Capitolo 72 - Un invito machiavellico

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La bellezza tenta i ladri più dell'oro.
William Shakespeare


Sei anni prima

Ero in giro per le strade della città. Il sole era alto nel cielo. Nessuna nuvola e una leggera brezza ad accarezzarmi la pelle. Il figlio di King era al mio fianco e sulla sedia a rotelle, fingendo che non gli importasse degli sguardi altrui. Riusciva a camminare con l'aiuto di un bastone ma per lunghi tratti gli era stato consigliato di viaggiare sul "mezzo a due ruote" finché non si fosse rimesso completamente in sesto. 

Tutto a un tratto, mi indicò un bar e assecondai il suo volere.

King ogni tanto era solito "scaricarlo" al locale e Evans aveva pensato bene di rifilarmi quella che per lui sembrava essere un'incombenza, ma per era tutt'altro, almeno avevo modo di uscire e distrarmi. Sebastian poi era un soggetto particolare. Senza freni e una risorsa molto utile.

Ci sistemammo in un tavolo all'aperto. Subito un cameriere corse a servirci e mentre aspettavo che arrivasse quanto ordinato, ricambiai lo sguardo di Sebastian e mi persi a seguirne i tratti. Niente di lui richiamava l'aspetto del padre. Capelli castani, occhi chiari. Pelle chiara. Magro, il volto sfigurato dal grave incidente. I capelli poco folti sul lato destro della nuca a causa della lunga cicatrice. 

«Certe volte ti fisso, non lo faccio apposta. E parlo senza pensare» mi informò.

«Non fa niente.» Gli sorrisi. Poi il cameriere tornò e presi tra le dita il drink ordinato.

«Niente privacy per me. Niente privacy per tutti voi.» Corrugai l'espressione, a volte era dura seguirlo nei suoi pensieri sconnessi ma cercavo di sforzarmi. «Ho il terrore. Non dirlo.»

«A chi non dovrei dirlo? E perché?»

«A mio padre», mi disse. «Non può più vedermi. Adesso ho l'animo del perdente, non del leader, e questo è così e sempre sarà. Neanche lui può cambiarlo e non ha mai voluto questo da me.» 

Era il monologo più lungo che gli avessi mai sentito dire. «Non è quello che vedo io», dissi. 

Mi guardò sorpreso. Poi abbassò il capo e trasse un profondo respiro. «Cosa è rimasto di me? Dovevi vedermi. Sono solo l'ombra di chi ero uno volta. Io sono sempre stato arrabbiato. Non voglio essere un bambino. Non riesco a camminare. A lavorare. Che vita faccio? La gente mi compatisce o gli faccio pena.» Bevvi un sorso, dandogli il tempo di sfogarsi. Era proprio vero che parlava in continuazione e senza dosarsi. Diceva qualunque cosa gli passasse per la testa. «Dov'è mio padre!?» 

Non era una domanda, voleva portarmi doveva voleva lui. «In viaggio. Per lavoro.»

«In viaggio. In imbarazzo. È una vita che mi vuole migliorare e ora guardami. Una volta mi portava sempre con sé. Si vantava di chi ero e cosa rappresentavo e ora...» 

«E cosa rappresentavi?» 

«L'eredità. Ora dovrà accontentarsi di Evans. Senza offesa.» Alzai le spalle con indifferenza. Ascoltarlo mi permetteva di comprendere il mondo di suo padre e mi forniva la chiave per averne accesso. «Qui ho imparato che non è sempre meglio sopravvivere.»

«Non dirlo.»

«Mi dispiace.» Rinsavì. «Ti rovino le giornate.»

Sorrisi. «Sai tenere un segreto, Sebastian?» 

«No, non direi. Non più almeno.»

«Non sai mentire? È dura vivere senza.» Non riuscii a nascondere la sorpresa. 

«Anche con.» 

Non trovai niente da contestare; aveva detto il vero. Poi rivelai quanto volevo sapesse, prima che mi facessi distrarre dai nostri discorsi. «E' un primato che non ti spetta.» Si fece attento. «Qualcun altro ti ha preceduto e da anni ormai. E come mi rovina lui le giornate non lo fa nessuno.» 

L'Odissea Dell'Animo [Completa] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora