Capitolo 113 - Dove non ci sono regole comandano le donne

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Se si vive in mezzo ai lupi
si deve agire come un lupo.
Nikita Kruscev

Cinque anni prima 


«Come sta, dottore?»

«Temo di non avere buone notizie. L'incidente ha leso il midollo spinale e potrebbe aver danneggiato entrambi gli arti inferiori. Stiamo facendo delle analisi, ma per una gamba in particolare non sono incoraggianti. È in sepsi, purtroppo. Dovremo amputargliene un pezzo se non migliora» mi informò.

Inorridii al solo pensiero visto che io sapevo che sarebbe stato l'inizio della fine per lui. Non l'avrebbe superata. «Posso vederlo?»

«Ha chiaramente espresso di non voler vedere nessuno.»

«Mi creda, a me muore dalla voglia di vedermi.» Per un attimo non seppe come reagire, poi mi fece strada. Per lasciarci spazio prese a monitorarne i macchinari a cui il suo paziente era attaccato con aghi e fili. Evans aveva lo sguardo fisso davanti a sé, perso. Inspirai a fondo, prima di dire: «Mi dispiace per tua moglie, Rick.» Non si mosse. Non fiatò. I minuti si allungarono. «Può sentirmi?» chiesi al medico.

«Sì, ma che credo che abbia bisogno di tempo per assimilare tutto», disse, per poi andarsene.

Quando la porta si chiuse, il silenzio si fece opprimente. L'uomo moribondo alzò gli occhi su di me. Erano gonfi e rossi: era stravolto come mai l'avevo visto. Gli concessi il tempo di osservarmi. In quelle iridi azzurre lessi più di quanto avrei mai voluto. Troppe emozioni. Afferrai la prima sedia che vi era nei paraggi. Mi ci sedetti, incrociai le gambe. «Ti ha mandata Luther?», domandò con una voce che mi era estranea. 

«No, ti volevo vedere.»

Volevo godere della sua personale distruzione.

«Sei mesi senza farti sentire e torni così» sussurrò. «Perché poi vieni da me solo ora?»

«Temevo la tua reazione.»

Gli scappò una verso gelido, simile a una risata. «Guardi troppi film dell'orrore. Mi hai lasciato lì a morire, dovrei essere io quello terrorizzato.» Non ribattei, mi limitai a fissare le macerie di quello che era rimasto di lui. Che fosse bene o male, rompere le sue sicurezze era qualcosa di molto piacevole. Distruggerlo, ferirlo, non era mai stato facile, ma forse ci ero andata vicino. «Dimmi che mi sbaglio a credere quel che credo.» Mi scandagliò, cercando di leggermi in profondità. Non mi scomposi.

«Ti dirò quanto ti sbagli» precisai. Mi scrutò nell'amarezza più totale, sconfitto. «Dopo l'accaduto sono iniziate ad arrivare le condoglianze. L'ufficio ne è sommerso, così come la tua posta. Per non parlare dei fiori. Tutti quelli che ti conoscono, pur non conoscendo la tua consorte, hanno fatto in modo di dispiacersi con te e per lei. Indovina chi si è astenuto...»

«Non è il tipo da mandare fiori, Miranda. Se il tuo intento...» mi rimproverò.

«No, infatti. Lui li ha mandati il giorno prima.» Sbiancò. «Sai qual era la dicitura del biglietto?» Scosse il capo, come se non volesse saperlo, ma continuai a infierire. «Una vita per una vita.»

Sospirò rumorosamente e lasciò cadere la testa all'indietro. Una velatura scese sui suoi occhi. Spesse lacrime si fermarono poco prima di scendere, intenzionate a non solcarne il viso. Da certe ferite avevo imparato a essere peggiore di chi me le aveva inflitte tanto che nessun rimorso mi colpì, mentre lo guardavo sprofondare nella sua sofferenza.

«Perché sei tornata?», chiese. «Dubito che tu sia qui per me. Le domande si arrovellano nella mia mente: è uno stato d'animo che ti converrebbe placare» mi minacciò, velatamente.

L'Odissea Dell'Animo [Completa] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora