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𝐃𝐲𝐥𝐚𝐧 𝐩𝐨𝐯

Sono di nuovo in questa stupida cittadina.
Mi ero ripromesso di non tornarci più dopo quella notte, eppure eccomi di nuovo qua.

La scuola è iniziata da pochi giorni e già mi sono stancato.
Qualsiasi posto, persona o oggetto mi ricorda quella sera del cazzo.
Per qualche secondo torno ad avere il petto gonfio di ansia, il cuore che batte a mille, il sudore che scende lento come una dolce tortura e il corpo in fiamme.

Scuoto la testa risvegliandomi dallo stato di trance.
Mi sistemo i capelli bagnati aprendo la finestra per far uscire il vapore della doccia.
Mi appoggio al davanzale accendendomi una sigaretta mentre osservo una sagoma aprire la finestra difronte alla mia.
Butto fuori il fumo assottigliando gli occhi per capire chi sia.

Dafne.

Erano anni che non la vedevo e se non fosse stato per quegli occhietti da cerbiatta color miele non penso l'avrei riconosciuta.
L'ultima volta che l'avevo vista era una ragazzina rompiscatole con i capelli sempre gonfi. Beh rompiscatole è rimasta.

Sta tirando su la serranda godendosi l'aria frizzante del tardo pomeriggio.
Qualche istante dopo si allontana dandomi le spalle completamente assorta nei suoi pensieri.

Distolgo lo sguardo tornando a guardare le rondini in cielo, a breve loro potranno andarsene visto che è ora di migrare.
Non posso dire lo stesso per me.
Ormai ho promesso a mia madre che sarei restato qua per almeno un anno.
Mancano solo trecentosessantuno giorni, poi potrò finalmente buttarmi questo posto e chi ci abita alle spalle.

Con mio padre non ho ancora parlato e mi sta bene cosi, ci evitiamo in qualsiasi maniera ma siamo abituati ormai.

Sento il telefono vibrare, controllo e vedo che è una chiamata da parte di un numero sconosciuto.
<pronto?>
<ehi Dylan...>
<chi sei?> mi sembra di aver già sentito questa voce smielata.
<sono Micheal, ti va di uscire con me Scott e Paul?> chiede una voce che riconosco a stento.

<Forse più tardi, ora ho da fare> rispondo sbuffando il fumo annoiato.
<Va bene, ci si vede> mi saluta attaccando la chiamata.
Un po' mi erano mancati i miei amici d'infanzia, sopratutto Scott...quando cresci però impari a fare a meno delle persone.

Butto il telefono sul letto e mi spoglio tenendomi addosso solo i pantaloncini rossi da basket.
Inizio ad allenarmi e tirare pugni al sacco appeso in camera, l'ho comprato l'altro giorno infatti si sente un forte odore di pelle e plastica che mi fa storcere il naso.
Inizia a traballare e sento le catenine che sbattono fra loro ma continuo a colpire e colpire.
Dalle nocche fuoriesce il liquido denso e caldo e finalmente un po' della rabbia che ho dentro si dissolve.

Passo le successive ore a tirare i pugni ed allenarmi senza nemmeno controllare l'ora.
Ormai di fuori si è fatto quasi completamente buio e l'aria inizia ad essere più pungente del previsto.

Quando ritorno alla finestra per chiuderla scorgo nuovamente la piccola Daf, avvolta in un asciugamano sottile, intenta a pettinarsi i capelli umidi.
Non posso fare a meno di notare di come l'asciugamano si adatti perfettamente alle sue forme.

La osservo mentre si infila da sotto gli slip bianchi per poi vederla scomparire in bagno.
Quando torna ha solo l'intimo addosso con una canottiera bianca aderente.
Devo dire che conciata così non è male...

Scuoto la testa tornando in me: è di Dafne che stiamo parlando, per me rimarrà sempre la solita mocciosa con gli occhiali troppi spessi.

Nello spogliatoio ho sentito l'attaccante della squadra di basket, Mcall se non sbaglio, fare uno dei commenti più viscidi che abbiano mai udito le mie orecchie proprio su di lei.

𝐒𝐞𝐚 𝐞𝐲𝐞𝐬Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora