48 - Innamorato

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La notte iniziava ormai a rischiararsi.

La figura di Gabriel era ben visibile davanti a una semplice lastra di marmo bianco, in ginocchio, curvo su se stesso, le mani giunte, abbandonate in grembo. Il ciondolo che di solito portava al collo, ora si trovava tra di esse.

Sconfitto.

Conquistato.

Innamorato.

Penitente, aveva passato l'intera notte a chiedere ammenda per i suoi continui sbagli con la compagna, aspettando un perdono che non avrebbe ricevuto né dall'Alto né da lei.

Destinato a sposarla da prima ancora che la ragazza nascesse, non aveva mai pensato a quella possibilità: conscio che sarebbe stato un matrimonio combinato — per lei imposto con la forza — si era messo l'animo in pace fin da adolescente, quando aveva cominciato a capire che cosa la sua famiglia si aspettasse da lui. Per anni si era preparato a quel matrimonio. Si era preparato per il suo odio, magari anche ad un matrimonio solo di nome e non di fatto. Era pronto a tutto il suo rancore.

Mai avrebbe pensato di potersi innamorare di lei.

Ora, quel rancore a cui si era preparato, gli stava strappando i polmoni. Il cuore era ancora al suo posto. Anche se era diventato suo, la compagna non l'avrebbe mai accettato.

Non dopo quell'ultimo affronto.

— Ritieniti fortunata che ti lasci almeno giocare con il mio corpo! —

L'amava già anche quando le aveva rivolto quelle orribili parole, quando era lui ad avere bisogno del suo aiuto.

Con quale coraggio ho...? Se prima era possibile che provasse anche un solo briciolo di pietà per me, ora non sono degno neanche del suo odio più profondo, si rammaricò, stringendo quel ciondolo fino a imprimersi le decorazioni sulla pelle.

La amo, e mi sono negato il suo affetto.

Ciò che più lo terrorizzava, era il fatto che, venuta a conoscenza della verità in quelle ore, la ragazza lo odiasse ancora di più. Nonostante ciò, non era intenzionato a cederla ai nemici.

Non era più una questione di potere, di soldi e troni.

Non riusciva più a fare a meno di lei. Se gliel'avessero portata via, ne sarebbe morto. L'aveva capito in quei lunghi giorni di convalescenza, che gli avevano permesso di conoscere meglio la ragazza, e l'aveva confermato poi quando aveva ricominciato le ronde attorno ai confini di La Tour: per tutta la durata del turno, non smetteva di pensare ai suoi sorrisi, alla sua voce, al suo profumo. Anche solo alla sua immagine rannicchiata sul divano della biblioteca.

Già da tempo, la ragazza era entrata silenziosamente dentro di lui, a piccoli passi. Non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma l'incidente della freccia era dovuto in minima parte anche a una sua distrazione: perché stava pensando a lei.

A costo di farmi del male da solo, con il suo disprezzo, voglio che resti con me. A costo di fondermi questa fede al dito, si promise, terrorizzato alla sola idea di perderla.

Con lo sguardo fisso sul marmo, freddo e bianco, la sentì avvicinarsi, con l'avanzare dell'alba. Non poteva che essere lei.

Non si chiese come avesse fatto ad uscire, al momento non gliene importava nulla.

Si era abituato talmente tanto alla sua presenza che, senza rendersene conto fino a quel momento, si era ritrovato a imparare a memoria ogni suo più piccolo gesto che compiva, anche quelli inconsci o istintivi: un ciuffo ribelle che si sistemava dietro l'orecchio, dopo averlo arricciato attorno al dito per quattro volte esatte; i denti che tormentavano una particolare zona del labbro inferiore, mentre leggeva un libro che le piaceva; le mani che si intrecciavano agitate quando raramente gli confidava qualcosa di importante.

The Way - Quando L'unica via è quella che non ti aspettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora