Capitolo49.

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𝓡𝓲𝓬𝓬𝓪𝓻𝓭𝓸

Sta mattina mi sono svegliato di buon umore.
Finalmente torno a casa. Finalmente vedrò Rebecca.
Ieri pomeriggio alla fine è venuto solo mio padre a trovarmi e la cosa non mi ha riempito di gioia ovviamente. Ma è stato comunque un gesto che ho apprezzato il suo. Venire pur sapendo che correva il rischio di non essere gradito, non era una cosa che davo per scontata. Così mi sono sforzato di passarci del tempo insieme a chiacchierare.

Lui ha aperto il discorso della Marina, perché sa che è l'unica cosa con cui riesce a tenermi interessato a ciò che dice. Mi ha parlato un po' di quando alla mia età lui era stato costretto a prendere parte alla leva militare obbligatoria. <<É stata un'esperienza incredibile, mi ha lasciato tanto>> ha detto con una vena di rimpianto.

Alla fine le sue ore di visita sono passate abbastanza in fretta e la sua presenza non mi ha infastidito neanche troppo. Anche se, ovviamente, non posso negare che avrei di gran lunga preferito stare con Rebecca.
Dopo l'intero pomeriggio passato a rimuginare e domandarmi quale fosse la cosa migliore da fare, avrei solo voluto vederla e cercare nei suoi occhi grandi le risorte che non avevo.

Perciò, ora che è mattina e sto per tornare a casa, sono impaziente di vederla entrare qui nella stanza e poterla abbracciare. Ho bisogno di sentirla vicino a me per mettere a tacere tutti i dubbi che mi hanno fatto compagni durante la notte. E se fosse un errore? Se stessi sbagliando a usare la sua presenza per fare chiarezza dentro di me?

Se alla fine scoprissi che voglio comunque partire, non le farebbe più male poi? Significherebbe illuderla. Costruire insieme più ricordi. Ricordi che faranno più male dopo. Forse è meglio non correre il rischio.

Viene mio padre a prendermi, ci vediamo a casa!

Scrivo un messaggio a Leonardo, che stupito dalle mie parole mi risponde poco dopo.

Ma che dici ? Becca non vede l'ora di vederti e non accetterebbe mai di non esserci.

Ma io non voglio che lei ci sia.
Rispondo, anche fin troppo duro.

..Credo di non capire

Ti prego, non portarla qui. Capirai..

Lui non risponde, ma so che farà come gli ho chiesto.
Improvvisamente tutto il mio entusiasmo e il mio
Buon umore cessano e lasciano spazio a una strana e indecifrabile malinconia. Come se qualcosa di molto bello mi fosse appena stato strappato dalle mani. O peggio ancora, come se me lo fossi lasciato scappare io.

Dentro di me c'è una guerra: ogni particella del mio corpo brama Rebecca. La sua bocca carnosa e i suoi baci lenti ma carichi di passione. Le sue mani piccole e affusolate in cui incastrarci perfettamente le mie dita. L'odore al cocco che emanano i suoi copelli mossi. Le sue lentiggini chiare dipinte sul viso, che ho notato la prima sera che si è avvicinata a me in mezzo alla pista da ballo, per sgridarmi di aver cacciato via il ragazzo su cui si stava strusciando.

Desidero i suoi occhi su di me, dentro i miei. Voglio essere guardato come solo lei è stata in grado di guardarmi. Desidero il suo corpo, la sua anima.

Ma un'altra parte di me, forse quella più consapevole, non vuole rischiare di creare ancora più intimità con lei. Sarebbe un pericolo per entrambi, non solo per lei. Sarei un ipocrita se dicessi che sto cercando di proteggere Rebecca e basta. Io voglio tutelare anche me stesso. Non è facile stare lontano da lei, accettare di non averla più intorno. Rinunciare a lei..

Ma è la cosa giusta da fare.

Chiamo mio padre per avvisarlo del cambio di programma e, con mia grande sorpresa, lui non fa troppe domande a riguarda e si limita ad assecondarmi. Un'ora dopo varca la soglia della mia stanza e si affretta a raggiungermi.
<<Ti aiuto ad alzarti?>> domanda apprensivo.

<<Non c'è bisogno>> rispondo diretto.
<<Ma puoi aiutarmi con lo zaino>> dico, con tono più morbido, indicando la borsa sulla sedia di fronte al letto.

Mio padre non aggiunge altro. Usciamo dalla stanza, passiamo in reception per firmare le dimissioni, e ci dirigiamo nel parcheggio dell'ospedale.
<<Vuoi fare qualcosa in particolare?>> mi domanda una volta saliti in macchina.

<<Non devi andare a lavoro?>> gli chiedo.

<<Ho preso un giorno libero, a dire il vero la settimana libera..>> ammette senza distogliere lo sguardo dalla strada.

Infondo, so che questo è il suo modo di dirmi che lui c'è. <<Non era necessario, ma grazie>> gli concedo.

<<Allora?! Ti porto da qualche parte?>> insiste, ed è come se avesse intuito che non voglio tornare a casa. Non voglio tornare dove c'è Rebecca.

<<Penso che un po' di aria fresca non mi farà male.. andiamo in spiaggia?>>

<<D'accordo.>

Restiamo entrambi in silenzio per il restante del tragitto. Mezz'ora più tardi, ci fermiamo davanti a un baracchino e mio padre scende a prendersi una bottiglia d'acqua. Poi risale in auto e parcheggia poco più avanti l'auto.

<<Ho portato dei teli per stenderci, non devi fare troppo sforzo>> mi dice, scendendo dalla macchina e aprendo il baule.

<<Come sapevi che saremmo venuti al mare?>> chiedo, scendendo con calma e incontrando finalmente un po' di aria pulita e fresca.

<<Non lo sapevo>> risponde, facendo sbattere lo sportello del portabagagli. <<Ma avevo intuito che non volessi tornare a casa dalla tua chiamata, così nell'evenienza ho portato un paio di cose>> continua, mostrandomi uno zaino con costumi, creme solari, asciugami, ricambi e ciabatte.

<<Andiamo!?>> mi invita a seguirlo, senza che io possa rispondere nulla. In silenzio lo ringrazio. Temevo che si stesse per cercare una situazione imbarazzante tra noi.

Facciamo due passi lungo la strada che affianca la spiaggia e io mi godo la vista del mare e il rumore delle onde. Sfortunatamente c'è parecchia gente, un classico dell'estate. Ma Macchitella è una delle spiagge più isolate e meno frequentate, perciò mi va anche di lusso. Dopo una breve passeggiata, mio padre mi invita a scendere in spiaggia e rilassarci. Lo assecondò senza controbattere.

Stendiamo i nostri teli mare sulla spiaggia, togliamo le scarpe e ci sediamo.
<<La maglietta è meglio se la tieni, non devi prendere sole diretto sulla ferita>> è strano vedere come mio padre si preoccupi per me. Tutta questa cura e queste attenzioni non le ho mai avute da lui. C'è anche da dire che non gli ho mai dato modo di farlo.

<<Grazie>> di getto esce dalla mia bocca quella parola, incontrollata. Lui si volta di scatto verso di me e mi guarda negli occhi. Era da tanto tempo che non lo facevo. Che non guardavo mio padre meglio occhi.

Attorno ci sono un po' di rughe rispetto l'ultima volta.
Le palpebre sono un po' più cadenti e la pelle è cedevole. Ma porta comunque bene i suoi cinquanta anni. É un uomo sicuramente affascinante, il che mi fa pensare che è strano che non si sia mai più rifatto una vita con un'altra donna. Farò anche io la sua fine?

<<É il minimo..>> sono le uniche cose che dice. E leggo nel suo volto tutta la frustrazione e il senso di colpa che lo accompagnano.

<<Ti manca?>> domando di getto, senza pensarci troppo su. Lui mi guarda confuso, come se non avesse colto a pieno la mia domanda. O come se lo stupisse che io voglia parlar di lei con lui.
<<A me manca a volte>> sta volta torno a guardare il mare davanti a me mentre parlo, lasciando che i nostri occhi si allontanino.

<<É normale, è tua madre>> la sua voce é bassa. Sembra quasi intimorito dall'argomento.
Evita di rispondere alla mia domanda però.

<<É colpa mia se lei se ne é andata, e non mi perdonerò mai di questo..Di averti lasciato crescere senza una madre>> quelle parole mi colpiscono dritte nel baricentro della mia anima.

<<Ha scelto lei di andarsene>> lo incalzo un po' nervoso, perché se c'è qualcosa di cui deve darsi la colpa, non è di certo quella.

<<Non è andata così, io l'ho costretta a farlo>> confessa tutto d'un fiato, lasciandomi spiazzato.

𝕋𝕙𝕖 𝕎𝕒𝕣 𝕀𝕟𝕤𝕚𝕕𝕖 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora