, ma Gennady quello che hai passato è-

Riuscii a scorgere la punta metallica di una pistola con silenziatore giusto in tempo per buttarmi a terra con Laoise e tapparle la bocca.

"Non fiatare."

Sganciai la mia pistola dalla fondina ascellare e dal nostro nascondiglio studiai il cimitero avvolto nell'ombra alla ricerca del nostro aguzzino e di eventuali scorte.

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora