XXIX

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Gennady Andrej Ivanov, Ensenada, Messico.

Laoise venne a conoscenza dell'accaduto circa alle cinque del mattino del giorno stesso, grazie ad una telefonata da parte di suo cugino Keegan sull'orlo di una crisi di panico; ci eravamo addormentati mano nella mano e ci eravamo svegliati all'improvviso ancora abbracciati.

La notizia l'aveva rattristata e aveva fatto incazzare il sottoscritto, tanto che dopo aver chiamato mio padre e aver compreso che effettivamente Ella fosse al sicuro, seppur con quell'idiota di un contadino irlandese, mi ci erano volute due docce per poter parlare senza aggredire qualcuno.

Uscii dal bagno con l'asciugamano in vita e trovai Laoise distrutta. Il viso coperto dalle mani era una maschera di lacrime e per la prima volta provai tristezza per qualcuno che non fosse un mio famigliare stretto.

"Laoise?" Mi avvicinai e le accarezzai il braccio. "Laoise, puoi parlarmi."

Con lentezza e grazie al mio aiuto, abbassò le mani e mi guardò con una disperazione tale da far male.

"Non-non gli avevo creduto," bisbigliò. "A Noah, tre anni fa... io, io non gli avevo creduto."

"A cosa?" Cercai di essere il più dolce possibile, ma era difficile per due motivi: uno ero un Ivanov e gli Ivanov scarse volte dimostravano il loro affetto, a meno che la persona in questione non fosse qualcuno di cui fidarsi a scapito della tua stessa vita e secondo, il ricordo di Inessa era ancora dannatamente fresco per essere dimenticato, ma ci avrei provato. "A cosa non hai creduto?"

"Noah"— tirò su con il naso e si girò verso di me—"l'estate di tre anni fa mi ha raccontato che-che Jack... oh, Dio." Si portò di nuovo le mani al viso e singhiozzò; qualcosa si smosse in fondo al mio stomaco e mi ritrovai ad abbracciarla. "Lui, lui mi aveva detto che ave-aveva provato a violentarla." Scosse la testa con forza. "E io non avevo creduto ad una sola parola, ma-ma dovevo saperlo. Noah è-è sempre stato il più docile, il più quieto... tranne quando, quando lo facevi incazzare." Prese un grosso respiro e si attaccò alla mia maglia. "Non, non capisco ..."

"A volte non c'è nulla da capire, Laoise." Scossi la testa e con la mente accarezzai l'orrido ricordo della vita delle mie due zie e rabbrividii. "A volte le persone sono quelle che sono e non ci si può far nulla."

"Ma-ma è mio fratello... sangue del mio sangue."

Mi guardò con un dolore totalizzante e le baciai la fronte, perché non sapevo proprio come consolare quello struggimento viscerale e profondo.

"Non so come avrei reagito se si fosse trattato di mio fratello." Immaginai me al suo posto e rabbrividii all'idea di Aleksei commettere quell'atto nefando e osceno. "Non sono, non sono proprio il tipo di ragazzo a cui chiederlo, ma se mio fratello Aleksei avesse provato ad alzare anche un solo dito in quel modo, l'avrei... l'avrei abbattuto." La sentii rabbrividire e la strinsi più forte. "Sono crudo, Laoise, ma se mio fratello avesse agito da animale, avrei optato per l'unica azione possibile: porre fine alla sua misera esistenza... e conoscendo mio fratello, in quell'assurda situazione ipotetica, si sarebbe ammazzato da solo."

Non il miglior discorso della mia vita.

"Io non, non so, non so davvero che cosa sia andato storto." Si afflosciò tra le mie braccia e ci spostammo sul letto. "Mamma sapeva tutto," bisbigliò e il bruciore dell' umiliazione fu forse maggiore del dolore di conoscere la vera natura del fratello. "Non posso... non posso più vivere così." Si sollevò di scatto e la seguii. "Non posso, non voglio tornare a casa."

"E cosa vuoi fare?" Perchè parlare con lei in qualche modo mi aveva reso più ragionevole e meno... incazzato; sembrava assurdo, ma era come se la sua tristezza avesse soffocato la mia rabbia. "Cosa vuoi fare, Laoise?"

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora