🫀23. Il cuore

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Nina sapeva che la loro prossima meta era già a portata di mano, ma non aveva un'idea precisa di quando sarebbero arrivati.
I giorni successivi al litigio erano stati solitari per lei e Kikyo, che ne soffriva visibilmente.
Aleggiava un clima strano nel sottomarino, per cui nessuno parlava dell'accaduto ma questo stava lì a pungolarli e allora ogni parola detta in più diventava una miccia che li riportava a quell'evento.
La quasi totalità della ciurma era solidale a Nina, ma si guardavano bene dal dirlo ad alta voce per non indisporre il cocciuto capitano.
Law dal canto suo capiva fin troppo bene dove aveva sbagliato, ma l'orgoglio gli impedì per diverso tempo di cercare una risoluzione a quel conflitto.
Quando si incontravano nei corridoi non si guardavano, tentando di fingere che l'altro non esistesse e lo stesso avveniva in maniera più moderata anche tra Nina e tutti gli altri pirati. Si salutavano, scambiavano due chiacchere e poi ognuno per la sua strada.
La piccola Kikyo non capiva perché non potesse più andare da Trappi e Beppo a disegnare.

«Non mi piace neanche un po' questa storia.» Disse Bart a Law una mattina di fronte alla sala macchine.
Il capitano sbuffò.
«Fattela piacere.»
«Che storia è questa che ora non possiamo più parlarci e mangiare tutti come prima?»
Protestò infilandosi un dito nel naso.
«Dillo a lei, che c'entro io? Non ho mai organizzato un pranzo insieme.» Constatò incrociando le braccia.
«Lei non vuole stare con noi perché crede che stiamo dalla parte tua.» Gli si spezzò la voce.
«E voi ditegli che non è così, che c'entro io?» Disse infastidito. «Oh e smetti di piangere, allagherai tutto.» Aggiunse strabuzzando gli occhi mentre fiotti di calde lacrime gli serpeggiavano intorno ai piedi.
«T-tu sei il c-capitano, n-non si può n-non essere dalla p-parte tua.» Singhiozzò prima di soffiarsi il naso con la sua tovaglia. «E p-poi mi m-manca Kiki. T-tra poco s-siamo arrivati e n-non le v-voglio lasciare c-così.»
«Già... tra due settimane siamo arrivati.» Il suo tono era stupito.
Si sistemò il cappello e si avviò lungo il corridoio stringendo i pugni.
Erano giorni che a turno i suoi sottoposti si presentavano da lui pregandolo di andare a chiedere scusa, giorni interi in cui lo avevano pressato in ogni modo, ma nessuno fu convincente come Bart quando gli fece notare che quella traversata era quasi conclusa.
Aveva un'idea che gli frullava in testa da un po', precisamente dall'ultima volta che era stato al bar di Shakky nell'arcipelago Sabaody. Inizialmente era un pensiero aleatorio nulla di più, ma più passava il tempo, più trovava lati positivi.
Iniziò a correre, come se quell'idea potesse scappargli.
«Bepo!» Chiamò.
«Bepo!»
Incrociò Riccio di mare lungo il suo percorso.
«Hai visto Bepo? È urgente.» Gli chiese correndo sul posto.
«Hai iniziato a fare sport?» Domandò lui emulandolo entusiasta.
«Falla finita mentecatto! Sai dov'è o no?» Gli urlò indignato con gli occhi a fessura.
«È con Hakugan al timone.»
«Dannazione, ero lì.» Imprecò facendo dietrofront e tornando da dove era venuto.
Arrivò ansante e esaltato, quando lo vide lo prese sguaiatamente per una zampa e lo trascinò con sé.
«Te lo riporto subito.» Disse a un confuso Hakugan.
Si chiusero nella sua cabina e solo lì Law prese un gran sospiro.
«Ho un'idea.» Gli disse prima che la creatura potesse fargli qualsiasi domanda sul perché lo avesse rapito come un pazzo.

Il pomeriggio trascorse e arrivò la sera, se di sera si poteva parlare dentro al Polar Tang costantemente illuminato.

