Cap.5 Off limits

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JANETTE

«Potresti rallentare, almeno? Non è facile starti dietro con questi ai piedi», lo inseguo, arrancando.

«Non è un problema mio, impara a stare al passo», taglia corto lui, acidulo.

Bastardo.

«Questa è l'aria relax, come vedi ci sono tutti i confort possibili e inimmaginabili. Nel frigo trovi bottigliette d'acqua, succhi, tè e tutto ciò che non è alcolico o super alcolico», m'istruisce, «purtroppo», continua.

Respiro a fondo, portando una mano sullo stomaco per contenere il dolore che lo invade. Finirò di lavorare ancor prima di iniziare, se continuo così. Michael si volta nella mia direzione soffermandosi a guardarmi ancora una volta. I suoi occhi mi scrutano a fondo e non so che idea si stia facendo di me ora. Dio, perché non riesco a decifrarlo?

«Ti do un consiglio spassionato», mi si avvicina appena, «mangia prima di essere mangiato. Non hai amici qui, ognuno pensa al proprio culo e difficilmente troverai qualcuno disposto a porgerti la mano», mi alita appena sulle labbra, mantenendo lo sguardo ancorato al mio. «E soprattutto, cerca di rimanere nel tuo, non sopporto di dover fare da babysitter a qualcun altro».

Torna alla sua posizione iniziale, mantenendo quell'espressione da stronzetto indignato che lo contraddistingue dal primo momento che ci siamo incontrati; sento crescere dentro me una voglia irrefrenabile di spaccargli la faccia. Ma come si permette? Crede davvero che io abbia bisogno di lui per lavorare qui dentro?

«Avrei fatto volentieri a meno di te. Curtis ha insistito, non io», gli faccio notare, guardandolo sottecchi. «Permettimi di darti un consiglio spassionato a mia volta», continuo, avvicinandomi a passo lento, «dovresti fare un corso di educazione accelerato, uno di quelli su come ci si comporta correttamente con i nuovi colleghi di lavoro», gli punto l'indice sul petto, costringendolo ad arretrare appena. «Sai, non sei proprio il massimo della simpatia e della gentilezza», ironizzo, scavando a fondo con l'indice sulla sua camicia.

Fugacemente abbassa lo sguardo sul mio dito per poi tornare al mio volto. Sorride appena, beffardo. Lo conosco a stento e già non lo sopporto. Ottimo. È una cazzo di punizione questa.

«Stai attenta, novellina», sussurra, «non mi piace ripetere le cose due volte», afferra il mio dito e lo scosta, spostandosi a sua volta verso l'uscita.

«Va al diavolo», bisbiglio, adirata.

Consapevole che lui non abbia sentito, lo seguo nuovamente verso il resto dell'azienda.

«Quello è il mio ufficio, off limits per te se non per motivi urgenti», dice, volgendo lo sguardo a destra, «e quello è il tuo», conclude, ruotando la testa a sinistra.

«Perché off limits?», lo rincorro, letteralmente. «E perché tu hai un ufficio così grande e accogliente mentre nel mio c'è a malapena la scrivania?», noto, contrariata.

Michael si ferma, finalmente. Mantiene lo sguardo rivolto verso il finestrone che dà sulla strada, dandomi le spalle. Vorrei tanto picchiettare sul suo dorso per farlo voltare ma sento che è una battaglia completamente persa.

«Non mi piaci, Janette. E non voglio che tu ti sforzi nel provarci», mantiene un tono asciutto, asettico. «A causa tua un mio amico ha dovuto abbandonare quel posto. Ti sarei grato se tu mi rivolgessi la parola il minimo e indispensabile e se tu mi evitassi nel restante tempo che passerai qui, sarà anche meglio». Porta entrambe le mani nelle tasche dei suoi pantaloni. «Io lo farò».

Finalmente si volta nella mia direzione e prima che io possa ribattere, raggiunge il suo ufficio a grandi falcate.

Faccio lo stesso, sbattendo la porta dietro di me.

«Stronzo pezzo di ghiaccio», borbotto, «robot privo di sentimenti», continuo, fulminandolo con lo sguardo.

Sì, l'ufficio con pareti in vetro. Un altro scherzo del destino che mi metterà a dura prova qui dentro.

Apro il cassettino della scrivania e rimango stupita alla vista di un kit di sopravvivenza per l'ufficio: fazzoletti, caramelline di vari gusti, un barattolino di cioccolata fondente con un cucchiaino al seguito, bustine di tè al limone e ai lamponi, una pinzetta per sopracciglia e qualche assorbente sparso qua e là.

«Adoro!», esclamo felice.

Scarto una caramella e la porto alle labbra, assaporandola. Le good vibes stanno prendendo il sopravvento su quelle negative e sono davvero felice di ciò. L'acido del limone fa arricciare il mio naso in segno di rivolta; chiudo appena gli occhi per poi riaprirli velocemente.

Guardo fisso nell'ufficio di Michael e lo trovo lì, seduto dietro alla sua maestosa scrivania, che mi fissa con ghigno beffardo. Posso notare la sua espressione di cazzo sin da qui.

«Brutto stronzo», bisbiglio, facendogli il verso e mostrandogli la lingua.

Sarà una giornata pesante. Lo sento.


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