Per cena, nessuno si presentò. Riusciva a sentire le risate allegre degli altri abitanti della casa, probabilmente in sala da pranzo. Rimase a lungo ad ascoltare il chiacchiericcio al piano terra che lentamente diminuiva. Lo stomaco gli brontolò un paio di volte, ricordandogli ufficialmente di avere fame. Molta fame. Per colpa di quella dannata, aveva dovuto rinunciare a ben due pasti, e nelle sue condizioni non gli faceva affatto bene. Aveva bisogno di mantenersi in forze, se voleva guarire il più velocemente possibile, e uscire da quel lungo periodo di monotonia.
Una settimana.
Gabriel odiava starsene con le mani in mano. Non era nella sua natura. Obbligato a rimanere a letto per sette giorni, era peggio di una condanna a morte. Molto peggio.
Per colpa di una fottuta piccola distrazione. Rimuginò. Lo sguardo cadde sul lato di letto vuoto e freddo vicino a se, e ringhiò per la frustrazione. Serrò gli occhi, mentre mille pallini bianchi gli accecavano le pupille da dietro le palpebre, e chiuse così anche ogni singolo pensiero, concentrandosi solo su quell'insopportabile dolore alla ferita, l'unica cosa che lo aiutava ad allontanarsi da quel terribile pensiero.
Una dannata distrazione.
Si concentrò sulla ritmica pulsazione del sangue attorno al taglio che quasi andava a ritmo con il suo cuore, lento e regolare. Era completamente rilassato. Presto diventò un ritmo ipnotico, e fu facile escludersi dal resto del mondo. Involontariamente cominciò a contare le pulsazioni.
Arrivò a settecentottantacinque battiti e il sonno l'aveva quasi colto, quando la porta cigolò. Non aprì gli occhi, fin troppo rilassato per farlo. La schiena era comodamente appoggiata ai cuscini contro la testata del letto, la testa reclinata all'indietro e leggermente inclinata verso il proprio comodino, a sinistra. Continuò a contare. Settecentonovantadue. Settecentonovantatrè. Settecentonovantaquattro.
Una pressione calda sulla fronte. Settecentonovantasei.
E il profumo di limoni gli invase le narici. La sua cena. Il sorriso gli nacque spontaneamente sulle labbra, mentre una mano raggiungeva quella che era ancora posata sulla fronte. Settecentonovantanove.
« Au moins, je vous ai, maman... » sospirò sollevato.
« N-non sono Eleonore. »
Ottocento.
Con quella voce il sorriso si spense immediatamente e gli occhi si aprirono di scatto. Gli era praticamente a una spanna dal viso.
« Cosa cazzo ci fai qui? » ringhiò, scansandole in malo modo il polso. La giovane di riflesso a quel gesto si allontanò del tutto, portandosi la mano al petto e coprendola con l'altra.
« Sono venuta a controllarti. »
« Perché accidenti lo vuoi fare? » sputò adirato Gabriel, cercando di sistemarsi meglio contro i cuscini.
« Dorian mi stava supplicando da stamattina, » gli rispose semplicemente lei. « Non ne potevo più. » A Gabriel non piacque il modo in cui i suoi pensieri reagirono.
Come se si fosse aspettato tutt'altra risposta.
« Sto bene, come vedi. Ora puoi anche andarten− »
« Hai la febbre, » lo interruppe. « Alta. »
Si ricordò della mano di lei sulla propria fronte, poco prima. L'aveva trovata stranamente fredda. Deglutì un paio di volte e si accorse di avere la gola irritata. Per non parlare dei brividi di freddo.
Era decisamente febbre.
« Non ho la febbre, » ribatté. Osservò compiaciuto il modo in cui inspirò a fondo, due, tre volte, prima di rispondere. Per non rispondergli a tono.
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The Way - Quando L'unica via è quella che non ti aspetti
ChickLitAlessia non ha mai davvero scelto niente per sé. Tutto le era imposto, giorno dopo giorno, dalla madre, che dettava legge in casa e nella sua vita. Poco male: vent'anni le erano bastati a farla abituare a quella sorta di schiavitù, e quando iniziata...