Capitolo 38.

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𝓖𝓮𝓷𝓷𝓪𝓻𝓸

Tutto è andato esattamente come se lo aspettava il boss. Anzi, a dire il vero è andata anche meglio. Rebecca si è consegnata da sola ai suoi carnefici senza farci fare neanche il minimo sforzo.
Guardo il mio "collega" che si è avvinghiato a lei e si struscia eccitato al corpo di questa giovane ragazza. I suoi occhi sono pieni di paura. Non so perché ma qualcosa di lei mi ricorda mia sorella. Vorrei poterla salvare dall'incubo che sta vivendo, ma poi mi ricordo che io devo salvare quant'altro che per me conta molto di più.

<<Andiamo, lasciala stare>> dico rivolgendomi al ragazzo che la sta spaventando così.

<<La sto solo preparando a quello che l'aspetta>> dice lui, incutendo ancora più paura nella sua vittima.

Più la guardo più mi accorgo di quanto sia davvero molto bella la ragazza. Ha gli occhi color miele, ma con questa luce bassa sembrano quasi un color nocciola. Sono grandi, estremamente espressivi. Ha i capelli lunghi e mossi, scuri. Ora sono tutti spettinati, ma sono certo che in altre condizioni siano bellissimi. Ha un corpo armonioso e pieno di belle forme. Un seno tondo che spinge da sotto la maglietta e una gamba affusolata che farebbe invidia a qualunque donna. Il mio compagno se la sta gustando tutta la sua bellezza.

Continua a toccarla ovunque, senza farsi scrupoli.
I suoi occhi sono inebriati di desiderio e la sua pupilla è del tutto aperta. Gli occhioni della ragazza invece sono impassibili, come se non provasse più niente ora. Come se fosse abituata a subire. Solo avvertire quel pensiero dentro di me mi fa male.

<<Ora basta cazzo>> dico, sta volta più deciso, togliendo le mani del ragazzo dal corpo di lei. <<Non siamo qui per questo>> aggiungo, tentando di ricordare al mio compagno i motivi per cui ci troviamo li.

<<Chi se ne frega dei motivi, ce l'ho durissimo>> dice toccandosi l'erezione da sopra i pantaloni <<e non vedo l'ora di svuotarmi le palle>> conclude ridendo.

<<Finche ci sono io non farai niente di tutto ciò, perciò molla la presa e andiamo avanti>> sta volta il mio tono è molto più deciso, e la mia presa per allontanarlo da lei non è da meno.

Anche quando non ha più la mano del ragazzo a tapparle la bocca, la ragazza non emette un fiato. Non urla, non tenta di cercare aiuto. Sembra completamente impassibile. Fa quasi paura la sua calma. La prendo sotto il braccio e la induco a camminare al mio stesso passo.
<<Forza, cammina.>>

<<Sei un coglione, potevamo divertirci un po'>> mi bacchetta l'altro da dietro. Non gli rispondo nemmeno e procedo per il corridoio.

Da anni ormai il sotterraneo di questo ospedale si è trasformato nel luogo sotto copertura in cui vengono svolti molti affari della mafia. Portare Riccardo qui faceva parte del piano fin dal principio, la dottoressa Di Mauro è solo un'altra complice di questa organizzazione contorta e malvagia, che è costretta a sottostare a un regime che non apprezza ma che la ricatta per ottenere ciò che vuole da lei.
È così che funziona qui: tutti hanno un punto debole che la mafia intercetta e sfrutta a suo favore. Loro ottengono sempre quello che vogliono. E io lo so molto bene.

<<Siamo quasi arrivati>> informo la ragazza, ma lei non emette una parola.

<<Io faccio una sosta in bagno, ci pensi tu Genna?>> domanda il collega.
<<Si, faccio io>> rispondo.

Una volta rimasto solo con la mia vittima inizio a studiarla meglio in cerca di qualche dettaglio da cogliere per capire meglio la sua reazione.
<<Perchè non reagisci?>> domando curioso.

<<Servirebbe a qualcosa?>> domanda lei dopo un po', mantenendo lo sguardo fisso davanti a se.

<<No, ma non ci provi nemmeno?>> chiedo, sempre più curioso di capirla.

<<Vuoi che reagisca?>> domanda lei, sta volta concedendomi il suo sguardo.

Mi fissa intensamente negli occhi e non posso fare a meno di restare incantato dalla sua bellezza. Le sue iridi sono una piscina di miele, dolce e amara allo stesso tempo. Vedo la sua anima da qui; impaurita, tormentata.

<<Non ho detto questo>> dico, mantenendo lo sguardo sul suo. <<Ma è triste vedere che non ci provi nemmeno>> aggiungo.

<<Quindi di tutta questa storia la cosa triste è che io non mi sforzo di scappare..?!? Non pensi che invece è più triste che ragazzi come te si mettono a fare ciò che fate?>> domanda, rendendo tagliente quelle sua affermazione.

<<Non ho scelta>> ammetto.

<<C'è sempre una scelta che si può fare>> insiste lei.

<<Non sempre Rebecca. O voi, o la mia famiglia. Io scelgo ogni giorno la mia famiglia>> confesso.
<<E sceglierò sempre la mia famiglia>> aggiungo.

<<Anche se questo significa perdere te stesso? Dove ti porta scegliere questa famiglia che proteggi?>> indaga.

<<Non lo so>> ammetto. <<Ma non posso fare a meno di sceglierla>> concludo.

<<Allora siamo in due, perché nemmeno io posso fare a meno di farlo.>>

<<Ma tu non devi proteggere nessuno>> insisto, ormai sempre più curioso di entrare nei suoi pensieri e capirla.

<<Tu dici? Le condizioni in cui è Riccardo mi fanno pensare al contrario>> controbatte dura.

Ora capisco. O meglio, credo di aver capito.
Probabilmente il suo non reagire deriva dalla paura che se si ribella qualcun altro a lei caro possa farsi male come conseguenza delle sue azioni.

<<Ma non è colpa tua quello che è successo a lui>> le dico, sinceramente convinto di quanto ho appena detto. <<È colpa di un sistema che funziona male, di una società costruita su valori sbagliati. Non è colpa tua se qualcuno prova a difenderti e ne paga le conseguenze.>>

<<Peró è così che va, è così che persone come te la fanno andare. Perciò tanto vale consegnarmi a chi mi cerca ed evitare ad altri di farsi più male.>>

Questa volta conclude la sua frase lasciando intendere che non vuole proseguire oltre. Torna a fissare il pavimento davanti a se e sono costretto a rimetterci in marcia dopo la breve sosta per conoscerla meglio. Una parte di me vorrebbe metterla in salvo. Una parte di me si sente colpevole e toccato dentro dalle sue parole. Una parte di me si sente ipocrita nel giudicare questo sistema e nel frattempo farne parte.

<<Siamo arrivati>> annuncio poco dopo, fermandomi davanti alla porta di una stanza.

Osservo la ragazza, che ormai non mi degna più del suo sguardo da un po', e dentro di me mi domando se questa sia davvero la scelta giusta da fare.
La guardo e non riesco a fare meno di pensare che non meriterebbe tutto questo. Ma nemmeno mia sorella lo merita, perciò decido di appoggiare la mano sulla serratura e di farla scattare. Apro la porta e lascio entrare la ragazza dentro alla stanza, dove ad aspettarla c'è chi ha mosso tutta questa situazione fin dal principio. Io sono solo una pedina che ha appena compiuto il lavoro per cui è stata mandata.

𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora