Capitolo 52 - A Caval Donato Non Si Guarda In Bocca

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Fidarsi è difficile.
Sapere di chi fidarsi,
ancora più difficile.
Maria V. Snyder


Morgan

Carmen dormiva al mio fianco e per quanto lo volessi non ero riuscito a chiudere occhio

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Carmen dormiva al mio fianco e per quanto lo volessi non ero riuscito a chiudere occhio. Provai a immaginare come dovesse essere stata da ragazzina, prima che il mondo la rovinasse, senza riuscirci. Perché, alla fine, la persona per cui avevo perso la testa ce l'avevo proprio davanti. Ed era così simile alla mia ex-moglie da confondermi. 

Ci aveva visto giusto. Avevo amato Catherina con tutto me stesso. L'avevo amata e avevo creduto che con lei avrei passato il resto della mia vita ma invece lei mi aveva spezzato, scegliendo di andarsene. I motivi non li sapevo ed era stato proprio questo a frantumarmi negli anni, perché mi incolpavo per la sua morte. Non ero riuscito ad aiutarla; a capire di che cosa avesse bisogno e così avevo finito per ritrovarmi da solo. Senza una moglie. Per non pensare mi ero buttato sul lavoro, costruendo uno studio degno di nota, ma il vuoto non se n'era mai andato fino a quando non era apparsa questa creatura selvatica. In tutta la sua splendente bellezza a portare un po' di luce nell'oscurità che si era formata dentro di me.

Mi alzai e accesi il camino nella stanza, guardando le fiamme alzarsi a riscaldare l'ambiente prima di voltarmi quando sentii Carmen lamentarsi.

Tornai da lei indeciso sul da farsi. Mi sedetti sul materasso. Iniziò ad agitarsi tra le lenzuola. Mi distesi al suo fianco e le accarezzai il viso, scostandole i capelli che le erano scesi a coprirle gli occhi. Quest'ultima li aprì di scatto e il disorientamento che lessi nel suo sguardo mi bloccò il respiro. Quando finalmente realizzò che fosse al sicuro, sembrò calmarsi. La invitai ad avvicinarsi e me la strinsi al petto per farle sentire la mia vicinanza senza dire nulla. Perché in realtà avevo paura di dire qualsiasi cosa.

Rimase aggrappata a me nel silenzio più totale tanto che credetti si fosse riaddormentata ma quando sentii le sue lacrime bagnarmi il petto, mi allarmai. Ero un esperto di incubi, mi avevano tenuto sveglio per lunghe notti e purtroppo erano sempre gli stessi: mia moglie ferma sul balcone. Si voltava verso di me e con le lacrime agli occhi saltava. Mi allungavo verso di lei disperato ma non riuscivo mai a raggiungerla. A prenderla in tempo. Poi mi svegliavo nel mio dolore e nel mio sudore. Si ripeteva talmente tanto che avevo dimenticato com'era Cathy davvero. Rammentavo solo gli ultimi attimi tragici. Avevo scordato il suo sorriso, ogni momento passato con lei. L'avevo seppellita nella realtà, ma anche nel mio cuore. Per il mio egoismo. Per sopravvivere. E avere qui Carmen tra le mie braccia, vulnerabile, mi risvegliò dentro quell'antico senso di protezione. Non ero riuscito a salvare Cathy ma forse potevo salvare Carmen. Aiutarla a superare quanto l'aveva traumatizzata; quanto l'aveva segnata. Non avrei fallito una seconda volta. Me lo imposi ma i miei propositi passarono in secondo piano quando disse: «Scusami...»

La guardai fuggire fuori dalla stanza. Fissai le fiamme del fuoco fino a quanto presi coraggio e andai alla sua ricerca. La trovai a fumarsi una sigaretta all'aria fredda della sera. Mi avvicinai e la presi tra le braccia, si appoggiò al mio petto. «Scusami. Non sono una buona compagnia. Adesso passa.»

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