Toc toc

«Chi è?» Domandò la voce raschiata di una Nina che probabilmente si stava addormentando.
«Sono io, Law.»
Trascorse almeno un minuto prima che il capitano ricevesse qualche altro segno di vita, poi la porticina della sua cabina si aprì e il suo bel viso assonnato ne uscì.
Aveva solo una sottoveste beige addosso, che le avvolgeva sinuosamente il corpo evidenziandone qua e là le poche forme. Odorava di mughetto, doveva essersi lavata da poco oppure aveva un profumatore di armadi piuttosto strano.
«Possiamo parlare?» Domandò l'uomo in evidente difficoltà.
La donna guardò indietro verso il lettone che divideva con la figlia, che era già nel mondo dei sogni in una posizione apparentemente molto scomoda.
«Un attimo.» Disse lei, prima di chiudergli la porta in faccia.
Trascorse un minuto buono prima che la riaprisse e ne uscisse con la tuta addosso.
«N-non importava.» Commentò lui arrossendo. Nina tuttavia non aveva la minima intenzione di perdersi in chiacchere inutili. A braccia conserte e appoggiandosi all'entrata gli chiese dura: «Di che vuoi parlarmi?»
«Possiamo andare nel mio studio?» La donna parve pensarci su, poi accettò.
Camminarono fianco a fianco in silenzio tombale, Narvalo cambiò strada quando li vide insieme.
Law sbloccò la serratura della sua cabina, dopodiché la invitò a entrare.
«Allora?» Lo esortò, illuminata solo dalla lampada da tavolo.
«Siediti per favore.» La sua voce era tornata quella fredda di sempre.
Nina ubbidì, spostando i numerosi cuscini dalla sedia dove di solito stava Kiki. Il capitano la imitò.
«Vorrei scusarmi per il mio comportamento.» Esordì con una faticaccia palpabile, ma subito dopo si sentì meglio e proseguì: «Ho sbagliato a trattarti come una criminale e mi dispiace di averti minacciato.»
Nina scavallò le gambe, Law aveva catturato il suo interesse.
«Non so se accetterai le mie scuse, ma vorrei fare ammenda in qualche modo... dimostrarti che le mie parole erano dettate dalla foga del momento.» Si tolse il cappello e lo appoggiò sul tavolo sopra ai suoi progetti, poi si passò una mano tra i capelli scuri. «Resta qui con noi, restate con me. So che non siete un pericolo, ho detto solo un mucchio di cazzate.» La guardò in trepidante attesa e nei suoi occhi c'era un pentimento così genuino che le risultò impossibile rimanere arrabbiata.
«Accetto le tue scuse Trafalgar Law.» Gli comunicò con un sorriso appena accennato, facendolo accendere di gioia. «Ma non posso accettare di restare con voi.»
La scintilla che era scoccata nei suoi occhi grigi si spense in un istante.
«Perché?» Le chiese appoggiando i gomiti sulle ginocchia e abbassando il capo.
«Lo sai perché.» Disse lei sfiorandogli la guancia con l'indice.
Law chiuse gli occhi a quel tocco, il cuore gli aveva saltato un battito. Era proprio lei che profumava di mughetto.
«Restate con me, posso proteggervi.» Tentò.
«Posso proteggerci benissimo da sola.» Rispose con una punta di indignazione.
«Ma a Sour-»
«A Sour Island mi hai distratto tu. Era una schivata perfetta quella.» Punta sul vivo, lo attaccò.
«Scusa.» La guardò. «Di nuovo.»
«Scuse accettate.» Sorrise. «Di nuovo.»
«È solo che non posso proprio lasciarvi andare.» Riprovò con rinnovato entusiasmo.
«Confido che ne sarai capace.» Lo incalzò Nina.
«E va bene, allora mi costringi a rivelarti il perché se resti con me non avrai più problemi con la Marina.»
«Sono tutt'orecchi.» Accavallò di nuovo le gambe e lo osservò alzarsi in tutta la sua statura e mostrare il Jolly Roger sulla sua felpa gialla.
«Tu sai come funziona la Flotta dei sette?»
«Credo di sì.» Rispose lei sarcastica.
«Bene, quindi sai che i sottoposti di uno dei membri diventano intoccabili, giusto?» Gesticolò agitato, poi si risedette.
«Giusto, ma so anche che è il governo a mandarti l'invito. A meno che sotto il tuo cappello non ci sia un invito...» Alzò il cappello. «E non c'è, non vedo come potresti entrarci.»
«Logica schiacciante.»
«Si chiama mettere insieme cause e conseguenze, ma vai pure avanti.» Lo motteggiò lei, guadagnandosi un'occhiata divertita.
«E se io ti dicessi che ho un piano per farmi includere?»
«Ti direi che sei un pazzo, perché dovrest-» La donna si bloccò di colpo, il suo volto assunse un'espressione gelida.
«Che c'è?» Le chiese sfiorandole la gota.
«Tu... chi vuoi consegnare per farti ammettere?» Gli domandò stringendo il tavolo fino a farsi venire le nocche bianche.
«Nessuno, nessuno.» La rassicurò prendendole la mano fredda tra le sue e spostandole i ricci dal viso. «Non farei mai una cosa del genere a te o alla bambina.» Sussurrò.
«Giuramelo.» Gli intimò.
«Te lo giuro sulla mia spada.»
Nina si rilassò. Sentiva come se non avesse respirato per minuti interi quando sospirò per il sollievo.
«Come vuoi fare dunque?»
«Posso regalare alla Marina dei cuori di fuorilegge, diciamo un centinaio.»
«Lo sapevo, sei un pazzo.» Sfilò la mano dalle sue grandi e tatuate.
«No, sono un chirurgo.»
«Tu vuoi seriamente ammazzare 100 pirati per i tuoi scopi e non saresti un pazzo?» Si alzò dalla sedia senza staccargli gli occhi ambrati di dosso in attesa di un suo riscontro.
«Ma io non ammazzo nessuno.»
Nina non fece in tempo a replicare che l'altro disse: «Room.»
Nel giro di un secondo lei aveva un buco nel torace e il suo cuore vivo e pulsante in mano a quell'uomo. Lo guardò interdetta.
Sentì una sensazione stranissima che non provava da tempo. Il sentore che qualcun altro la avesse in pugno e le piaceva.
Gli si avvicinò in silenzio, gli prese il polso con entrambe le mani e lo tirò verso di sé per spingersi l'organo di nuovo nel petto.
Law la guardò rosso in volto mentre avvicinava le labbra al suo orecchio.
Il profumo di mughetto gli stava dando alla testa.
«Portuguese D Ace.» Gli mormorò scandendo bene le sillabe.
«C-cosa?»
Nina si allontanò da lui lasciandogli il polso, faceva un caldo tremendo.
«Portuguese D Ace è il padre di Kikyo.»
L'uomo la osservò intontito.
«Un'informazione per un'informazione.» Concluse la donna prima di lasciare la cabina.

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