prologo.

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in ognuno di noi
c'è un'altro che
non conosciamo.

Ad un certo punto della tua vita ti rendi conto che il cambiamento è importante.
Per restare vivo.
Devi sentirti vivo.
Ma se una parte di te é spenta automaticamente anche il tuo corpo e la tua mente richiedono una variante.
Una variante che può fare la differenza.
Una differenza colossale.
La vita cambia, le persone vanno e vengono e talvolta l'unica domanda che il tuo cervello ti impone è solo una nonché la più veritiera: sta succedendo davvero?
Quando il tuo corpo é sopraffatto dal dolore automaticamente tutto attorno a te sembra maledettamente uguale.
Passano i secondi.
Le ore.
I giorni.
I mesi.
E sei ancora lì, fermo al punto di partenza cercando di capire dove trovare tutta quella forza che un tempo avevi e che ora necessiti più che mai.
Lotti.
Cadi.
Ti spezzi.
Ti disintegri.
Ma nonostante tutto sei ancora in piedi.
Ed è così che subentra la famosa giostra che non smette mai di girare, perché purtroppo la vita è così.
A tutti tocca la stessa sorte.

Boston a dir la verità non è mai stata la città dei miei sogni, fin da bambina speravo di poter restare a Malaga con la mia famiglia ma anche questo, é stato l'ennesimo cambiamento che non pensavo di dover attuare nella mia vita.
Avevo perso la cognizione del tempo.
C'erano giorni in cui mi sentivo di calpestare il mondo in due mentre tutto attorno a me stava crollando.
Ma l'unica persona che era crollata ero solo e unicamente io, come al solito.
Ma questo le persone, non lo sospettavano minimamente perché la maschera che avevo addosso era veramente sublime, invisibile.
"A che pensi?" disse la donna davanti a me e sorrisi guardando i suoi occhioni celesti, mi aveva salvata in parte.
Ma non del tutto.
"Vediamo." dissi serrando la mascella e Amelia sorrise nel vedere la mia fossetta evidente, spuntava ogni qualvolta che avevo il viso corrucciato o pensieroso.
"Richiede un grande sforzo, sai?" aggiunsi spostando la testa di lato e la mora spostò una ciocca ribelle dal mio viso, scoppiando a ridere divertita.
"Puoi farcela, lo sai vero?" sussurrò mordendosi il labbro e mi porsi verso al suo viso lasciandole un dolce bacio.
Non stavamo insieme.
Era solamente una compagnia piacevole che mi aiutava a non rompermi ulteriormente e dovevo ringraziarla tanto.
"Certo che posso farcela." sussurrai chiudendo gli occhi e pensai bene a cosa risponderle.
"A primo impatto, penso che la mia mente è un gran casino." incominciai con un tono di voce basso e distesi le gambe rilassando i miei muscoli tesi.
Amelia sapeva come farmi svuotare.
"Oh, anche la mia accidenti!" esclamò sarcastica e sorrisi, eravamo così simili per certi versi e mi piaceva tantissimo.
", è un casino perché penso maledettamente troppo e secondo te è un male? Non so, hai presente il mare quando è arrabbiato e le onde si scontrano contro le rocce? Mi sento così, allo stesso modo e sto cercando di non farmi del male da sola ma guarda un po'... non riesco a non farlo." dissi parlando velocemente e chiusi gli occhi con forza prendendo un lungo respiro profondo.
Amelia si distese al mio fianco e afferrò la mia mano, baciandomi ogni singola nocca per poi salire lungo la mia spalla nuda che ricoprì di piccoli baci.
"Pensiamo che le persone siano la causa di tanti mali, ma la lotta contro se stessi é di gran lunga quella peggiore in assoluto. Ti porta tanto male al corpo, per non parlare dell'illusione atroce che devi provare ogni santissima volta, no?" sussurrò accarezzandomi il viso e annuii, arricciando le labbra in una smorfia.
"Illusione per cosa?" sussurrai un attimo dopo e la mora si mise a pancia in giù, appoggiandosi sui gomiti reggendosi.
"Non ti è mai capitata quella sensazione di sentirti invincibile? Afferri il picco per rompere il mondo in mille pezzi ma ti scivola tutto tra le mani, risvegliandoti al 100% da tutto." disse con voce esile e aprii gli occhi, fissando il suo azzurro con mille sfumature di vari colori, chiari e scuri.
"Il mondo è già rotto Amelia." dissi senza smettere di fissarla e se pensavo a tutte quelle volte che questa donna mi aveva stretta senza farmi scappare, mi venivano letteralmente i brividi.
Avevo imparato a scappare davvero.
Non restavo più con nessuno.
"Le persone lo sono di più, fidati." disse guardandomi dritta negli occhi e mantenni il contatto visivo tranquillamente perché i miei occhi verdi erano di una potenza magistrale.
"Vieni qui." sussurrai aprendo le braccia e la mora senza farselo ripetere due volte si mise sopra di me, si accoccolò nell'incavo del mio collo e mi diede dei dolci baci che mi fecero sorridere.
"Il mio supereroe." sussurrai mordendomi il labbro e le accarezzai i capelli nel mentre che stringevo la sua vita esile con le mie cosce snelle.
Non ero più una bambina, ero un neurochirurgo abbastanza importante e data la mia bravura qui a Boston non si erano fatti nessun problema a nominarmi primario di neurochirurgia.
Avevo passato ogni secondo della mia vita in sala operatoria e più andavo avanti, più le mie prestazioni lavorative miglioravano sempre di più e la donna tra le mie braccia non aveva perso tempo a dirmi che stavo andando alla grande.
Nonostante tutto.
Nonostante Zulema.
Stare lontana da lei mi aveva aiutata con la mia persona, tantissimo, avevo passato dei bei momenti insieme a lei e li tenevo impressi sempre.
Mi mancava.
Ma era una mancanza che col tempo si era cessata piano piano perché erano quasi 4 anni che io non la vedevo.
Il tempo era volato senza neanche che me ne accorgessi e tutti i miei momenti li avevo investiti in sala operatoria.
E di questa cosa ne andavo fiera, Amelia mi aveva cambiata radicalmente e le ero grata fino al resto dei miei giorni.
"Quanto tempo ho a disposizione?" sussurrò lei contro al mio collo e mi porsi afferrando il telefono nel mentre che le accarezzavo i capelli e la stringevo a me.
"Cosa vorresti fare, Shepherd?" dissi notando che erano a malapena le undici di notte e indossavo ancora i pantaloni da lavoro a causa del turno devastante.
"La nostra terapia del dolore." disse mettendosi a cavalcioni sopra di me e si tolse la maglia gettandola in terra.
Amelia non era Zulema.
E Zulema non era Amelia.
Ma questo non significava che la donna davanti a me non fosse perfetta in tutti gli aspetti, feci scorrere le dita lungo il suo addome piatto e l'afferrai per un fianco avvicinandola al mio viso per baciarla.
La sua lingua cercò teneramente la mia e le intrecciammo nel mentre che invertivo le posizioni perché di questi tempi, l'unica che doveva avere il controllo ero solo ed esclusivamente io.
"È successo qualcosa?" sussurrai baciandole quella fossetta che aveva sulla guancia e sospirò annuendo.
"Ho perso un paziente, ma va tutto bene perché posso gestire la cosa." disse guardandomi dritta negli occhi e annuii incerta arricciando le labbra.
A differenza delle leggi della scienza, le regole della vita non sempre sono chiare.
Ci sono regole non scritte, altre regole che lasciano spazio all'interpretazione.
E quando pensiamo di aver capito le regole, succede qualcosa che cambia completamente il gioco.

"Siamo resilienti, gestire le cose e abbatterle é il nostro compito."

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