« Ah! »
Mai prima di allora aveva avuto un risveglio più strano di quello, anche se strano non era la definizione esatta. In una situazione normale, in seguito a un incubo orribile, la prima cosa che si fa è gridare con tutto il fiato che si ha in corpo e drizzarsi a sedere sul letto.
Gabriel non aveva potuto fare niente di tutto ciò: la causa era la ragazza che dormiva serena al suo fianco. Il viso addormentato di Alessia, poggiato sul suo petto, gli aveva impedito il movimento e il braccio sinistro era bloccato sotto il collo di lei.
Tuffò la testa sul cuscino, e immagini confuse e vaneggianti gli riempirono gli occhi chiusi, mentre i punti della ferita tornarono a pulsare in modo lancinante. Ignorò il dolore e con un gesto deciso e brusco allontanò la ragazza dal proprio corpo, svegliandola di soprassalto.
« Che succede? » Gli domandò confusa. Gabriel non rispose, e ignorando la sua domanda si girò su un fianco, dandole la schiena. Strinse i denti quando la fitta alla ferita diventò quasi insopportabile, attenuata solo dall'amato odore di limoni che proveniva da Alessia. Sentì la giovane sospirare, la voce attutita dal cuscino su cui aveva fatto ricadere il viso. « Come ti senti? » Si sentì chiedere, e nuovamente la ignorò. Inspirò debolmente, nauseato dalla sensazione del materasso ondeggiante, e ascoltò i passi nudi della ragazza spostarsi sul pavimento di legno e raggiungerlo dalla sua parte.
« Non ci provare, cazzo, » l'avvertì, capendo le sue intenzioni.
« Gabriel, non ci vuole un genio per capire che hai ancora la febbre alta, » sospirò esasperata, ferma davanti a lui con la siringa e il flaconcino di antibiotico in mano.
« Lasciami stare. »
« Devo solo— »
« No! » Sbraitò adirato, sollevando la schiena. Sostennero l'una lo sguardo dell'altro per un lungo momento, scambiandosi occhiate cariche di odio, fino a quando Nathan non entrò nella stanza, a salvare la situazione.
Più o meno.
« Buongiorno! » Ebbe solo il tempo di salutare.
« Grazie al cielo! » Esplose Alessia, alzando gli occhi al cielo, e avvicinandosi al nuovo arrivato. « Pensaci tu, io non so più che cosa fare! »
« Ma cosa...? » Il ragazzo si accigliò sorpreso, alzando perplesso le mani in un debole tentativo di difesa, e sempre più costernato la osservò uscire dalla camera peggio una furia. Impegnò qualche istante per riprendersi e poi ridere divertito. « La chiacchierata di Dorian di ieri non è servita a nulla, a quanto pare, » Rise, sedendosi accanto a lui. Gabriel si passò una mano sul viso, al limite della sopportazione.
« Sta zitto... » Lo pregò, strofinandosi gli occhi.
« Gabriel, hai bisogno di farti dare una mano. Hai bisogno di Alessia, » Provò a convincerlo.
« Non pronunciate il suo nome, cazzo. Non ho bisogno del suo aiuto, né ora né mai, » Lo fulminò, trattenendo a stento la rabbia.
« Mi spieghi che cosa ti ha fatto? » Gli chiese l'amico, increspando le sopracciglia. « Se è solo perché semb— »
« Non so di che cosa stai parlando, » Lo fermò. « Ora, voglio sapere che cosa sta succedendo là fuori in mia assenza, »
« Credo che tu ora dovresti solo ripo— »
« Il rapporto, Nathan. Ora. » « ... D'accordo. »
***
Dopo la misera colazione e la breve conversazione con Nathan, era ricaduto in un sonno profondo e agitato, durato quasi tutto il giorno: lo stesso incubo di quella notte era tornato a tormentarlo. Aveva passato le ultime ore da solo in stanza, in un tremendo stato di dormiveglia e, ad ogni risveglio, la febbre lo faceva cadere in un oblio sempre più profondo: il dolore alle ossa gli sembrava ogni minuto di più una tortura medioevale, come se gli stessero ora allungando gli arti, ora pressandoli e un attimo dopo torcendoli. I brividi di freddo erano diventati una costante, così frequenti e prolunganti da diventare un terribile dolore ai muscoli rigidi e indolenziti. La testa non smetteva un attimo di pulsare a ritmo di una musica spaccatimpani che non esisteva.
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The Way - Quando L'unica via è quella che non ti aspetti
Chick-LitAlessia non ha mai davvero scelto niente per sé. Tutto le era imposto, giorno dopo giorno, dalla madre, che dettava legge in casa e nella sua vita. Poco male: vent'anni le erano bastati a farla abituare a quella sorta di schiavitù, e quando iniziata...