Capitolo 79- Cuori di metallo senz'anima

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Ho tanto, e il sentimento di lei divora tutto; ho tanto e senza di lei di tanto non mi resta niente.
J. W. Goethe


Sei anni prima

Rick Evans

Ero immerso in una conversazione d'affari. Il ghigno divertito non aveva ancora lasciato le mie labbra, così come il bicchiere che non smetteva un attimo di riempirsi. Parlavo, ridevo unendomi alle spacconate tra uomini, stringevo nuovi accordi. Come se niente fosse cambiato. Solo il mio prestigio lo era. Mi stavo espandendo sempre più e la mia egemonia cresceva a vista d'occhio. 

Non ero stato fermo un attimo. Volevo evitare di pensare. Altrimenti il vuoto atroce nel petto sarebbe tornato a farsi sentire. Avevo sempre imparato a conviverci, eppure avevo come l'impressione che si fosse accresciuto, impedendomi d'ignorarlo. Avevo tutto, eppure non avevo niente e il realizzarlo tirava fuori il peggio di me e la frustrazione. Non ero orgoglioso di come avevo ottenuto la "poltrona", non era questo che volevo ma inevitabilmente avevo finito per commettere l'errore della vita.

Uno dei miei uomini venne a salvarmi dalle chiacchiere fin troppo prolungate. Quello di cui mi mise al corrente però, m'innervosì. Volsi lo sguardo verso il bar e incrociai lo sguardo di Poggiali. Non aveva una bella cera e la sua espressione accusatoria mi portò a riflettere su cosa fosse giusto fare. Non era il caso di fare scenate qui al locale.

Mi alzai dopo essermi scusato e mi incamminai nella sua direzione. Quando gli fui vicino, evitai di perdere tempo in convenevoli. «Credevo che Luther fosse stato chiaro, nessuno ti vuole qui. Tra noi c'è un accordo e ho intenzione di mantenerlo...»

«Lei sì», disse. «E per la cronaca il patto è rotto. Ero stato chiaro. Lei non andava toccata.» La determinazione nella sua voce mi fece esitare e capii di aver sottovalutato il suo ascendente.

«Nessuno ha fatto niente alla tua preziosa Miranda. È viva e vegeta, Lucas» risposi, sprezzante.

«E allora dov'è? È sparita dalla circolazione.»

«Sta bene. Aveva bisogno di una pausa.»

«Dal fantoccio che sei immagino» mi schernì.

Il sangue mi ribollì. La mia mano si chiuse a pugno e partì da sola, scagliandosi contro il suo volto. Le persone al nostro fianco sussultarono spaventate. Lo afferrai per il colletto del suo vestiario. Per un attimo rischiai di perdere la ragione, poi decisi di far rientrare la bestia per il momento. Gli parlai a quattr'occhi: «Vieni nel mio ufficio.» Lo mollai e del sangue gli colò dal naso. Mi avviai in quella direzione, sapendo che mi avrebbe seguito e una volta soli, sbottai: «Non puoi tirarti indietro adesso. Ti rovino, hai capito?»

«Sei tu che hai fatto il passo più lungo della gamba

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«Sei tu che hai fatto il passo più lungo della gamba. C'era un accordo. Stava andando tutto bene, saresti arrivato dove volevi e ora ti aspetti che creda che King ti abbia ceduto il posto così? Ma con chi credi di star parlando? Ho lavorato al fianco di quell'uomo per anni. Ti ha venduto l'illusione e te la sei bevuta.» Guardai la pistola sulla mia scrivania e il desiderio di afferrarla e piantargli una pallottola nel cranio si fece sentire. «La verità è che hai reso la ragazza un bersaglio, tutti sanno di poterla usare per arrivare a te.» Si passò una mano sul volto per pulirsi dal sangue.

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