XXIII

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Ella Lyudmila Ivanov  Hotel De Mattheis, Las Vegas, Stati Uniti d'America.

Non sapevo a chi credere, non sapevo a cosa credere e l'unico che mi poteva dare una risposta era Jack, così mi nascosi in uno dei corridoi del palazzo e attesi che l'irlandese passasse da quel punto; doveva attraversare quel corridoio, perché la sua camera era proprio alla fine dello stesso e un quarto d'ora dopo mi ritrovai a fronteggiarlo con il respiro accelerato.

"Che cosa è successo ieri sera?" Bisbigliai. "Perché non c'eri questa mattina?"

Gli occhi di Jack cercarono di mettermi a fuoco, ma fallirono, tanto che si dovette stropicciare le palpebre per concentrarsi.

"Ieri sera... mmmh."

"Ieri sera, Jack." Mi infastidii di quel suo comportamento e percepii uno strano odore di alcool provenire dai suoi vestiti, ma lasciai perdere il fatto che fosse ubriaco marcio. "Sei venuto nella mia camera"—mi morsicai il labbro inferiore indecisa se continuare o meno—"ero ubriaca non mi ricordo, siamo andati a letto insieme sì o no?"

"No," blaterò sospirando. "Non siamo andati a letto insieme."

Trattenni un sospiro di sollievo, perché sarebbe stato alquanto raccapricciante sapere che avesse davvero abusato del mio stato, ma questo non spiegava le macchie rosse sulla mia pelle.

"Eppure ho visto il preservativo nel cestino"—non mi imbarazzai nell'esporre i fatti e non mi sarei comunque imbarazzata considerato che avevo convissuto con una dozzina di uomini per buona parte della mia vita e il sesso era un argomento piuttosto comune in villa Ivanov; potevi parlare del tempo e buttarci in mezzo il sesso, la colazione stessa poteva alludere al sesso, quindi non avevo troppo imbarazzo circa l'argomento—"per questo ho creduto che-

"L'ho buttato io." Deglutì e mi sorrise seppur in maniera forzata. "Quando sono entrato nella tua stanza mi sono accorto che non fossi nelle condizioni per poter avere un rapporto, così sono stato un po' con te, ma quando ti sei addormentata ho dovuto lasciare la stanza."

Non lo diedi a vedere, ma i miei genitori mi avevano cresciuta esattamente come i miei fratelli e sapevo per certo che stesse mentendo, ma evitai con accuratezza di farglielo notare, avrei utilizzato i miei metodi per scoprire la verità.

"D'accordo." Lo guardai da sotto le ciglia e sorrisi serena, così come mi aveva insegnato mia madre. "Allora suppongo che non ci sia alcun problema"—scossi le spalle con naturalezza anche se dentro stavo per esplodere—"ci vediamo questa sera?"

I lineamenti di Jack si rilassarono impercettibilmente e quello fu un altro indizio che mi servì per comprendere che qualcosa non andasse, ma ancora una volta lasciai perdere e sorrisi speranzosa.

"Ci vediamo questa sera."

Si chinò verso di me e le sue labbra si poggiarono sulle mie solo per un breve istante, prima di darmi la schiena e ritornare nel corridoio. Rimasi ferma contro il muro per quella che parve un'eternità, fino a che decisi di muovermi, per sgranchire le gambe e cercare colui con cui avrei stretto un ennesimo patto, ma questa volta alle mie condizioni.

Trovai Noah O'Crowley a parlottare in veranda con una ragazza dalla bellezza stratosferica e quando mi schiarii la voce, la sua insofferenza fu ben visibile nonostante cercasse di mascherarla di fronte alla sua ospite. Quasi ridacchiai all'idea di aver interrotto anche solo per un brevissimo istante le conquiste del famoso Noah O'Crowley, ma una minuscola particina del mio orgoglio fu ferita da quel suo atteggiamento.

"Ho bisogno di parlarti."

Sollevò le sopracciglia nella direzione della mora e sbuffò.

"Sono occupato." La donna al suo fianco si profuse in un risolino acuto, sistemandosi con accuratezza la generosa scollatura su cui gli occhi di Noah banchettarono. "Non si vede?"

Il branco di San Patrizio |THE NY RUSSIAN MAFIA #7|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora