Capitolo 53 - Un Volo Nel Vuoto

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Non c'è dialogo
tra il chiodo
e il martello.
Antoni Regulski

Rick Evans

Aspirai una lunga e ultima boccata prima di spegnere il sigaro. Due ragazze erano strette a me. Alzai gli occhi sui presenti mentre ascoltavo i loro discorsi. Risi di alcune loro battute, o meglio risi di loro. E stavo per prendere in mano la conversazione quando uno dei miei avvocati si avvicinò a noi e cacciai una delle donne al mio fianco per permettergli di sedersi. «Spero che tu sia qui per aver risolto quanto ti avevo chiesto.» 

«La vostra professione lo rende un po' complicato», disse.

«Non è una professione la mia.»

«Esattamente. Ed è per questo che, in quanto vostro avvocato, vi consiglio di essere un po' più discreto con i vostri affari. Avete alleati potenti, non avete dovuto pagare per i vostri crimini, ma per ora la mia raccomandazione è di non dare nell'occhio. C'è chi può chiudere un occhio sulla vendita di stupefacenti o armi ma girano voci che stiate commerciando in beni di natura femminile.»

«È dei miei affari che state parlando.» Accennai un saluto veloce a un magnate. «Mi sono fatto gli alleati potenti grazie a questi affari. E questi signori devono in parte a me la loro ricchezza e la loro influenza, proprio come voi.» Gli gettai un'occhiata gelida. «Dunque vi consiglio di iniziare ad agire più come mio avvocato che come il mio confessore.»

«Avete un confessore?» mi chiese. 

Gli scoppiai a ridere in faccia.

Non avrei confessato i miei peccati probabilmente nemmeno il giorno della mia morte.

«Quando avrò quanto chiesto?»

«Presto, signore.»

Mi alzai, scusandomi con i presenti per il mio necessario assentarmi. Uscii dal privé e mi recai in uno dei miei tanti uffici. Vi entrai e mi avvicinai a uno degli addetti. «Fammi vedere come va nella stanza sette.» 

Scorse tra le varie stanze, permettendoci di avere occhi ovunque. Le telecamere impiantate in ogni angolo dell'edificio ci consentivano di avere un controllo assoluto su ogni cosa. 

«Signore...»

Sgranai gli occhi alla vista che mi si presentò. Il mio addetto fissò perplesso uno dei miei uomini della sicurezza a terra davanti alla porta di accesso alla stanza rossa in cui avevamo rinchiuso l'avvocato ficcanaso. «Fammi vedere l'interno.» 

Obbedì immediatamente, sentendo il mio tono brusco. Ma ero parecchio su di giri. Non poteva essere riuscito ad andarsene con la dose che gli avevamo dato. 

«Non riesco ad accedere.» Non fece in tempo a dirlo che due persone uscirono dalla stanza. Trattenni il fiato. La guardai chinarsi a sfilare la pistola del mio uomo e infilarsela sotto il vestito come suo solito, per poi tornare a sorreggere l'avvocato di cui sembrava essersi invaghita. Oppure voleva solo farmelo credere; ormai non mi meravigliavo più di niente quando si trattava di lei. Fissai la sua chioma bionda, fino a quando non scomparvero dalla visuale di quella telecamera. «Chi è, signore?»

«La figlia di puttana peggiore del mondo.» 

«Devo chiamare la sicurezza, signore?» domandò l'uomo, ma non lo considerai minimamente. Me ne andai a prendere in mano la situazione. Sorrisi perché, in fondo, ero orgoglioso di quella folle donna. Dovetti ammettere che come sempre sapeva rendere le cose più interessanti. Ci sarebbe stato da divertirsi.

 Ci sarebbe stato da divertirsi

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