87 capitolo 6

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Camilla

"Sei assunta inizi domani alle 8, si puntuale" mi fa il capo di mio padre.
"Si, grazie a domani" non ho la minima idea di come abbia ottenuto questo lavoro, ok ho un titolo di studio, però mi è sembrato tutto facile, quasi come se fossero solo talmente disperati di personale da prendere chiunque, certo lo stipendio qui è ridicolo, il luogo è inaccessibile
e ad nessuno interessa fare scatolette di tonno, ma vabbe poteva andarmi peggio. Vado a casa, domani dovrò alzarmi presto, domani dovrò essere bella per il tonno, non posso di certo andare a lavoro come una barbona quale sembro ora.
Metto l'acqua nella vasca, vedo il mio riflesso nell'acqua e vedo la mia immagine sottosopra, mi trovo buffa, sono ridicola.
Il sottosopra mi ricorda il fatto che mi sento sempre sotto qualcosa o qualcuno.
E mi sento sempre costretta a restarci sotto.
Te non potrai mai andare oltre quel limite, te in quel limite ci resterai per sempre. Voglio tanto capire come fare per oltrepassarlo e invece mi ci ritrovo sempre più soffocata.
L'aspettativa di essere qualcun'altra,
si scontra con la mia paura di essere me stessa.
E non esiste paura più grande che essere soffocati da sé stessi.
Scommetto che almeno una volta nella vita tutti si sentono sottosopra e date le circostanze, ognuno lo vive in maniera diversa.
Ora è mattino, sono in metro e guardo fuori dal finestrino le gallerie ed è uno dei pochi casi in cui mi sento sopra.
È così strano pensare che qualcuno possa soffrire se chiuso in un posto chiuso sotto la città oppure per altri quel posto è routine, mentre te ti senti libera per un momento, solo in quel momento, perché sai che stai andando un po' più lontana dal tuo passato, un po' più lontano da te.
E in quel momento non mi importa nulla della gente intorno che vedeva una ragazzina da sola che guardava fuori dal finestrino, io volevo solo continuare a guardare fuori che a guardarmi dentro ci stavo già troppo tempo.
Stavo andando in un luogo orribile, ma viaggiare andando un po' più lontano valeva tutto il pacchetto.
Mio padre stamattina seppure dovevamo entrare nello stesso posto allo stesso orario, ha avuto la bella idea di dirmi "arrangiati, trova un modo per arrivarci da sola" e ha trovato un modo per dirmi "questa è la cazzo di vita, questi sono i veri problemi, non tutti quelli inventati da un adolescente".
Gli avrei tanto voluto rispondere
"Interessante come non te ne frega un cazzo", ma aveva già messo in moto la macchina ed era già partito lasciandomi a piedi il mio primo giorno di lavoro.
8:01 arrivo, beccandomi la ramanzina per il mio primo giorno di ritardo.
Povere scatolette di tonno, l'ho trascurate arrivando in ritardo, aspettate ora arrivo a darvi tutto il mio amore.
Il mio lavoro è quello di prendere le scatolette dal rullo trasportatore e metterle in delle scatole tutto qui, però non sono sola, ho una fantastica collega simpatica

quanto una scarpa e con il quale dovrò passare 8 ore vicino a passarle le scatole. L'unica cosa positiva è che mio padre sta all'inizio del rullo e lui a dare il comando di avvio alla macchina, almeno è lontano da me.
"Quindi te saresti quella nuova?"

"Eh si"
"Come ti chiami squaldrina?"
"Come hai detto, scusa?"
"Come cazzo ti sei conciata per venire qui, forse hai sbagliato strada, la tangenziale è dall'altra parte"
Non devo finire il primo giorno a dare quattro schiaffi alla mia nuova collega vero? Anche se vorrei darle le scatolette in faccia, cerco di mantenere un rapporto distaccato e compiacevole.
"Se ti urta che sia venuta così bene a fare questo lavoro, domani verrò vestita normale, comunque scusa nella fretta di capire come funzionasse qui, non mi sono presentata, piacere Camilla"
Lei mi guarda basita e shockata dalla mia calma.
"Sono Gaia, ma non credere che diventeremo amiche anche se lavoriamo a 2 cm di distanza, anzi cazzo spostati un po' che manca l'aria"
Vorrei non aver abbandonato gli studi ed non essermi ritrovata qui con questa qua.

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