🪝37. Appigli

24 0 0
                                    

Sulla fredda strada per raggiungere la base, si imbatterono in un altissimo scheletro che pareva conoscerli da come corse loro incontro.
Nina restò perplessa a quella visione, ma non commentò quando la creatura si unì a loro per dirigersi alla base.
Il laboratorio di quello che tutti chiamavano "padrone" sorgeva alle pendici di una montagna innevata, appariva smesso esternamente: un ammasso di vecchi ruderi metallici abbandonati al freddo, ma dentro era più popolato che mai.
Aveva sentito una conversazione al lumacofono, in cui aveva appreso che gli altri suoi compagni si trovavano al suo interno intenti a salvare un gruppo di bambini resi prigionieri.
Al loro arrivo trovarono un gran trambusto.
Pezzi di una nave della marina erano sparsi qua e là lungo la strada e si potevano vedere ovunque segni di uno scontro.
Nina sgranò gli occhi.
«Andate sul retro.» Ordinò freddamente, mentre dissolveva la sua nube di falene e atterrava con grazia sulla gradinata principale.
L'inquietante scheletro, che fino a quel momento non aveva fatto domande le si rivolse con garbo, togliendosi il cappello e mostrando completamente i suoi nerissimi capelli afro.
«Un momento signorina...» Richiamò la sua attenzione prima che aprisse il portone. Questo tuttavia si levò lo stesso.
«Sì?»
«Alla fine di questa storia, che molto insegnerà a tutti noi, potrebbe gentilmente farmi vedere le mutandine?»
Nina alzò un sopracciglio e l'uomo che comparve dall'entrata ormai aperta fece altrettanto. Portava un cappello con la visiera bianco maculato e un lungo cappotto nero.
«Traf!» Esclamò Lufy a quella vista, ma venne ignorato. Law guardò confuso Nina, poi il gruppetto al suo seguito.
«Andate sul retro.» Ripeté assertivo facendo entrare la donna e scomparendo all'interno o con lei.
«Non ha detto di no comunque.» Disse la voce di Brook mente la porta si chiudeva.
L'ingresso era nella penombra, ma almeno faceva più caldo che all'esterno e la donna poté tornare a respirare normalmente.
Si posizionarono nel punto cieco delle telecamere.
«Che è successo qui?» Gli chiese preoccupata sbottonandosi il cappotto.
«Un disastro, dov'eri tu?» Replicò sottovoce mentre le sfregava le spalle per scaldarla.
«Sono venuti a chiedermi supporto per abbattere degli intrusi e poi ho visto chi erano gli intrusi.»
«Qui è arrivata la Marina, qualcuno ha mandato un SOS.» La informò il capitano.
«Cazzo, chi hanno mandato?»
«Il cacciatore bianco, ho provato a dirgli che ero da solo, ma ha visto i compagni di cappello di paglia correre fuori con dei bambini.»
«Porca puttana, tu stai bene?» Domandò preoccupata mettendogli una mano sulla gota. Law chiuse gli occhi per un secondo godendosi quel contatto.
«Sì.» Rispose. «Dobbiamo cambiare i nostri piani.» Aggiunse scocciato.
«Dannazione, non ci voleva proprio adesso.»
«Stai tranquilla, troveremo una soluzione.» La rassicurò prendendole le mani e baciandole, erano gelide. «Così tu potrai raggiungere gli altri, non mi piace che stia qui a patire il freddo.» Concluse strusciandole energicamente tra le sue.
«A me va bene stare in qualunque posto sia tu, lo sai...» Mormorò lei lasciandogli un bacio sulle labbra.
L'uomo sorrise intontito. «Kiki ha bisogno di te...»
«E di te.» Lo incalzò facendolo di nuovo sorridere.
«Cosa facciamo adesso?» Chiese lei ansiosa.
«Dobbiamo allearci con loro, non c'è scelta.» Replicò l'uomo serio.
«Se non accettano?»
«Accetteranno, saranno costretti: ho scambiato un paio dei loro poco fa.»
Nina ridacchiò divertita.
«Tu...» Esordì incerto Law. «Gli hai detto qualcosa?»
«No, non sapevo come.» Abbassò gli occhi ambrati verso i suoi stivali.
«E ti hanno seguito lo stesso?»
«Che vuoi che ti dica? Meglio così.» Alzò le spalle lei.
«Non so se è una buona idea vuotare il sacco adesso.» Osservò Law, teneva ancora le mani di Nina.
«Perché no?»
«Non sappiamo se possiamo fidarci.» Spiegò l'uomo.
«È suo zio.» Lo sguardo della donna si era fatto duro.
«Potremmo tenercela come asso nella manica per convincerli.»
«Lei non è un asso nella manica.» Commentò tesa, poi sfilò le sue mani da quelle grandi e tatuate di Law. Lo guardò con aria di rimprovero facendogli abbassare gli occhi.
«Non era questo che intendevo.» Si giustificò l'uomo piccato.
«È quello che hai detto... perché sei così restio? È la sua famiglia.» Il suo sguardo restava immutato, ma il tono le si era addolcito.
«Ce l'ha già una famiglia.» Mormorò con aria colpevole.
«E nessuno gliela porterà via, ma ha il diritto di sapere. Entrambi lo hanno.»
Law la osservò contrariato.
«Perché li hai portati qui?»
Nina non capì dove voleva arrivare con quel quesito, alzò un sopracciglio.
«Cosa dovevo fare?»
«Quello che ti avevano richiesto i soldati.»
Era palese che nelle sue parole si celasse tutt'altro.
«Sei impazzito? Dovevo eliminare un membro della mia famiglia? Ma ti senti quando parli?» Fece un passo indietro inorridita.
Il capitano guardò a terra, poi la donna.
«Ci causeranno solo un mare di problemi, lo hanno già fatto.»
«Non mi pare abbiamo mai deciso di ammazzare nessun innocente che ci causava problemi, o io sarei già morta.»
Law non rispose, seguitava a guardarla con i suoi occhi grigi e inespressivi.
«Perché mi dici questo? Adesso che ho ritrovato un familiare...» Lo sdegno era palpabile.
«Non ti conosce, non siete nemmeno parenti.»
La donna fece un altro passo indietro a quell'affermazione.
«Non servono legami di sangue per essere una famiglia e dovresti saperlo molto bene!» Replicò alzando il mento con aria gelida.
«No...» La sua mente era offuscata da qualcosa che non riusciva a esprimere a parole.
«Quindi dove sta il problema?» Domandò di nuovo lei.
«Non mi piace l'idea...»
«Perché?» Lo incalzò con un tremendo sospetto, tirando fuori un pacchetto di sigarette.
«Non mi piace che ti faccia pensare a lui, non mi piace che Kiki ci pensi.»
«Ancora questa storia...» Mormorò delusa Nina accendendosi una sigaretta. Nella semi-oscurità si vide il suo volto tondo illuminato di arancione.
«Sì! Non posso farci nulla, scusa se tengo a voi!» Esclamò Law esasperato.
«Non so più che cosa dirti per convincerti che nessuna di noi due fuggirà via con un morto.» Sbuffò una nuvola bianca sul suo volto pallido, la sua apparente calma sembrava il preludio di una tempesta tremenda.
«Ci sei andata vicina, o devo ricordartelo io?»
«Dobbiamo parlarne proprio adesso? È passato quasi un anno.» Le sue parole celavano aggressività, si guardò le unghie della mano che teneva la sigaretta.
«Mi sembra che abbiamo aspettato anche troppo.»
«Possiamo aspettare ancora?» Sussurrò lei abbassando gli occhi.
«No, non possiamo! Già questa cosa mi logora, ora vuoi diventare pappa e ciccia con il tuo cognatino.» Sputacchiò tentando di trattenere il tono della voce. Il suo sguardo era furibondo.
«Lui farà sempre parte di me Law, devi accettarlo.»
«Tu lo sai cosa mi stai chiedendo?» La voce dell'uomo era provata da un'emozione ben più profonda della semplice delusione. Una piccola lacrima gli scese sulla gota.
Nina sbuffò altro fumo e gli si avvicinò asciugandogliela con la mano. L'uomo chiuse gli occhi e inclinò la testa verso quel dolce tocco.
«Lo so, ma se non sei disposto a lavorarci, io...»
Un'altra grande goccia salata le bagnò la mano ancora posata sul suo viso.
«Ci sto provando, ci sto p-provando davvero credimi.» Mugolò.
«Lo so, lo so amore mio.» Gli prese il viso tra le mani, buttando a terra la sigaretta e iniziò a baciarlo sulla fronte.
«T-ti ho quasi persa per colpa s-sua, ho perso...» Non finì la frase, la prese e la strinse forte a sé singhiozzando forte.
Nina lo accolse stringendolo a sua volta. Seppur sciolto in un mare di lacrime era caldo, profumato, rassicurante. Si sentì completa.
«Lo so che questo ti distrugge, ma si sono ferite che nemmeno tu puoi guarire.»
L'altro singhiozzò più forte a quelle parole e la portò ancor più vicina a sé. Ogni immagine di quella battaglia, che aveva visto solo parzialmente, gli ritornò alla mente. La ricordò mentre con furia spietata e gli occhi vuoti, quasi ipnotizzata, colpiva Akainu sul volto ancora e ancora. Risentì quei tonfi sordi rimbombargli nei timpani e rivide le sue mani zuppe di sangue, poi lei zuppa di sangue di una vita di cui nemmeno sapeva l'esistenza.
Proprio quando credette di svenire per il troppo dolore, Nina parlò: «T-ti amo, s-scusami.»
Gli sembrò di tornare a respirare. Lei era lì con lui, vicina che più non si poteva e lo stava sostenendo. Avevano una bellissima bambina, una fantastica famiglia allargata. Ritrovò tutti i suoi appigli anche nel dolore.
«Scu-sami, ti amo.»

The worst generationDove le storie prendono vita. Scoprilo ora