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𝐃𝐲𝐥𝐚𝐧 𝐩𝐨𝐯

Sono di nuovo in questa stupida cittadina.
Mi ero promesso di non tornarci più dopo quella notte.

Eppure eccomi di nuovo qua.

La scuola è iniziata da pochi giorni e già mi sono stancato.
Qualsiasi posto persona o oggetto mi ricorda quella sera del cazzo.
Per qualche secondo torno ad avere il petto gonfio di ansia, la testa sospesa in un oblio di oscurità, il cuore che batte a mille il sudore che scende lento come una dolce tortura e il corpo è in fiamme.
Mi sveglio dallo stato di trans appena vedo una sagoma aprire la finestra difronte alla mia.
Butto fuori il fumo che fa da contrasto con l'aria fresca aguzzando la vista...

è Dafne.

Erano anni che non la vedevo e se non fosse stato per quegli occhietti da cerbiatta color miele non penso l'avrei riconosciuta.
L'ultima volta che l'avevo vista era una ragazzina rompiscatole con i capelli sempre gonfi.
Sta tirando su la serranda godendosi l'aria frizzante.
Qualche istante dopo si allontana dandomi le spalle completamente assorta nei suoi pensieri.

Distolgo lo sguardo tornando a guardare le rondini in cielo, a breve loro potranno andarsene, è ora di migrare.
Non posso dire lo stesso per me.
Ormai ho promesso a mia madre che sarei restato per almeno un anno.
mancano solo trecentosessantuno giorni, poi potrò finalmente buttarmi questo posto e chi ci abita alle spalle.

Con mio padre non ho ancora parlato e mi sta bene cosi, ci evitiamo in qualsiasi maniera ma siamo abituati ormai.

Sento il telefono vibrare, controllo e vedo che è una chiamata da parte di un numero sconosciuto.
<pronto?>
<ehi Dylan...>
<chi sei?> mi sembra di aver già sentito questa voce smielata.
<sono kourtney, oggi siamo stati insieme e mi chiedev->
<qualsiasi cosa ti chiedevi non chiedermela.
Ora ho da fare perdonami, cancella il mio numero perfavore> termino attaccando subito la chiamata.
Ma cosa cazzo hanno nel cervello quando dico che non voglio essere richiamato ne avere alcun tipo di relazione?
Cristo non in questa città perlomeno...

Butto il telefono sul letto e mi spoglio tenendomi addosso solo i pantaloncini rossi da basket.
Inizio ad allenarmi e tirare pugni al sacco appeso in camera, l'ho comprato l'altro giorno infatti si sente un forte odore di pelle e plastica che mi fa storcere il naso.
Inizia a traballare e sento le catenine che sbattono fra loro ma continuo a colpire e colpire.
Mi tranquillizza, riesce a calmare quel mare in tempesta che ho dentro e
le mani iniziano a sporcarsi di sangue lentamente.
Dalle nocche fuoriesce il liquido denso e caldo e finalmente un po' della rabbia che ho dentro scema via.

Dopo un'oretta e mezza di pugni decido di cambiare aria alla stanza, ormai diventata viziata, ma mentre la apro noto che quella parallela alla mia è già spalancata.

La piccola Daf è avvolta in un asciugamano sottile, intenta a pettinarsi i capelli umidi.
Bene quindi si era andata a fare la doccia...
Non posso fare a meno di notare di come l'asciugamano si adatti perfettamente alle sue forme.

La osservo mentre si infila da sotto gli slip bianchi per poi vederla scomparire in bagno.
Quando torna ha solo l'intimo addosso con una canottiera bianca aderente.
Devo dire che conciata così non è male...

Scuoto la testa.
È di Dafne che stiamo parlando.
Per me rimarrà sempre la solita mocciosa con gli occhiali.

Nello spogliatoio ho sentito l'attaccante della squadra di baseball, Mcall se non sbaglio, fare uno dei commenti più viscidi che abbia mai sentito su di lei.
I suoi amici hanno riso come dei coglioni tirandogli pacche di apprezzamento.
Non me ne sono curato molto però; diciamo che attualmente non è nella top ten delle persone di cui mi interessa.

𝐒𝐞𝐚 𝐞𝐲𝐞𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora