Capitolo 56.

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𝓛𝓮𝓸𝓷𝓪𝓻𝓭𝓸

Sono di ritorno verso casa quando una strana sensazione di timore mi viene a far visita.
É inspiegabile e ingiustificata.
Eppure sento questa paura crescere sempre più in me.

Ogni volta che sta per succedere qualcosa di brutto avverto sempre questo genere di emozioni. Sembra quasi che io abbia una bussola che indica la direzione in cui stanno per andare le cose. Come se avessi un dono, quello di prevedere il futuro attraverso la mia sensibilità.

Ovviamente è inutile se non serve a far cambiare le cose.

Medito queste cose mentre cammino verso casa. Ma uno squillo del cellulare mi distrae e mi costringe a tagliare quel flusso di pensieri.

Mia madre.

L'ultima volta che ha chiamato non ha portato con sé buone notizie. Aveva alzato la cornetta per dirmi che lo zio Rosario era fuori in permesso e si sarebbe recato a Gela. Spero che almeno sta volta non debba lasciare un brutto messaggio. Altrimenti giuro che la prossima volta non rispondo più.

<<Mamma, ciao>> rispondo scocciato non appena accetto la chiamata.

<<Leonardo, dove sei?>> il tono con cui mi parla mi fa drizzare le antenne.

É agitata. Sta piangendo. Credo che abbia dei problemi con il respiro perché il suo fiato è corto e la voce le esce a stento. Che diamine sta succedendo?

<<Sto tornando a casa, perché?>>

<<Tua sorella...>>

Bastano quelle due parole a farmi celare il sangue nelle vene. Dieci apparentemente insignificanti lettere, sono sufficienti a farmi tremare la terra sotto i piedi.
Che cosa è successo a Rebecca?

Improvvisamente quella sensazione leggera di timore che avvertivo da un po' nel petto si fa sempre più spazio in maniera irruente, e mi invade ogni centimetro di pelle. La sento tremare e vibrare sotto di me. E capisco che ancora una volta il mio sesto senso non si è sbagliato.

<<Cosa è successo a Rebecca?>> domando impaziente di conoscere la risposta.

Ma mia madre non parla. Sembra sconvolta a tal punto da non riuscire a dire nulla. Non formula una frase di senso compiuto, spiaccica solo parole a caso che messe insieme non dicono nulla.

<<Mamma, ti prego, vuoi dirmi che sta succedendo?>> insisto, ormai furioso.

Non amo troppo dover interpretare i silenzi o i deliri di mia madre, o più in generale delle persone. Sono uno che parla direttamente e si aspetta altrettanto dagli altri. Non prediligo i misteri o gli indovinelli. Meno so e più mi agito. Più devo sprecare tempo a decifrare e meno sono d'aiuto.

<<Leonardo, tesoro, io e la mamma prendiamo il primo volo di domani mattina, saremo lì per le 12 se tutto va bene>> la voce di mio padre compare dall'altro lato della cornetta.

Lui è sempre stato quello più diplomatico; non si è mai lasciato toccare troppo dalle situazioni e ha sempre mantenuto un'aspetto più distaccato. Negli anni ho capito che la sua è solo una corazza dietro cui nascondersi, per non farsi vedere debole ai nostri occhi. Crede che così facendo ci protegge: in fondo lui è l'uomo di casa, il padre di famiglia, deve dare sicurezza a noi. Se vacillasse anche lui non so chi riuscirebbe a tenere le redini della situazione.

In parte apprezzo questo lato del carattere di mio padre, e un po' credo di averlo ereditato anche io.
Mia madre invece è il contrario: lei entra in panico facilmente, ogni cosa la tocca in maniera estrema, tanto da farle perdere la lucidità e la cognizione delle cose.

Sono due estremi, e io sono il giusto equilibrio tra loro. O almeno spero.

<<Puoi dirmi che sta succedendo? >> domando rivolgendomi all'uomo più grande.

Ora come ora mi sento più simile alla mamma. L'ansia mi sta uccidendo e questa a strana sensazione di paura mi paralizza. Ho bisogno di sapere che Becca sta bene. Nel frattempo ho anche accelerato il passo per raggiungere casa il prima possibile.

