27 - Il confronto (Parte 1)

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Io non l'ho picchiata, non oserei mai!

La frase aleggiava sulle sue labbra dalla sera prima. Davvero ancora non l'ho fatto?

Soprappensiero alzò una mano sul viso della giovane, che gli dormiva accanto. Rimase sospesa a mezz'aria, in uno schiaffo che mai l'avrebbe colpita. La lasciò scendere lentamente, sfiorandola con i polpastrelli. Dalla guancia scivolò lungo il collo, soffermandosi sulle clavicole, e poi ancora più giù, inseguendo le curve veloci di un capezzolo. Il tragitto rallentò di nuovo sul seno e le dita vagarono leggere su quello, accendendo il desiderio dell'uomo. Sul punto di non ritorno, scese ancora più in basso: lo sterno, la vita, il ventre. Le alzò la gamba per portarsela intorno ai fianchi, si avviluppò a lei. Azzerò qualsiasi distanza tra loro, imprigionandola in quella sorta di abbraccio, così nuovo e strano per lui. Non osò di più: tutto ciò che voleva, era risentire la loro pelle a contatto, i loro corpi incastrati; Inspirare il suo odore, il suo vero profumo, mischiato a quello del suo shampoo, l'ortica che poteva ancora percepire tra i suoi capelli.

Gli occhi caddero sulle labbra dischiuse di Alessia, e si ritrovò ad anelarle, per martoriarle di nuovo con la sua bocca, succhiandole via i gemiti che, prima o poi, sarebbe riuscito a strapparle. Rialzò lo sguardo sui suoi occhi ancora chiusi e tentennò, al ricordo di quella paura che vi aveva scorto dentro, quando l'aveva baciata il pomeriggio prima. Gli tornarono in mente anche i propositi che si era imposto nello studio del padre, propositi che poi quest'ultimo aveva deciso di mettere in pericolo: come poteva starle lontano, se poi gli veniva imposto di chiudersi dentro una stanza con lei?

No. Per una volta, non avrebbe eseguito gli ordini.

La lasciò andare, tornando steso come poco prima: l'uno difronte all'altra, perennemente contrapposti, perennemente sfidanti: per ironia della sorte, lo stesso conflitto con cui doveva avere a che fare ogni giorno, lo tormentava anche in casa, nella sua camera da letto.

Perché non ci riesco? Si tormentò, stringendo in un pugno quella mano che l'aveva accarezzata – quella mano che aveva appena conosciuto meglio il corpo della giovane – sbiancandosi le nocche fino a farsi male, le unghie conficcate nella tenera carne del palmo. Non riusciva davvero a spiegarsi quella titubanza.

Perché? Proprio io, che avevo giurato di–

Lo sbadiglio di Alessia lo colse alla provvista e sobbalzò. Un istante, e incrociò il suo sguardo. Quello successivo, capì che si era svegliata del tutto, e che non aveva dimenticato il bacio preteso.

Di nuovo, quegli occhi spaesati e impauriti non gli piacquero affatto.

Il primo a riprendersi fu proprio Gabriel, scostandosi del tutto e dandole le spalle. Per qualche attimo la stanza rimase completamente immersa nel silenzio, ma poi un gemito di frustrazione provenne dalla parte della ragazza. Gabriel voltò appena il viso verso di lei, e fece in tempo a scorgerla dimenarsi nel piumone caldo per scostarlo e alzarsi in tutta fretta. La visione del corpo nudo di Alessia non gli giovò. Provò a ignorare con tutte le sue forze quel folle desiderio di afferrarla per un braccio, riportarla sul materasso sotto di sé, e farla sua, divorandole le labbra fino a toglierle il respiro. Lo ignorò con tutta la forza di volontà che aveva.

Se si era imposto di tenerla lontana, avrebbe dovuto cominciare ad agire fin da quel momento.

Alessia, però, non gli fu d'aiuto: vederla prepararsi e andare decisa verso la porta della camera, lo agitò.

« Dove vai? » Non riuscì a impedirsi di chiederle, sollevando la schiena e reggendosi sugli avambracci. Alessia sobbalzò e si fermò.

« Avrei dovuto aiutare Eleonore a preparare la colazione, » gli spiegò, senza guardarlo negli occhi. « Ti... Ti farò portare qualcosa da mangiare, tra un po', » aggiunse titubante. Avanzò di un passò, ma Gabriel la fermò di nuovo, seguendo il suo istinto.

« Devi controllare la ferita, » le fece presente, deciso a non farla andare via. Aveva l'assurdo presentimento che se l'avrebbe fatta fuggire, non l'avrebbe rivista per un po' di tempo.

« ... Lo farò più tardi, » mormorò lei, dopo qualche istante di silenzio, continuando ad evitare il suo sguardo. Gabriel si impuntò. « Fallo ora. » Alessia alzò gli occhi su di lui, solo per pochi istanti e poi li riabbassò con timore.

« D-devo andare. »

Per il resto della mattina, Alessia non si ripresentò, proprio come Gabriel aveva immaginato. D'altronde, non era altro che un bene, per le sue intenzioni. Ancora non si capacitava del modo in cui aveva reagito alla fuga frettolosa della ragazza, poche ore prima. Aveva tentato di trattenerla, quando i suoi propositi gli dicevano di fare il contrario. Quella lontananza voluta dalla stessa Alessia era capitata a pennello. Sarebbe stato tutto molto più facile.

Era sceso al pianoterra con l'aiuto di Nathan. Gli aveva proposto di cambiargli lui il bendaggio, ma Gabriel si era rifiutato categoricamente. Avrebbe dovuto farlo lei. Aveva sbuffato sonoramente, dopo aver formulato quel pensiero. Era stata sicuramente la presenza della ragazza nella sala da pranzo, che gli faceva pensare cose così stupide. In quel momento la giovane si fece aiutare da Dorian a prendere posto a tavola dato che Gabriel non era nelle condizioni di farlo, e per un assurdo istante odiò l'amico.

« Zacharie ha portato queste, poco fa. Alessia gli ha riferito che stai camminando molto bene: secondo lui, potresti muoverti già senza queste addirittura per Natale, » lo sorprese la madre, facendogli abbandonare quei pericolosi pensieri, e notò le stampelle che la donna aveva in mano. Se ne passò una sottobraccio, e poi l'altra.

« Usale, » gli ordinò Dorian, avvicinandosi al compare. « Non strafare, altrimenti la convalescenza durerà più del dovuto. Abbiamo bisogno di te. »

A Gabriel tornò solo in mente il modo in cui Alessia gli aveva sorriso grata pochi secondi prima, e distolse lo sguardo, rabbuiandosi.

« D'accordo. »

Il pranzo fu più buono del solito. Probabilmente perché non mangiava pietanze del genere da troppi giorni. Dimenticò quasi subito l'insensato odio per l'amico e anche la presenza di Alessia davanti a lui, e continuò a riempirsi il piatto fino a quando non si sentì sazio.

« Come sempre, per Noelle niente regali doppi, » decise a fine pasto Emma, madre della bimba. « Anche se è nata a Natale, non vuol dire che deve avere di più degli altri bambini. Lo dico sopratutto a te, Gabriel, » si sentì preso in causa.

« Sì, certo, » le assicurò, roteando gli occhi.

Come se dessi retta a loro.

« Sto dicendo sul serio! » Aggiunse Dorian, il padre. « Ogni anno è la stessa storia! »

« E lo stesso vale per gli altri bimbi, Gabriel. Sono troppi regali, e troppo costosi. » Si intromise Ginette, mentre gli altri annuivano d'accordo.

Dovrei punirli per insubordinazione. Questa poi... Sentì gli occhi curiosi di Alessia su di sé, e si agitò. « Ho capito, piantatela, » borbottò, giusto per farli smettere.

« ... Come se avesse contato qualcosa, » si lamentò Cesàr, pochi istanti dopo, e il tavolo rise. Gabriel gliel'avrebbe fatta pagare eccome. Ginette si alzò, dal fondo del tavolo, iniziando a raccogliere piatti e posate.

« Ci aiuti a sparecchiare? » La vide rivolgersi ad Alessia.

« Sì, eccomi. » Questa si alzò prontamente, raccogliendo i piatti suoi, di Auguste e di Dorian, i più vicini. Tentennò, alzando gli occhi su di lui. Aggirò il tavolo, per raggiungere le sue stoviglie. Gabriel notò il suo tremore, che come per prendersi beffe di loro, fece cadere goffamente il bicchiere di vino vuoto, che rotolò sul bordo. Non riuscirono a fermarlo, e cadde sul grembo dell'uomo dove le poche gocce rosse gli sporcarono i pantaloni. « S-Scusa... » mormorò mortificata, tremando ancora di più. Gabriel aggrottò le sopracciglia, infastidito dal disagio che gli causava la paura di Alessia nei suoi confronti.

« Fa niente, » la tranquillizzò. Prima che se ne rendesse conto, Alessia si era allungata verso di lui. Si era sporta solo per raccogliere le posate, e poi era scomparsa oltre la soglia della cucina, in pochi secondi. Non sembrava essere successo niente. Gabriel aveva respirato in quei pochi istanti in qui le era stata così vicino.

E li aveva sentiti.

Era sicuro che non ci fossero a pranzo. E neanche quella mattina. Limoni.

« Cazzo. » 

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