Cap.2 Jensen x Curtis

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JANETTE

«Mi lasci dire che è un piacere essere qui», rompo il ghiaccio, accomodandomi.

Il signor Curtis mi guarda con aria rilassata, sorridendomi. Sembra completamente a suo agio nel completo blu notte gessato che indossa. Il grigio dei suoi capelli testimonia l'età avanzata ma non troppo; ha delle guanciotte rosate che gli donano un tocco simpatico, occhi verde scuro che lo rendono enigmatico e affascinante allo stesso tempo, capigliatura folta con un ciuffo che mi ricorda un po' Elvis Presley. Le folte sopracciglia bianche incorniciano meglio il suo volto e le rughe d'espressione, collezionate nel corso degli anni, danno l'idea di un uomo vissuto. Sprigiona eleganza e mascolinità da tutti i pori e no, non è dovuto solo all'abito di alta sartoria che indossa. Mi scruta a fondo, soffermandosi sul mio viso. Spero di non arrossire sotto al suo sguardo vigile e attento. Avrò indossato l'abito giusto, oggi? La mia mente non smette di pensare a ciò.

«Dammi pure del tu, Janette. Non ho più l'età per sentirmi dare del lei», ironizza, sorridendo appena.

Ricambio il sorriso, sistemandomi meglio sulla poltrona in pelle. L'ufficio è molto accogliente, illuminato al punto giusto e ho l'impressione di essere tra le mura di casa per come è stato arredato. Su una parete sono appesi quadri che ritraggono una famiglia felice, quella del signor Curtis, appunto. Sull'altra, invece, vi sono diversi attestati datati che testimoniano gli anni di duro lavoro e di studio del capo. Colgo anche il più piccolo dei dettagli, impressionata e catturata da tanta bellezza.

«Come stanno i tuoi genitori, Janette? Se avessi saputo prima che sei la figlia di John, non avrei fatto aspettare tanto per convocarti qui», mi dice, facendomi rinsavire.

Torno con lo sguardo su di lui, schiarendo la voce.

«Li conosce?», chiedo leggermente stupita, «stanno bene, comunque. Papà è sempre in giro per il mondo e la mamma si divide tra il lavoro e la famiglia», continuo, accennando un sorriso.

Ecco, ora sì che mi sento in imbarazzo. Non ho mai chiesto l'aiuto dei miei genitori eppure sembra proprio che la loro ombra incomba su di me. Ho lavorato tanto per costruire la mia strada e per arrivare dove sono arrivata senza sfruttare il mio cognome. Anni e anni di studio, il master, la gavetta nelle piccole aziende. Nulla di tutto ciò sembra bastare, però, quando ci si ritrova a dover fare i conti con quella che è la realtà. Da generazioni i Jensen possiedono diverse compagnie aeree sparse per il mondo. Compagnie di linea e jet privati. È iniziato tutto con il mio bisnonno, poi con mio nonno, ora con mio padre e mio zio. È un vero e proprio impero, super redditizio e soprattutto per niente accessibile alle persone "normali". Di solito, infatti, sono le star o comunque le persone di un certo "rango" che scelgono la Jensen airleins per i propri voli. Vuoi scappare in un altro Paese senza far sapere nulla a tua moglie? La Jensen airleins te lo permette. Vuoi volare da NY a Parigi in completa solitudine? La Jensen airleins te lo permette. Il tutto con la massima discrezionalità e segretezza, con tutti i confort possibili e inimmaginabili e a un prezzo super accessibile... almeno per loro.

«Certo che li conosco, volo solo ed esclusivamente con loro. Non mi fido di nessun altro», sorride ancora, quasi come a voler sottolineare il concetto.

Arrossisco leggermente, abbassando lo sguardo. Tutto questo mi mette tremendamente in imbarazzo. Forse, se avessi saputo, non avrei accettato di lavorare qui.

«Tornando a noi, Janette, ti ho convocata qui perché credo che tu abbia il potenziale giusto per ricoprire la carica di brand manager all'interno della Royals & Fashion», dice con tono serio, smorzando il sorriso che poco prima dipingeva il suo volto.

Il cuore prende a tamburellarmi in modo sconnesso.

Tranquilla, Jan. Nulla che tu non possa affrontare.

«Ovviamente, non farai tutto da sola. C'è un intero team pronto a lavorare con te», continua, ammorbidendosi un po'.

Sto per aprire bocca quando sento bussare alla porta.

«Avanti», urla Curtis, aggrottando appena la fronte.

«Scusa il ritardo, Cur, c'era un sacco di gente in caffetteria».

Una voce mascolina e roca inonda la stanza, facendomi voltare nella sua direzione. Rimango pietrificata sulla poltrona, con la bocca schiusa appena e gli occhi che fluttuano su ogni centimetro del suo corpo. Le mie unghia sprofondano nel bracciolo, causandomi quasi dolore.

«Non posso crederci», bisbiglio.

Dio, che problemi hai con me oggi?


(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora