45 - Sensi di colpa

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Maledetta!

Avrebbe preferito mille volte che avesse risposto al suo insulto, che finalmente gli avesse vomitato addosso tutto il suo disprezzo. Invece, ancora una volta, l'aveva stupito: con estrema calma aveva lisciato pieghe inesistenti sul vestito, poi aveva rialzato il viso e sulle labbra aveva dipinto un sorriso educato; prima di allontanarsi da lui, lo aveva pregato di riferire agli altri che non stava troppo bene, e quindi avrebbe saltato la cena. Sconcertato dal suo esemplare comportamento, non aveva fatto altro che osservare , attraverso la tromba delle scale, la sua figura sparire dietro l'angolo del quarto piano.

L'ora successiva, a tavola — dopo aver annunciato il presunto malore improvviso della compagna — l'aveva passata inveendo silenziosamente contro la ragazza, in tutti i modi più scortesi e volgari che conoscesse, sia francesi, che italiani. Ma più i minuti passavano, più gli insulti si facevano leggeri. Più si facevano leggeri, più la sua cafonaggine si trasformava in turbamento.

Al dessert, il turbamento era sfociato nel disagio.

Rimasto solo, nella penombra della stanza, gli rimaneva ormai solo la vergogna. Ma chi voglio prendere in giro? Sono solo una testa di cazzo.

Ammise di aver toccato il fondo, da cui non sarebbe mai più risalito. Alessia quella volta non lo avrebbe perdonato. Non poteva davvero essere così buona. Almeno, non con lui. Più di una volta la ragazza gli aveva dato fiducia, e puntualmente lui l'aveva pugnalata alle spalle come il peggiore dei traditori.

Si era fidata di lui, quando aveva risposto a quel bacio — Dio, quel bacio — alla mezzanotte del nuovo anno. Lui, invece, le aveva solo sputato in faccia parole denigratorie e ingiuste, dettate da un'insensata gelosia.

Si era fidata di lui, scegliendo di mettere da parte paure e timori e impegnando tutta se stessa nell'aiutarlo a ritrovare confidenza nei propri gesti. E lui, ancora, l'aveva umiliata con quella menzogna campata per aria, solo perché si era sentito in trappola.

Uscì nel corridoio, illuminato a malapena da un paio di applique lasciate accese durante la notte. Dal silenzio che regnava, intuì che erano già tutti saliti in camera per coricarsi. Quanto tempo era rimasto in sala da pranzo, a rimuginare sui suoi sbagli? Lo sguardo vagò per il corridoio vuoto e si fermò cupo in un angolo preciso, proprio accanto al portone d'ingresso, lì dove, poco prima, Alessia aveva subìto l'ultimo affronto.

— Ritieniti fortunata che ti lasci almeno giocare con il mio corpo! —

Quelle parole risuonavano ancora potenti nella sua mente. Si massaggiò le tempie, tentando di scacciarle, assieme a quel macigno che non ne voleva sapere di lasciare la sua schiena e mugugnò con fastidio. Alzò gli occhi alle scale, impensierito.

Dovrei portarle qualcosa da mangiare? Nello stesso istante in cui formulò il pensiero, un'immagine ben precisa gli riempì gli occhi e i ricordi: già una volta le aveva portato la cena in camera. La sera dell'acino d'uva, quando aveva assaporato per la prima volta la sua bocca e la sua pelle. Il sapore inebriante e la sensazione del suo corpo premuto tra il proprio e la parete dell'abbaino, si fusero con i ricordi di quel vero primo bacio di capodanno e del desiderio che aveva visto nei suoi occhi, e insieme tornarono prepotenti a riscaldargli le vene, fino a punti pericolosi del proprio corpo. Si sentì inopportuno a provare proprio in quel momento una reazione fisica così potente, ma il senso di inadeguatezza durò solo un attimo: la voglia di lei aveva subito preso il sopravvento, e la vergogna e il pentimento erano svaniti in pochi istanti.

Non importa, ghignò malizioso mentre avanzava a grandi passi verso le scale. Mangerà qualcos'altro.

Alessia si era davvero impegnata, in quelle lezioni di recupero. Così le aveva scherzosamente definite Gabriel, tra i gemiti, qualche giorno prima, mentre la ragazza arrossiva pudicamente, senza rispondere.

The Way - Quando L'unica via è quella che non ti aspettiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora