𝓡𝓲𝓬𝓬𝓪𝓻𝓭𝓸
Ho deciso di andarmene, si, perché non voglio che la mia presenza sia un peso per qualcuno. Se per Rebecca avermi vicino non è un piacere, non voglio certamente costringerla ad avermi attorno.
Perciò mi sono alzato e me ne sono andato senza aggiungere una parola, senza neanche lasciarle dire qualcosa.Mentre cammino verso casa, non nego che ogni tanto mi volto di spalle nella speranza di vederla dietro di me corrermi incontro per chiedermi di restare. Ma Rebecca è quella che ti pianta in asso e si fa rincorrere, non è certo lei quella che sta dietro agli altri. Men che meno sta dietro a me.
Con lei non riesco ad essere costante; vorrei fare e dire delle cose ma poi il suo atteggiamento mi spinge a tirare fuori la parte orgogliosa di me che finisce per comportarsi in maniera completamente diversa.
Non credo sia giusto o sbagliato il mio atteggiamento, credo semplicemente che per ricevere bisogna anche saper dare.Non puoi pretendere amore da qualcuno se tu per prima non sei capace di darne, perché le persone hanno bisogno di uno scambio continuo. Ricevere significa appagare i nostri bisogni e avere la giusta motivazione per dare agli altri.
Non è semplice per me comportarmi improvvisamente da pseudo fidanzatino senza palle che ti rincorre. Vorrei aiutarla e starle vicino, vorrei che le cose fossero andate diversamente tra noi, ma ciò non significa che sono disposto a farmi schiacciare o mal trattare così. Rebecca sarà testarda e orgogliosa quanto vuole, ma anche io non sono da meno. Il gioco di desiderare l'impossibile ha già iniziato a stufarmi.
Mentre medito a riguardo nel frattempo sono già arrivato infondo alla via di casa e più mi avvicino al mio civico, più mi accorgo di una presenza del tutto indesiderata accanto al portone.
<<Buongiorno, cerca qualcuno?>> domando giungendogli alle spalle.
<<Ciao....Riccardo?!>> dice, fingendo di non ricordarsi il mio nome per un attimo <<non mi riconosci?>> aggiunge poi.
Non appena si volta di spalle e mi scopre il suo volto capisco subito di chi si tratta. È lo zio di Rebecca.
I suoi occhi azzurri, contornati da delle terribile rughe e occhiaie, sono pieni di emozioni ben distanti da quelle che provo io per lui ora. Sembra quasi divertito, eccitato.<<Certo che ti riconosco, so benissimo chi sei e che cosa hai fatto>> rispondo di tutto tono, senza farmi intimorire da lui.
Non ho paura di una persona violenta; sono cresciuto abituato a mio padre e grazie all'addestramento per entrare in Marina ho rafforzato molti muscoli diventando decisamente più consapevole di me. Non mi spaventa questo pezzo di merda che ho di fronte.
<<Tu non sai niente ragazzino>> dice emettendo una risata bassa e rauca. Poi mi tira una pacca sulla spalla e aggiunge <<torna a giocare con i tuoi soldatini>>.
<<Ben volentieri, anche perché ora le armi non sono più finte e so tenere in mano una pistola carica.>>
Non sembra essere preoccupato all'idea che io detenga un'arma in casa, ne tantomeno si smuove alla mia allusione che lascia intendere che sarei capace di usarla contro di lui.
<<E allora va dalle tue armi e stai lontano da Rebecca>> dice, sta volta non scherzando più.
Il suo sguardo si è fatto decisamente più duro e ora la sua pupilla nera riveste quasi completamente la superficie delle sue iridi. È intenso, penetrante. Ogni secondo che passo a guardarlo mi raggiunge sempre più dentro; ora capisco perché Rebecca ha così tanta paura di lui. È inquietante solo a guardarsi in faccia.
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𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖
ChickLit𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖 - 𝕝𝕒 𝕘𝕦𝕖𝕣𝕣𝕒 𝕕𝕖𝕟𝕥𝕣𝕠 (𝕡𝕣𝕚𝕞𝕒 𝕡𝕒𝕣𝕥𝕖) "𝒫𝓊ò 𝓃𝒶𝓈𝒸𝑒𝓇𝑒 𝒹𝑜𝓋𝓊𝓃𝓆𝓊𝑒, 𝒶𝓃𝒸𝒽𝑒 𝒹𝑜𝓋𝑒 𝓃𝑜𝓃 𝓉𝒾 𝒶𝓈𝓅𝑒𝓉𝓉𝒾. 𝒟𝑜𝓋𝑒 𝓃𝑜𝓃 𝓁𝑜 𝒶𝓋𝓇𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒹𝑒𝓉𝓉𝑜, 𝒹𝑜𝓋𝑒 𝓃𝑜𝓃 𝓁𝑜 𝒸𝑒𝓇𝒸...