<<Forse dovresti andare in ospedale; tua sorella è lì.>>

Ci metto un po' a metabolizzare quelle parole.
Secondi che sembrano interminabili. Minuti che passano lenti e che non danno speranza.

Ospedale. Becca é in ospedale. Perché?

<<In ospedale? C'entra ancora lo zio Rosario? Ti giuro che lo...>>

Mio padre mi interrompe prima che io possa finire la mia frase. <<Non ha a che vedere con lui. Tua sorella ha fatto un incidente: un auto l'ha investita vicino al lungo mare. Non sappiamo altro, solo che non è sveglia e non è cosciente.>>

Non è possibile. Rebecca investita da un auto?

Tutto d'un tratto l'asfalto sotto i miei piedi sembra cedere e non pare più in grado di reggere come dovrebbe il peso di questo corpo che soffre.
Perché si, sto soffrendo. E il dolore mi vuole schiacciare.

Rebecca è la mia sorellina, la mia piccola guerriera. Lei è la mia migliore amica, la mia bambina, dolce e amara allo stesso tempo. Ogni cosa che succede a lei è come se capitasse a me.

Mi sento in colpa per averla lasciata sola. Anche sta volta, io non c'ero.
Ogni volta che le succede qualcosa di brutto io sono altrove e non riesco mai a proteggerla. Non riesco mai a evitare che le si precipiti addosso.
Avrei dovuto restare al suo fianco e non andarmene.

Fra due giorni saremmo stati nuovamente a casa nostra, a Milano. E non in questo paesino della Sicilia che le ha già rubato troppa felicità. Da piccola c'era lo zio Rosario a rovinarle la vita. Speravo che finalmente questo posto che lei chiama ancora "casa" l'avrebbe accolta come dovrebbe, senza lasciarle più i segni sulla pelle. Ma a quanto pare non è così che deve andare.

<<Che significa che non è cosciente? Come sono le sue condizioni?>> domando facendo subito inversione di rotta e incamminandomi verso l'unico ospedale del paese.

<<Non buone... non buone Leo. Ma dobbiamo mantenere la calma ed essere forti per lei e per tua madre. Ti prego, ho bisogno del tuo sostegno, da solo non ce la faccio. Ora sei un ometto anche tu e mi aspetto che ti comporterai da tale.>>

Sento il peso delle aspettative di mio padre poggiarsi irruenti sulle mie spalle. Ma certo, l'uomo di casa. La sua preoccupazione é che io non dia ulteriori problemi. Che non faccia come la mamma che va in panico e non è da aiuto a nessuno. Io devo essere forte, sempre.

Come se non lo fossi già abbastanza. Come se non avessi già dimostrato di esserlo in tutti questi anni in cui mi sono preso cura di Rebecca da solo, praticamente.

<<Ma certo, non ti preoccupare.>>

Resto in silenzio per qualche secondo, e poi una domanda sciocca mi salta in mente.

<<Come avete fatto a saperlo? Chi vi ha chiamati?>>

<<L'ospedale. Avevano ancora il numero di tua madre nella cartella di Rebecca; gli e l'avevano fatta quando tre anni fa è stata operata di appendicite.>>

Giusto, l'operazione per l'appendicite.

Capisco comunque dal tono di mio padre che non è un momento giusto per fare questo genere di domande. Anche perché non è ciò che importa davvero ora.
Per fortuna, anzi, che siano riusciti ad avvisarli.

<<Sto andando in ospedale, non appena so qualcosa ti chiamo e ti tengo aggiornato.>>

<<Grazie figliuolo; ora avverto anche gli zii così possono esserti di sostegno e aiuto.>>

<<D'accordo, ciao.>>

Stacco la telefonata e con fretta mi dirigo verso l'ospedale. Non appena arrivo davanti la grande facciata rosa antico della struttura, il panico mi divora e temo di non essere abbastanza forte per gestire questa situazione da solo. Cosa devo aspettarmi?

Quanto sarà grave?

Sarà meglio che entri e vada a scoprirlo.

𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora