Prologo

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La libbra di carne ch'io reclamo da lei è stata comprata a caro prezzo.
È mia e l'avrò!
-William Shakespeare


«La mina di cui parli non esiterebbe un secondo a eliminarti dai giochi.»

«No, invece.» Aspirai una generosa boccata di fumo, che rilasciai insieme a un sospiro. «Sono le circostanze a cambiare, non la nostra natura.»

Potevo barare all'infinito per la vanagloria della verità ma sapevo che non sarei mai riuscito a sedurre la mia parte di cenere, a plagiarla, perché ritornasse carne della mia carne.

«Non puoi saperlo» esclamò. «L'unica cosa di cui puoi essere certo è che stai rischiando la vita per una che non vuole avere niente a che fare con te.»

«Non posso cambiare il passato.» La mia voce si colorò della durezza che era solita caratterizzarla. «Dovrò convivere con le mie colpe, ma...»

Tutto a un tratto, la rividi. Come se fosse un'apparizione divina. Solo che lei non era né una fantasia erotica né un sogno a occhi aperti. Veniva a tormentarmi nelle sembianze di uno dei miei incubi peggiori. Nelle vesti di tutto ciò che odiavo di più a questo mondo. Perché lei era riuscita laddove chiunque altro aveva sempre fallito: mi aveva spezzato quell'organo vivo, pulsante, sanguinoso, che mi batteva nel petto. E, ora, sembrava persuasa di poter essere immortale.

«... Dopo tutto questo tempo, è venuta da me.»

Quando l'avevo vista, avrei voluto torcerle il collo delicato. Sarebbe stato così facile. Era più grosso e più robusto di lei e avevo la forza di un manovale. Mi pareva quasi di poter sentire il crack delle vertebre che si staccavano. Cinque secondi, dieci al massimo, e sarebbe finita. Mi sarei liberato di quel gelido, imperturbabile, surrogato di donna. Non ancora, pensai. C'era da fare altro prima di lei.

«Io la troverò» giurai a me stesso. Le getterò in faccia tutto il mio odio e mi sarei preso quanto mi spettava, poi l'avrei abbandonata nella fossa dei serpenti dove si sarebbero saziati delle sue carni, pezzo dopo pezzo. «Anche se...» tornai indietro al momento in cui mi ero ritrovato a dubitare di ogni cosa. «Ho avuto un pensiero quando l'ho vista davanti a me. Uno strano scherzo della memoria. Ho ricordato una caccia al leone di qualche anno fa» sussurrai. «Avanzi nell'erba alta, intravedi la preda. Le spalle, soprattutto la criniera. Prepari il tuo fucile. E poi all'improvviso il vento cambia. L'erba smette di ondeggiare. Il leone si volta. Ti guarda. E in quel momento realizzi che non sei più il cacciatore, tu sei diventato la preda.» Silenzio. Restammo seduti insieme e solo dopo diversi attimi lo ruppi. «Non riesco più a capire chi dei due abbia venduto l'anima all'altro e chi sia il diavolo. Un tempo mi era chiaro, ora non ne ho più alcuna certezza.»

Incastrai il mio sguardo in quello sbigottito dell'uomo al mio fianco. La consapevolezza mi avvolse e la paura dominò, le mie fondamenta svanirono.

Ero finito. Per mano sua. Perché non si sarebbe fermata. E alla fine non mi sarebbe rimasta se non una decisione: quella che avrebbe segnato la fine dei giochi. L'ultima partita.

«Adesso so qual è il mio prezzo» affermai, sicuro di quale sarebbe stato il mio destino. «Metteremmo a tacere tutta la storia.» Sapevo che era sbagliato, ma non vedevo nessuna via d'uscita da queste tenebre. Dovevo scegliere fra due cose dolorose e qui c'erano solo perdenti. Non c'era rimedio. La ferita non sarebbe mai guarita, dal momento che non avrei mai avuto risposta alle domande che avrei voluto farle. Spensi la sigaretta. «Ha fatto la sua scelta. Ha scelto sé stessa. Perciò siamo in ballo: balliamo. Se vogliamo trionfare, dobbiamo seguire il ritmo. Ad ogni costo.»

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