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Aleksei Fabiano Ivanov, Casa di Aleksei ed Erin Ivanov, Mosca, Russia.

Sapevo che giorno fosse e per certo dove avrei trovato Erin a quell'ora della sera. Ero rincasato tardi, perché mio padre aveva deciso che il suo tempo come boss era durato fin troppo, così come Andrej e zio Mik; per questo insieme ad Erin e Vanja facevamo gli straordinari, anche se Vanja in quel momento era in missione ed Erin, beh, ad Erin avevamo consigliato un po' di riposo.

Ma comunque, di lì a qualche mese, saremmo subentrati ai "tre grandi Ivanov", anche se sarebbero rimasti al nostro fianco; per esempio, mio padre voleva prima sistemare la situazione "Fillip" e poi passare il testimone al sottoscritto.

Avevo assestato anche io il colpo della tragedia avvenuta un mese prima, e male... ma cercavo di tirare avanti per evitare che Erin crollasse e si perdesse nel proprio dolore.

Deglutii il boccone amaro quando non la trovai ad attendermi alla porta di casa nostra e a trenta giorni dalla perdita del bambino, mi slacciai da solo la giacca in silenzio, tolsi le scarpe e mi incamminai verso la camera di Annika.

Trovai Erin con una spalla appoggiata allo stipite della porta della cameretta, con indosso i pantaloncini che utilizzavo per fare palestra ed un mio maglio extra largo blu notte; aveva i capelli raccolti in uno chignon disordinato e gli occhiali da vista dalla montatura lilla le incorniciavano il volto. Li utilizzava solo in casa ed erano simili ai miei, tranne che per il colore.

Mia moglie era splendida e bellissima.

"Oggi Annika ha spinto un'altra bambina."

Mi bloccai in mezzo al corridoio e inclinai la testa, ma Erin mi concesse solo di ammirare il suo profilo e non riuscii a leggere la sua espressione.

"E perché mai?"

"Perché non le piaceva che la sua compagna avesse deciso in che squadra metterla." Scosse la testa. "Ivanov fino al midollo."

Ridacchiai e mi avvicinai, per poi appoggiarle le mani sulle spalle e il mento sopra la testolina; inspirai a grandi polmoni il suo profumo, misto a quello di Annika che proveniva dalla cameretta e il mio cuore perse un battito alla vista dei pilastri più solidi della mia vita.

"E tu che le hai detto, tesoro?"

Erin senza accorgersene si rilassò tra le mie braccia e appoggiò la schiena al mio petto.

"Le ho detto che non può comportarsi in quel modo e che bisogna rispettare le idee degli altri."

"E come è andata?" Domandai, perché dal tono mi sembrò piuttosto insofferente all'argomento e conoscevo la cocciutaggine della mia bambina. "Ha capito?"

Con la mano le accarezzai la colonna vertebrale ed Erin rabbrividì.

"Guardale i capelli, ti sembra per caso una bambina che ha deciso di obbedire alla propria madre?"

Ridacchiai di nuovo e le diedi un piccolo bacio sul collo.

"Direi di no." La superai e le accarezzai la guancia. "Vai pure a preparare da mangiare, me la vedo io con la peste e"— bloccai la sua ritirata perché già mi aveva dato le spalle—"dopo farò un bel discorsetto anche con te, tesoro."

I suoi occhi si dilatarono colti alla sprovvista, ma poi accarezzarono le nostre mani unite e l'anello che condividevamo, e si addolcirono leggermente, nonostante rimasero comunque intrisi da una patina di tristezza.

"D'accordo." Annuì. "Vado a preparare la cena, tu occupati della peste."

Mi regalò un piccolo sorriso e fui abbastanza contento di quella sua concessione, così mi girai e tornai a mia figlia, che furbescamente aveva aperto un occhietto.

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora