Capitolo 44.

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𝓡𝓮𝓫𝓮𝓬𝓬𝓪

Riccardo è la mia terapia d'urto. Il mio confronto diretto con tutti i miei traumi del passato. Il miele dolce che si posa soave sulle ferite ancora aperte. Riccardo è passione pura, desiderio. Mi fa desiderare cose che fino a qualche settimana fa neanche pensavo di poter volere. Essere toccata, essere scoperta nella mia intimità. Da anni queste cose mi terrorizzano, ma con lui la paura sembra svanire.

Dai suoi occhi tristi e lo sguardo deluso, deduco che non abbia compreso a pieno il significato delle mie parole. Forse perché io non mi sono preoccupata tanto di esprimermi bene. Ormai do quasi per scontato che tanto lui mi capisce, a volte meglio di come riesca a fare io stessa.

<<Non intendevo con te>> mi metto a sedere al bordo del suo letto e tengo agganciati i miei occhi ai suoi. So che le nostre anime sono molto più brave a parlare di quanto non siamo in grado di fare noi. Cerco la sua mano e la stringo a me, come a fargli sentire che io sono qui e non ho nessuna intenzione di andare via.
<<Anzi il contrario>> aggiungo, vedendo finalmente la sua pelle distendersi e il suo petto fare su e giù un po' meno velocemente.

<<Tu sei l'unico da cui vorrei essere toccata>> mi blocco per un istante, perché mi costa caro dire ciò che sto per dire. E inoltre mi vergogno. Ma vado avanti, <<l'unico che mi fa venire voglia di.. insomma io intendevo che non voglio che succeda mai più che qualcuno tocchi il mio corpo senza il rispetto che merita. Rispetto che tu sei in grado di dargli, facendomi addirittura dimenticare di quante volte sia stato usato, disonorato.>> tutto d'un fiato butto fuori i miei pensieri, concedendo un po di confusione iniziale al ragazzo che mi sta di fronte.

<<Che non succederà mai più puoi starne certa, io non lo permetterò.>> La sua mano, che tenevo stretta alla mia sul grembo, mi stringe ancora di più, quasi a farmi male. <<Se fanno male a te, Becca, fanno male anche a me ormai>> aggiunge.

Le sue parole mi uccidono. Dentro sono morta e rinata in un attimo solo. É dolce e amaro allo stesso tempo.
Mi sento in parte responsabile di lui, del suo stare bene. Ma non posso negare che quelle parole siano una carezza per l'anima. <<La mia anima è rotta>> dico, <<non hai neanche idea di quanto lo sia>> insisto, lasciando cadere una lacrima sul viso.
<<Anche la mia lo è>> dice lui, emozionandosi insieme a me. <<Ma insieme si aggiustano a vicenda>> confessa in conclusione.

Mi avvicino verso di lui e incastro la testa nel suo collo. Lui mi accoglie come se fossi appena tornata a casa dopo un lungo viaggio. Non lascia mai la mia mano, la stringe e la tiene vicina a se. Con l'altro braccio passa sotto la mia testa e porta la mano tra i miei capelli. Mi accarezza, mi odora, lascia qualche bacio.
<<Tu non sei più sola>> aggiunge, trascinandomi direttamente nell'abisso delle mie paure. Cado in un pianto straziante e logorante, che lui accoglie amorevolmente. Non mi lascia neanche per un secondo, mi tiene stretta a sé e, tra le sue braccia, lentamente avverto il passato svanire sotto di me.

<<Come ci siamo arrivati a tutto questo?>> domando qualche minuto dopo, sollevando un po' la testa per incontrare i suoi occhi.
<<Non lo so>> ammette con un leggero sorriso sulle labbra. <<So solo che eravamo entrambi in guerra con noi stessi fino a qualche settimana fa, e ora finalmente possiamo deporre le nostre armi>> le sue parole sanno sempre colpirmi e travolgermi. <<Almeno, tu sei la mia tregua, la mia pace.. spero di essere lo stesso per te>> dice facendola sembrare una domanda senza fare la domanda. Adesso sono io a sorridere.

Io sono la sua pace? Tutto avrei pensato di me meno che poter essere la pace di qualcuno. Sono tormentata, spaventata dalla vita, fragile, insicura. Non sono per niente capace di donare pace, perché dentro di me non ne ho neanche per me stessa. Ma sicuramente sono più in pace da quando Riccardo è entrato nella mia vita.
Annuisco in silenzio a quella domanda e lui torna a stringermi tra le sue braccia soddisfatto.

<<É permesso?>> la voce di Leo compare all'ingresso della stanza. Io e Riccardo non ci stacchiamo subito, e dal volto di mio fratello deduco che la cosa lo renda felice. <<Ciao bello>> si rivolge all'amico, mentre gli viene incontro e gli dà una pacca sulla spalla.
<<Allora, si torna a casa domani>> annuncia poi.

<<Dovrai stare comunque a riposo, i punti ci metteranno una decina di giorni ad assorbirsi e alcuni dovranno cadere da soli, ma per lo meno sarai nel tuo letto>> interviene il padre di Riccardo entrando nella stanza. <<Come ti senti?>> domanda poi.

<<Sto bene>> dice il figlio, guardando me e sorridendomi. Come se la sua risposta dipenda dal fatto che io sono qui, con lui. Ricambio quel suo gesto con entusiasmo. <<Non vedo l'ora che sia domani>> dico.

<<L'orario di visita sta per terminare, torniamo oggi pomeriggio se vuoi>> il padre si rivolge a me sta volta, e io annuisco felice a quella domanda.

Restiamo tutti e quattro lì insieme ancora per un po', dopodiché io, Leo e Pietro, ce ne andiamo, lasciando nuovamente solo Riccardo.
<<Cosa vi va di mangiare?>> chiede il più grande rivolgendosi a noi due ragazzi.

Leo propone un Mc Donald's lungo la strada del ritorno per casa. <<Dovresti chiamare la mamma, l'ho sentita prima e mi ha chiesto di te almeno dieci volte>> aggiunge poi mio fratello.

Pranziamo velocemente chiacchierando del più e del meno, poi torniamo a casa e ci salutiamo sotto il portone. <<Riposate un po', ci vediamo tra un paio di ore>> dice Pietro, facendo scattare la serratura del suo palazzo. Ricambiamo il saluto ed entriamo anche noi nel nostro.

<<Vado a fare una doccia>> annuncia mio fratello appena entriamo in casa. <<Ok, chiamo la mamma>> rispondo.

Mi vado a sedere in balcone, rubando prima dalla tasca di Leo una sigaretta e portandomela alla bocca, poi avvio la chiamata.
<<Rebecca>> il tono di mia madre é preoccupato e serio. <<Come stai? Io e papà eravamo in pensiero per te..>> mia madre è diventata una donna eccessivamente apprensiva da quando la verità le è stata sbattuta in faccia nella maniera più dura che esista.

Ricordo che ha scoperto degli abusi di mio zio quando avevo quattordici anni. Mi aveva portata a fare la mia prima visita ginecologica. Eravamo rientrati a Milano da qualche settimana e il ciclo non mi arrivava da due mesi. Così lei aveva pensato che fare un controllo fosse la cosa migliore. Scoprimmo insieme che la causa del mio ritardo era una gravidanza. Indesiderata, ovviamente. Mia madre rimase sconvolta ed entrò subito nel panico.

Non solo aveva scoperto che non ero più vergine, ma che ero persino in dolce attesa. Anche se di dolce non c'era proprio nulla. Al contrario, l'amaro che avevo bocca bastava a rendere acida ogni accusa che le avrei rivolto da lì in poi.

<<Cosa significa che è incinta..>> mia madre era sempre più sconvolta e arrabbiata.
<<Di chi? Chi è il padre?>> chiese rivolgendosi a me.
Con tono accusatorio lei sputava addosso alla me adolescente, rabbia e frustrazione insensata. Se solo avesse saputo.. E alla fine confessai. Con il volto rigato di lacrime, una paura immane delle conseguenze che avrebbe comportato quella confessione, e l'ansia di ciò che avevo nella pancia. Era tutto più grande di me. Ma una strana gioia mi invadeva. Finalmente stavo per confessare a qualcuno. Finalmente il mio incubo sarebbe finito magari. Ma alle porte ce ne era un altro ben più grande. Non volevo diventare madre. Men che meno volevo mettere al mondo il figlio di quel mostro e conviverci per tutta la vita.

<<Io non..>> provai a dire, impaurita e spaventata.
Temevo che non mi avrebbero creduta.
<<É stato un rapporto consensuale, Rebecca?>> domandó il ginecologo vedendo il mio viso sconvolto. Risposi con una semplice negazione, silenziosa, muta. Mia madre spalancò gli occhi, ed è lì che la verità le arrivò dritta in faccia: spietata, dolorosa, rude.

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