Capitolo 45.

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𝓢𝓮𝓲 𝓪𝓷𝓷𝓲 𝓹𝓻𝓲𝓶𝓪...

<<Mamma, credo di avere un problema>> dissi con voce preoccupata, piagnucolando alle sue spalle.

<<Che problema hai?>> mi domandò lei con fare distaccato, come se non stesse dando davvero importanza a ciò che le dicevo.

<<Lo sai che è da due mesi che non ho le mie cose? Insomma, non che non mi abbia fatto comodo visto che eravamo al mare, ma credi che sia normale?>> finalmente la sua attenzione fu per me.

<<Penso che può succedere.. insomma, è solo da un paio di anni che sei diventata donna, alla tua età, con gli ormoni sballati, può succedere di avere qualche ritardo.. ma due mesi mi sembrano tanti. Lunedì chiamerò la dottoressa e prenderò appuntamento da un ginecologo>> fu tutto ciò che mi disse, senza indagare oltre.

Una strana paura cresceva e aumentava a dismisura dentro di me. Per le successive settimane, ogni notte andavo a dormire con la speranza di svegliarmi l'indomani e trovarmi sporca di sangue tra le gambe. Mai prima di allora avevo desiderato tanto di avere il ciclo. Finalmente il giorno della visita era arrivato e per la prima volta in vita mia sarei andata da un ginecologo.

<<Buongiorno signora, ciao Rebecca. Accomodatevi>> ci accolse cordiale il medico. Dopo una breve chiacchierata e una valanga di domande a cui rispondere, finalmente il momento della visita era giunto. Mi spogliai, tentando di nascondere comunque la mia nudità. Mi vergognavo. Mi sentivo sempre umiliata, ogni volta che dovevo farlo mi sentivo sporca. Ma quella era la prima volta che sceglievo di togliermi le mutande davanti a un uomo. È solo perché sapevo che era un medico, che il suo interesse era puramente clinico, e inoltre c'era la mamma con me. Ma questo non bastava a farmi sentire ugualmente intimorita.

Mi fece sdraiare sul lettino, divaricare le gambe e appoggiarle agli appositi reggi cosce. Poi si avvicinò a me, si infilò i guanti in lattice e, rivolgendosi a me, chiese: <<sei vergine?>>. Quella domanda mi spiazzo. Improvvisamente tutte le mie paure vennero a galla. Il terrore che la verità potesse bussare alla porta di quella clinica sopraggiunse in un attimo. E mi fece tremare.

Intervenne mia madre, <<certo che è vergine dottore>> e lui non rispose.
Prese tra le mani uno strumento, sopra il quale depositò del gel color azzurro, e poi lo appoggió sul mio ventre. <<Facciamo un'ecografia allora, stai tranquilla Rebecca, non ti farà male>> disse tentando di placare il mio palpabile nervosismo.
Cominciò a muoversi, delicatamente, cercando con scrupolosità il motivo di quel ritardo. Poi, dopo una lunga attesa, improvvisamente le parole più difficili da mandare giù.

<<Signorina, lei è incinta..>> disse perplesso, guardandomi negli occhi per intravedere una mia reazione. <<Che cosa sta dicendo dottore>> intervenne subito mia madre, alzandosi di scatto dalla sedia in cui era appoggiata.

Io rimasi paralizzata, impassibile. Quelle tre parole mi pietrificarono. Incinta. In che senso? Tutto questo era troppo da sopportare. Mia madre partí carica a mille con le sue domande sconvenienti. Mi scaricó addosso un sacco di colpe e di accuse. Si divertiva a tirare supposizioni assurde. Ma la verità non la sfiorava neanche lontanamente.

Io cominciai a piangere, senza poterlo controllare né gestire. Una terribile sensazione di schifo mi pervase tutta. L'idea di avere un bambino nel mio ventre non mi disgustava, ma che fosse il frutto di una violenza da parte di mio zio si. Sapere che dentro di me c'era qualcosa di suo mi piegava l'anima in due dal dolore. Ero distrutta. Dentro stavo morendo e non lo davo a vedere. Perché tutto ciò di cui dovevo preoccuparmi era trovare qualcosa da dire a mia madre.
<<Hai fatto sesso? Con chi? Di chi è questo bambino Rebecca?!>> il panico la stava uccidendo, era evidente.

Mia madre non sapeva gestire le emozioni, men che meno quelle scomode che ti colgono di improvviso.
Non riuscivo a dire niente. Tenevo lo sguardo fisso sul pavimento mentre assistevo all'interrogatorio che mia madre poneva al medico. <<Ma lei è sicuro?>> domandó almeno una ventina di volte.

Dentro di me avevo solo paura. Paura delle conseguenze. Paura di avere un bambino nella mia pancia. Paura di non essere creduta. Paura che le accuse che avrei tirato sarebbero state troppo grandi. Paura che se lui avesse scoperto che il nostro piccolo segreto non era più tanto segreto, mi avrebbe uccisa con le sue stesse mani. Mi aveva minacciata parecchie volte a riguardo. Avevo passato l'intera estate a subire le sue minacce. Solo quando andavamo al mare con i miei genitori finalmente mi sentivo libera. Il mare mi ha sempre trasmesso una sensazione di evasione da tutto. E quante volte avrei voluto annegarci in quel mare io. Sarebbe stato meglio di dover tornare a casa e andare incontro alla notte.

<<Rebecca sai almeno chi è il padre?>> mi chiese mia madre, come se improvvisamente mi fossi trasformata in una poco di buono che poteva aver avuto chissà quanti rapporti con ragazzi diversi. Non riuscivo a rispondere nulla.

<<Io non..>> tentai di dire la verità, ma era troppo difficile da confessare. Mi vergognavo di me stessa. Di tutti gli anni passati a disonorare il mio corpo.
<<É stato un rapporto consensuale, Rebecca?>> fu la domanda del medico a servirmi su un piatto d'argento la possibilità di dire tutto.

Con un cenno di capo negai. E fu allora che mia madre scoprì cosa avevo subito. La verità le piombò dritta in faccia e fu violenta. Lei indietreggiò, si portò una mano alla bocca e spalancò gli occhi. Improvvisamente le sue iridi marroni si rivestirono di lacrime. Dovette aggrapparsi alla sedia per evitare di crollare a terra.
<<Ma cosa.. cosa stai dicendo>> la voce le tremava. Ma non sapeva ancora il peggio. Non sapeva che non era successo solo una volta, ma questa storia andava avanti da anni. Non sapeva che era da quando ero bambina che un uomo più grande abusava di me. Non sapeva che era sempre stato tutto sotto il suo naso ma lei non aveva mai visto niente. Non sapeva che era suo cognato il carnefice di questa storia. Tutto questo macigno di verità lo portavo solo io dentro di me.

<<Rebecca, posso visitarti internamente? Non sei obbligata, voglio il tuo consenso. Se te la senti io ti vorrei visitare..>> domandó il ginecologo sempre più comprensivo. Feci cenno di sì con la testa e lui proseguì.

Non voltai mai il mio sguardo verso mia madre. Lei nemmeno si avvicinò a me. Quella verità era troppo grande persino per lei. Non voleva accettarla. Preferiva scappare. Finita la visita il dottore ci disse che ero di dodici settimane, perciò potevamo procedere con l'aborto. Mi prenotò un appuntamento per la settimana successiva in ospedale, mi spieghò brevemente cosa sarebbe successo e infine consigliò a mia madre di portarmi da uno psicologo.

Per tutto il tragitto di ritorno verso casa mia madre non proferì una parola. Non mi chiese nemmeno chi era stato. Non riusciva a guardarmi negli occhi. Ma so che infondo non era con me che ce l'aveva davvero. Ma con se stessa. Per non aver capito che qualcuno mi aveva fatto del male. Per non aver riconosciuto il pericolo. Per non esserci stata nel momento del bisogno. Solo qualche giorno dopo ebbe il coraggio di confessarlo anche a mio padre. Mentre Leo lo scoprì mesi più tardi.

Una volta tornata dall'ospedale confessai la verità ai miei genitori. Loro furono tremendamente turbati dai fatti. Mio padre volle persino tornare in Sicilia da solo, per dare una lezione a suo fratello. Alla fine fu più intelligente e scelse la via legale, facendolo sbattere dentro una prigione. Non fu facile. Gli anni a seguire non lo furono affatto. Venni chiusa in questa bolla di cristallo dove improvvisamente tutti avevano paura per me. Improvvisamente volevano proteggermi da qualunque cosa. Improvvisamente si erano accorti che esistevo. Dopo anni a ignorarmi e criticarmi in continuazione, i miei genitori erano diventati ossessionati da me. Da quel giorno mia madre non fu più la stessa. Divenne apprensiva ai limiti del ragionevole. E non faceva eccezione nemmeno ora, che aveva saputo qualche giorno prima dal giudice che lo zio Rosario era in permesso a Gela per il weekend.

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