Capitolo 39 - Clausole E Contratti

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Lasciar andare significa rendersi conto che alcune persone fanno parte della tua storia, ma non fanno parte del tuo destino.
Steve Maraboli

Otto anni prima

Ad un anno di distanza potevo dire di ritenermi soddisfatta. Non era stato facile con la gravidanza ma quando mio figlio era venuto al mondo, ero stata ricompensata di ogni fatica.

Dopo aver ottenuto il diploma, mi ero iscritta a economia ottenendo una borsa di studio e anche se per conseguirla ero dovuta stabilirmi alla mia cittadina natale, alla fine non era stato così doloroso come avevo pensato. Anzi, avevo trovato anche un lavoro. Ero diventata un'insegnante di danza, mi avevano preso in prova per un primo periodo e quando avevano visto che avrei potuto essere d'aiuto nell'istruire le bambine, mi avevano assunto a tempo indeterminato.

Ero fiera dei risultati raggiunti e, nel mio piccolo, mi sentivo realizzata. Non era il massimo ma per il momento avevo tutto quello che mi occorreva.

La presenza di mia madre e di mia sorella mi permetteva di assentarmi senza preoccupazioni, visto che sembravano contente di occuparsi di mio figlio. Mi erano state vicino durante il parto e per questo ero grata a entrambe.

Mia madre continuava a farmi domande ma, per il momento, non gli avevo fornito alcuna risposta e probabilmente sarebbe stato così ancora per un bel po' di tempo.

Non appena avevo avuto la certezza che il bambino non fosse di Rick le paure erano svanite e, dovendo crescere il figlio del ragazzo per cui avevo perso la testa, mi aveva permesso di riversargli addosso tutto l'amore che sentivo ancora di provare in un angolo nascosto della mia anima.

Cercavo di non pensarci, ma alla fine sentivo come se Edward fosse sempre con me; almeno una piccola parte di lui.

Uscii dall'aula e, dopo aver salutato alcuni compagni di corso, mi diressi al di fuori dell'edificio. Mi affrettai a tornare a casa perché mi aveva chiamato mia madre, dicendomi che sarebbe dovuta uscire per un colloquio. Così corsi per impedire che la mia sorellastra dovesse rimanere da sola per troppo tempo con un neonato.

Era un bimbo talmente buono e dolce che non c'era persona che riuscisse a resistergli dopo aver posato gli occhi su di lui. Sorrideva: aveva pochi mesi, eppure aveva due adorabili fossette che spuntavano fuori ogni volta che comparivo nella sua visuale.

Non avevo potuto allattarlo e mi ero sentita ferita nell'orgoglio, credendo di aver fallito nel ruolo di madre, ma alla fine mi bastava starci insieme e percepire il suo bisogno di me per cancellare ogni rammarico. Me lo coccolavo ore e ore e passavo lunghi momenti a parlarci. Avevo scoperto che a un neonato si poteva parlare di qualsiasi cosa: ci si poteva sfogare liberamente, aprire la propria anima senza paura di essere giudicati e lui restava lì tra le mie braccia, fermo, a fissarmi rapito; quasi come se mi stesse ascoltando. Massimo era stata una benedizione perché mi aveva permesso di vedere le cose sotto un'altra prospettiva e mi aveva fatto apprezzare me stessa, facendomi diventare più sicura di me. Per lui dovevo essere migliore e speravo di riuscirci.

Tirai fuori le chiavi ma non feci in tempo in tempo a infilarla nella serratura che mia sorella aprì la porta. Non esitò a trascinarmi dentro casa. «Non immaginerai mai chi è venuto a trovarci.»

La seguii verso il soggiorno interessata solo a Massimo. Entrai nel salotto e mi bloccai. L'ansia mi avvolse, così come la rabbia. Lo fissai tenere in braccio mio figlio e qualcosa scattò dentro di me: istinto di protezione puro e semplice. Rick alzò gli occhi su di me e aprì le sue labbra in un tenue sorriso. Non ci vidi più. «Scricciolo, vai in camera tua.» 

L'Odissea Dell'Animo [Completa] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora