XXXIX

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Dimitri Alexander Ivanov, Villa Ivanov, Mosca, Russia.

"Zolotse"—tesoro; alla fine le avevo svelato cosa significava quel vocabolo in russo ed ora che anche lei parlava la mia lingua natia, seppur con un adorabile accento americano, non potevo più fingere—"dimmi, ti prego, dimmi dove cazzo abbiamo sbagliato con i nostri figli, perché proprio non lo capisco."

Mi allentai la cravatta e lasciai che Maria me la slacciasse con un sorrisino colpevole.

"Beh, tesoro"— mi massaggiò le spalle e finalmente potei rilassarmi; mi concedevo di abbassare la guardia solo tra le sue braccia e lontano da occhi indiscreti—"fare  quattro figli e crescerli non è di certo semplice." Appoggiò la cravatta sul letto e incrociò le braccia al petto. "Non quando sono ribelli come te."

"Ma li abbiamo cresciuti così bene, così diversamente da come ha fatto mio padre con noi, eppure sono nati comunque tutti con delle teste di rapa." Mi accomodai con poco garbo sulla poltrona e con una mano le strinsi la vita per farla appoggiare sulle mie gambe; mia moglie, nonostante ormai avessimo superato entrambi la quarantina, era una bellissima donna, superiore alla media e dannatamente sensuale. Infatti, più di una volta avevo dovuto minacciare qualche mio sottocapo per le occhiate fin troppo lunghe e lascive che riserbavano alla sua sinuosa figura italiana, e fin troppe volte qualcuno aveva rischiato di perdere la propria preziosa appendice. "Eppure sono uno peggio dell'altro." Le slacciai la treccia e le passai le dita in quei bellissimi ricci. "Credo che siano responsabili i tuoi di geni non i miei." La mia splendida moglie buttò la testa all'indietro e rise di gusto, per poi allungarsi e darmi un piccolo bacio a fior di labbra; le feci scorrere la mano lungo il collo e approfondii quel contatto. "Forse il quinto sarebbe perfetto," mormorai sulle sue labbra. "Che cosa ne dici, Mary?"

"Assolutamente no." Si allontanò scandalizzata e faticai a mantenere l'espressione seria, ma ci provai anche se con lei era sempre stato difficile fare la parte del duro. "Dimitri, non se ne parla. Ho quarantacinque anni e se rimango incinta a questa età, quando mio figlio sarà un adolescente avrò il bastone."

E il suo terrore mi fece scoppiare a ridere così fragorosamente, che faticai a tornare serio.

"Non credo esisterà mai un'età in cui tu non sia bella, zoloste."

Inclinò la bocca verso il basso.

"Lo dici adesso perché ho tempo di andare in palestra, di truccarmi e farmi i capelli."

Mi allungai e le baciai la guancia.

"Sei bellissima anche quando esci dalla doccia bagnata come un pulcino."

Mi diede un buffetto sulla spalla e si accoccolò di più tra le mie braccia con un sorrisino amorevole ad aprirle quelle sensuali labbra carnose.

"Anche tu sei niente male, Ivanov."

"Io sono più che niente male."

"Ricordami quando a voi Ivanov hanno insegnato l'umiltà, perché non mi sembra che tu e i tuoi fratelli ne sappiate qualcosa."

"Mai, lyubov." Amore.

Dopo quella battutina rimanemmo uniti nel nostro silenzio complice per un po' e quando mi sollevai prendendola in braccio, fu come se fossimo tornati indietro di vent'anni, ma con lei era sempre stato dannatamente semplice dimenticare i problemi, i doveri e quello che la società si aspettava da me; fin troppo semplice, tanto che quella sensazione di libertà mi era entrata dentro la pelle e non mi aveva più abbandonato. La portai nel bagno, attivai la vasca idromassaggio dal pannello di ultima tecnologia incastonato alla parete di marmo e spensi le luci, per attivare quelle nella vasca, azzurre e soffuse.

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora