𝓡𝓲𝓬𝓬𝓪𝓻𝓭𝓸
Quando finalmente riapro gli occhi e riacquisto coscienza, mi trovo sdraiato su un lettino d'ospedale con sopra solo un lenzuolo verde scuro a coprirmi.
Sono in quello che mi pare essere un corridoio; è freddo, umido, l'ambiente sembra isolato e non avverto rumori. Attorno a me non sembra esserci nessuno, anche se a dire la verità non e che io riesca bene a guardarmi in giro.Ho il collo bloccato da una sorta di collare post incidente, la schiena un po' indolenzita, una ferita ancora aperta sul ventre, e la testa che mi scoppia.
Le mie condizioni cliniche non mi sembrano ottime, ma tutto sommato non sono messo neanche così male.Provo a fare mente locale per ricollegare quanto è successo prima che perdessi nuovamente i sensi.
Non saprei neanche identificare quanto tempo sia passato. Non so cosa sia successo dopo, ne se sono in un ospedale vero. Non so se quei due se ne sono andati. Non so se alla fine Leo è riuscito a trovarmi. E Becca?Devo avvisare il mio amico di tenerla alla larga da tutta questa faccenda. Lei non deve sapere nulla, ne tantomeno deve avvicinarsi a questa gente. La cosa migliore sarebbe lasciarla a casa con qualcuno che la tenga d'occhio e si assicuri che nessuno si avvicini a lei. Ma tanto conoscendola non si farebbe mai rinchiudere in casa. Come minimo inizierebbe a sbraitare contro il fratello discorsi sulla sua indipendenza, su quanto lei sia cresciuta e non necessiti più di essere protetta come una bambina, ecc.
Già me la immagino; con quella faccia adorabile persino quando mette il broncio. Con quelle mani che gesticola per aria per enfatizzare meglio ogni sua parola. Con le dita che si attorciglia qualche ciocca di capelli dal nervoso mentre attende una risposta. Già me la immagino camminare avanti e indietro per la stanza. Oppure seduta sul suo balcone a boccheggiare aria contaminata dalla nicotina della sua sigaretta.
Mi immagino i suoi occhioni grandi color miele, simili a quello di suo fratello ma ancora più intensi. Mi immagino le sue labbra che cercano ancora le mie, il piccolo neo che ha disegnato li, proprio vicino alle porte del mio paradiso. I baci di Rebecca mi sono rimasti impressi nella mente e non posso negare che sia quasi impossibile per me non desiderarne altri ancora. Sicuramente adesso preferirei essere con lei, ovunque sia, tenerla per mano e baciarla all'infinito.
I suoi baci sanno di proibito, ma sanno anche essere dolci, veri, passionali. Becca è decisamente un uragano che è giunto nella mia vita per scombussolare qualcosa. E alla fine sta smuovendo tutto.<<Riccardo, buongiorno. Sono la dottoressa Di Mauro, dell'ospedale di Caltanissetta. In questo momento ci troviamo nel reparto chirurgia e io e io mio equipe siamo pronti a effettuare un piccolo intervento per ricucire la tua ferita. Come ti senti ora?>>
La donna che mi parla si fa strada nella mia visuale e mi concede di osservarla e studiarla meglio. Indossa un camicie bianco, con una tasca all'altezza del petto da cui fuoresce una targhetta azzurra con inciso il suo nome: Rosa Di Mauro. Ha i capelli scuri e ricci che si intravedono nonostante siano raccolti in una coda e sigillati dentro una specie di cuffia verde. I suoi occhi verdi appaiono dolci e il suo viso cordiale.
<<Pra sto un po' meglio dottoressa, grazie. Posso chiederle dove sono i miei accompagnatori?>> domando, curioso di sapere che fine abbiano fatto quei due.
<<Stai tranquillo Riccardo, qui sei al sicuro. I due ragazzi sono andati via, ormai ci occupiamo noi di te>> dice tentando di rassicurarmi.
In verità non penso che lei abbia davvero capito quale sia la mia paura, ma in ogni caso mi farò bastare le sue parole. Dubito che quei due mi abbiano lasciato andare così, non mi sembravano due semplici soccorritori e potrei scommetterci qualunque cosa a riguardo. Ma ora è meglio che mi concentro sulla mia ferita e sul piccolo intervento che mi permetterà di rimettermi in forma.
<<D'accordo, grazie dottoressa.>>
<<Voglio essere onesta con te>> dice lei, assumendo un'aria molto seria. <<Hai perso davvero molto sangue e sarà necessaria una trasfusione. Dovrai restare in ospedale almeno una settimana, il tempo che la ferita si rimargini, e non sarai del tutto autosufficiente. Ti attaccheremo delle flebo e un catetere, perché purtroppo la tua vescica è stata leggermente compromessa.>>
Cerco di prestare quanta più attenzione possibile alle sue parole, sforzandomi di comprenderne a pieno il significato. Non credevo fosse così grave la situazione a dire la verità. Non pensavo che la mia permanenza qui sarebbe durata così tanto.
<<Posso fare una telefonata?>> domando di getto.
<<Ora pensiamo a ricucire la tua ferita, dopo avrai tutto il tempo di chiamare chi vuoi. Se mi aiuti ti faccio girare sul fianco e ti inietto una dose di anestesia locale , così procediamo.>>
Faccio come dice lei e mi giro sul fianco. Poco dopo la dottoressa si lascia aiutare da un infermiera per infilarmi l'ago nella pelle che mi permetterà di non sentire dolore.
<<Abbiamo finito, puoi rigirarti Riccardo.>>
Qualche minuto dopo comincio a non sentire più niente da metà bacino in poi e la cosa non mi dispiace affatto. Mi spingono fino a una sala limitrofa direttamente dal mio lettino, e una volta entrati all'interno una serie di persone si posiziona tutta attorno a me. Hanno tutti mascherine, guanti, camici azzurri e sguardo basso sul mio ventre.
<<Adesso ti metterò questo al dito per tenere sotto controllo la pressione sanguigna>> mi dice un infermiera indicandomi l'apparecchio in questione.
<<Ti attacco anche ad una flebo, così che possiamo mantenere idratato il corpo e abbiamo già un ingresso venoso nel caso in cui ci sia bisogno>> aggiunge.
Osservo tutti muoversi con precisione e altrettanta disinvoltura, come se ciò che fanno sia la cosa più naturale del mondo. Non dico nulla, non emetto una parola. Mi limito ad osservare con cura e ascoltare quanto mi viene detto. Poco dopo il telo che mi teneva coperto il busto mi viene sollevato fino al petto e l'invito della dottoressa a farsi passare il bisturi mi fa dedurre che stiamo inziando.
Non riesco a vedere nulla, anche perché ho il collo immobile e non ho molto entusiasmo nel voler guardare giù. Perciò fisso il soffitto e cerco di evadere con la mente per scappare in in posto felice. A primo impatto penso al poligono; le armi, le pistole, il bersaglio da colpire. Canalizzo tutta la mia rabbia e con l'immaginazione metto al centro del mio obiettivo lo zio di Becca.
<<Il battito cardiaco sta aumentando. Riccardo tutto bene?>> la domanda dell'infermiera mi riporta alla sala operatoria.
<<Si, perché ?>> chiedo confuso.
<<Sei molto agitato, questo non va bene. Vuoi un tranquillizzante?>> mi domanda intenerita.
<<No, non c'è bisogno>> dico.
<<Allora sforzati di restare il più rilassato possibile, non pensare a cose che ti agitano>> consiglia lei.
Così, invece che allo zio di Becca, sta volta penso a lei.
È l'unica cosa che mi viene in mente se devo pensare a qualcosa che mi tiene calmo. Penso alla sua risata, i suoi occhi, il modo in cui ballava la prima sera, l'ultimo bacio che mi ha dato.

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𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖
أدب نسائي𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖 - 𝕝𝕒 𝕘𝕦𝕖𝕣𝕣𝕒 𝕕𝕖𝕟𝕥𝕣𝕠 (𝕡𝕣𝕚𝕞𝕒 𝕡𝕒𝕣𝕥𝕖) "𝒫𝓊ò 𝓃𝒶𝓈𝒸𝑒𝓇𝑒 𝒹𝑜𝓋𝓊𝓃𝓆𝓊𝑒, 𝒶𝓃𝒸𝒽𝑒 𝒹𝑜𝓋𝑒 𝓃𝑜𝓃 𝓉𝒾 𝒶𝓈𝓅𝑒𝓉𝓉𝒾. 𝒟𝑜𝓋𝑒 𝓃𝑜𝓃 𝓁𝑜 𝒶𝓋𝓇𝑒𝓈𝓉𝒾 𝒹𝑒𝓉𝓉𝑜, 𝒹𝑜𝓋𝑒 𝓃𝑜𝓃 𝓁𝑜 𝒸𝑒𝓇𝒸...