JANETTE
Perché?
Perché Curtis ha deciso di incasinare il mio mondo? Non mi piace lavorare a contatto con chi non mi apprezza, soprattutto se quel qualcuno ha dimostrato sin dall'inizio la volontà di farmi cadere. Michael sembra un angioletto agli occhi di tutti in quest'azienda ma solo io ho capito chi è davvero. È un diavolo, il peggiore. Il suo giochetto non avrà vita lunga; se pensa di poter manipolare me, si sbaglia, di grosso. Il nostro bacio non conta nulla. Così come non conta nulla tutto quello che ci siamo detti. È un problema suo se è arrivato a sognarmi. Significa che mi sono intrufolata bene nella sua mente. Lo userò a mio vantaggio. Pensa davvero che io possa cadere ai suoi piedi? È bellezza esteriore, nient'altro.
Ho scoperto che nel seminterrato c'è una palestra. Ho passato la pausa pranzo lì. Jordan mi ha rimediato un cambio all'ultimo minuto; devo ammettere che è un po' troppo striminzito per i miei gusti. Tuttavia, preferisco quello all'abito che avevo indosso dalla sera precedente. Il solo ricordo delle mani di Chase su di me, mi fa rabbrividire. Devo annotare la sua come "peggior uscita con il peggior caso umano di sempre" nel mio diario di casi umani. Ecco, lui è un altro chiarissimo esempio di cervello non pervenuto. Esteticamente è davvero un bel ragazzo ma per il resto... stendiamo un velo pietoso. Non mi ci vuole molto per capire come mai lui e Michael vadano così tanto d'amore e d'accordo.
«Eccomi», lo sento entrare nella stanza a passo svelto.
«15:10, sei in ritardo», alzo lo sguardo nella sua direzione, provocandolo.
Ha i capelli scompigliati, la camicia leggermente aperta e impugna la giacca con una mano, portandola sulla spalla. Il suo viso è arrossato, come se fosse appena uscito dalla doccia. E probabilmente è così, l'odore di bagnoschiuma inonda le mie narici. È... buono. Contro ogni pronostico.
«Ho avuto una pausa pranzo un po' movimentata», ammicca.
«Non mi interessa», lo interrompo subito. «Mettiamoci a lavoro».
Michael afferra la sedia e la porta vicino alla mia, accomodandosi con nonchalance. La sua vicinanza mi provoca un leggero pizzicore alle guance, come se mi stesse mettendo in imbarazzo. In realtà penso sia solo fastidio. È fastidio.
«Non serve che tu ti avvicina così tanto», gli dico, scostandomi di qualche centimetro.
«Perché? Hai paura che tu possa lasciarti andare come nell'ascensore?», si avvicina pericolosamente al mio orecchio, facendomi vibrare anche l'ultimo briciolo di contegno rimastomi in corpo.
«Non è successo nulla in ascensore», sposto lo sguardo sul corridoio, respirando come se fossi riemersa dai fondali. Non cedere, J. Non cedere.
«Ah no? E io che pensavo che la mia lingua avesse incontrato brutalmente la tua», si avvicina maggiormente, inspirando il mio profumo. La punta del suo naso pizzica il mio collo, costringendomi a stringere maggiormente le gambe. Questo completo non mi aiuta, sembra che il tessuto stia bruciando sotto di me. Perché sembra sempre che Michael sappia cosa dire per far bruciare quella piccola parte di me che non voglio rivelargli?
«Lavoriamo?», torno con lo sguardo su di lui, evitando la domanda. Il mio tono tradisce un leggero imbarazzo e probabilmente a Michael questo non sfugge. Lo capisco dal sorriso sfacciato che dipinge il suo volto.
Si allontana, poggiando le braccia sulla scrivania e incrociando le mani. Ingoio un boccone immaginario, sfiorandomi le guance con una mano; sono bollenti. Spero che all'esterno non sia visibile. Posiziono meglio la tastiera del computer e inizio con l'illustrare a Michael quanto fatto sino ad ora.
«Curtis vuole che la Royals & Fashion lavori con la White Enterprise», dico schietta, mantenendo gli occhi puntati sul monitor.
«Con cosa?»
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(UN)fortunately we are in love
ChickLitJanette Jensen ha trent'anni e per la prima volta in vita sua da quando si è laureata in economia e marketing, è stata contattata per lavorare in una delle più prestigiose aziende di Manhattan: la Royals & Fashion. Michael Moore ha trentatré anni, u...