IV

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Ella Lyudmila Ivanov, Hotel De Mattheis, Las Vegas, Stati Uniti d'America.

Quella notte cercai di prendere sonno con una pistola nascosta al di sotto della federa del cuscino e con il ritmico respiro di Clare che non mi permetteva di udire nessun tipo di pericolo, ma non ci riuscii.

Mio padre era stato prevedibile, mi aveva permesso di allenarmi; anzi, nella nostra famiglia ogni donna era stata allentata dall'arrivo di Lily Rose, mia zia, che purtroppo era stata indifesa in tenera età e aveva dovuto sopportare gli abusi di un orco, ma la mia preparazione non era simile a quella dei soldati. Era passabile, forse, abbastanza sviluppata solo per poter bloccare un aggressore e permettermi di guadagnare del tempo prezioso per scappare e chiedere aiuto.

Mi sollevai dal letto e indossai una felpa nera, nascondendo la pistola nella tasca interna della stessa e mi legai i lunghi capelli castano dorati in un'alta coda di cavallo. Svicolai fuori dalla camera e mi incamminai nel corridoio silenzioso dell'hotel; avevo deciso di trovare Zakhar e ritornare a casa, in Russia, ma non perché fossi preoccupata, quanto più perché avessi compreso che mio padre aveva ragione: non potevo far scoprire la Drakta o metterla in pericolo, non quando i miei zii e mio padre stesso avevano sacrificato tutto per noi, per questo avevo deciso di andare dal mio ex ragazzo e-

Mi bloccai di fronte alla sua porta leggermente aperta e mi portai una mano alla bocca. Zakhar era immerso in un bagno di sangue. Ingoiai un grosso boccone di saliva e cercai di tenere a freno il tremore delle mani, ma non entrai in quella stanza e non toccai nulla; senza perdere l'ultimo barlume di lucidità, tornai indietro e scesi di volata le scale che mi avrebbero portato al giardino dell'hotel per una boccata di aria fresca. Avevo bisogno di respirare.

"Oh Dio."

Mi appoggiai alla ringhiera lucida e mi portai una mano al petto, ma non modificai la mia espressione affaticata, perché avevo il chiaro presentimento che qualcuno mi stesse osservando. Sapevano. O almeno, Jack De Mattheis aveva capito chi fossi e quello era un avvertimento. A passo lento e strascicato mi incamminai verso il patio esterno dell'albergo e mi accomodai su una sediolina a peso morto.

Con le dita leggermente tremanti tirai fuori il pacchetto delle sigarette dalla tasca esterna della felpa nera e ne accesi una.

Sembrava stupido, ma avevo bisogno di calmarmi, di pensare con razionalità come avrebbe fatto mio padre, per questo tra un tiro e l'altro composi il suo numero. In verità, avevo bisogno di confrontarmi con lui e comprendere come agire.

"Ella?" Rispose al quarto squillo con preoccupazione. "È successo qualcosa?"

"Sì." Aspirai ancora e chiusi gli occhi. "È successo quello che temevi."

"Cioè?" Lo udii sollevarsi dal letto e sentii anche al voce di mia madre. "È successo qualcosa a Zakhar?"

"Sì."

Potevo rispondere solo a monosillabi e mio padre sapeva perché: vi erano telecamere ovunque e non potevo parlare liberamente, non quando le mie conversazioni potevano essere intercettate con semplicità.

"L'hanno braccato?"

Percepii la sua tensione e avvicinai la sigaretta di nuovo alle labbra; era un piccolo rituale che avevo deciso di iniziare quando mi ero trasferita alla Juilliard, in quelle notti in cui il ricordo di casa era così forte da farmi male e poi non avevo più smesso.

"No."

"Torturato?"

"No." La mia voce si incrinò e il silenzio all'altro capo del telefono fu rivelatore. "Peggio." La telecamera nell'angolo sinistro si mosse e si girò verso di me, ma feci finta di nulla, sorridendo come una sciocca. "Peggio."

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora