⚕️19. La sala

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«Dov'è lei?» Domandò nervosa Nina appena scesa sul ponte.
«Dorme nella mia stanza.» La rassicurò Bepo leggermente trafelato dopo aver ancorato la scialuppa al sottomarino giallo.
La donna aveva escoriazioni ovunque, i vestiti si erano colorati di rosso e apparivano abrasi nei punti dov'era caduta. Sangue denso le gocciolava dalla manica nera, aveva lasciato la scia e con questa un odore ferroso e dolciastro.
«Dobbiamo sistemarti quel braccio.» Ordinò Law, mentre ancora la sorreggeva per un fianco.
«Preparo la sala, Bepo stai tu con lei.» Gli comunicò perentorio, dopodiché sparì dietro la porta con il cappotto che gli svolazzava intorno alle gambe a mo' di tenda.
«Non è bello per niente.» Osservò l'orso con gli occhi puntati sull'angolo innaturale in cui lo reggeva.
Nina si lasciò scivolare con la schiena sulla banchina e se lo strinse sull'addome, la testa tra le gambe.
Era buio pesto, le onde rifrangevano la flebile luce delle stelle e la brezza salmastra che le entrava sotto la camicetta sdrucita le provocò un brivido di freddo. Era sudata da capo a piedi, sporca di sangue e di terra, solo le lacrime che versò in silenzio rivelarono il vero colore della sua pelle.
«Dai, è finita.» Provò a consolarla l'orso bianco.
«No non è finita.» Singhiozzò la donna. «Mi avete portato di nuovo qui sopra.»
Sbatté forte un piede sul ponte di legno, avvertì una fitta alla schiena.
«Meglio qui che morta, non credi?»
«L'avrei battuto, mi avete distratto voi.» Li accusò. I suoi singhiozzi trattenuti lo scossero e lo fecero deprimere.
Pronò il capo e scivolò a sedere accanto a lei in silenzio.
Passarono molti minuti di quiete, almeno 20, prima che il capitano riapparisse dall'abitacolo.
«Andiamo, svelti!»
Nina provò a rialzarsi: poggiò la mano buona a terra spingendosi in alto, ma le gambe toppo deboli non la ressero. Urlò quando il braccio destro si spostò e versò altre lacrime quando lo riprese con il sinistro.
«Ce la faccio da sola.» Intimò a Bepo che si era proteso per aiutarla.
«Certo certo.» Commentò Law laconico, poi la prese e la sollevò mettendosela di nuovo in spalla, ignorando le sue proteste concitate.
La trasportò lungo quei corridoi freddi e familiari, su molti c'erano ancora attaccati i disegni di Kikyo.
Si fermarono di fronte a una delle poche stanze in cui la donna non era mai entrata. La porta metallica era enorme e blindata, all'interno si pativa un freddo inaudito, Nina rabbrividì di nuovo.
Nel mezzo della sala c'era un letto in metallo, di fianco carrellini e carrelli con sopra diversi macchinari elettromedicali, siringhe e sacche.
Il medico la appoggiò sul tavolo congelato e le tagliò con un grosso paio di forbici la manica della maglia fino alla spalla.
«Che fai?» Si lasciò uscire.
«Volevi toglierla come fai di solito?»
La donna lo guardò e non rispose.
«Lasciami fare e per una volta non lamentarti.» La bacchettò serio.
«Io non mi-»
«Ecco, ti stai lamentando.» Sbuffò, mentre esaminava l'arto.
Lanciò a Bepo un'occhiata molto eloquente, poi sparì in uno sgabuzzino.
L'orso proseguì tagliandole i pantaloni nei punti che vedeva intrisi di sangue.
«Questi vanno tolti, quel ginocchio non mi piace.» La avvisò prima di cominciare a farne brandelli. «Non mi stupisce che tu non riesca a camminare.»
La donna subì muta quella mattanza di abiti, gli unici che aveva e non fiatò nemmeno quando l'animale le tolse la maglia.
Dopodiché le bucò una vena dell'avambraccio sano proprio di fianco a una cicatrice fresca e attese, l'ago canula sfoggiava un grazioso tappino rosa
«Ho freddo.» Gli comunicò.
«Ha quasi fatto.» La rassicurò Bepo asciugandole la lacrima che le era caduta.
Il suo corpo scoperto rivelava una magrezza al limite del patologico e numerose altre cicatrici, alcune già bianche, altre rosse e più profonde che indicavano scontri avvenuti di recente.
Law uscì dalla stanza con mascherina, camice e guanti bianchi.
La osservò poi avvicinandosi le disse: «Se non ti dispiace ti addormento.»
Lei non rispose, si limitò a guardare il soffitto illuminato da led bianchissimi mentre il medico le iniettava qualcosa attraverso la canula.
Nel giro di un paio di secondi non sentì più niente.

Non seppe quanto tempo fosse passato quando una gentile voce di donna la chiamò, ma ne fu molto contrariata, dopotutto stava dormendo così bene, non ricordava da quanto non accadeva.
Strizzò gli occhi infastidita dalla luce forte ma non li aprì, poteva sentire una mano nella sua e aveva un gran freddo.
«Dalle qualcosa, la farai diventare un sorbetto.» Pronunciò la donna arrabbiata.
Poi si sentì buttare addosso un tessuto caldo.
«Questa dovrebbe andare.» Disse un uomo il cui timbro non udiva da un po'.

Quando si risvegliò aveva un gran mal di testa e la vista appannata, tuttavia la faccia di Narvalo fu impossibile da non riconoscere.
La donna sedeva per terra a braccia e gambe incrociate e dormiva con le testa su un lato appoggiata alla parete della cabina.
Guardò l'orologio sul muro grigio: erano le 11 del mattino.
Ebbe un moto di agitazione.
«Le 11? Quanto ho dormito?» Chiese a voce alta, svegliando l'altra di soprassalto.
«Oi Nina, tranquilla sei nella tua stanza.» La avvisò lei, strusciandosi un occhio.
«Oh.» Realizzò Nina e si ributtò nel letto.
«Come stai? È durata un bel po' l'operazione.»
«Già, l'operazione ecco perché ho il braccio pesante.» Tolse le coperte e strabuzzò gli occhi. «Ma sono nuda!» Esclamò agitata.
«Così funzionano le operazioni.» Spiegò Narvalo molto confusa.
«Ma i miei vestiti... non ho più vestiti.» Strabuzzò di nuovo gli occhi tanto che stavano per uscirle dalle orbite.
«In compenso hai un braccio nuovo.» Disse l'altra sorridendole gentilmente.
La donna lo osservò: era ingessato fino alla spalla e più giù aveva un cerottone anche sul ginocchio destro e varie altre medicazioni su cosce e addome.
«Ci hanno messo quasi cinque ore a risistemarti le ossa al posto giusto, hanno finito dopo le 7 di stamattina.»
«E Kiki?»
Narvalo le appoggiò le mani sulle spalle e la baciò dolcemente sulla fronte, facendole il solletico al naso con i suoi ricci castani.
«Sta bene, è con Bart. Non preoccuparti ci siamo noi.»
Nina tirò un sospiro di sollievo.

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