Cap.33 Invasione di campo

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MICHAEL

È strano averla nel mio spazio. È distesa nel mio letto, tra le mie lenzuola, con le coperte che le sfiorano il naso. Accarezzo il suo viso delicatamente, curandomi di non svegliarla. Si è addormentata subito, complice la stanchezza e l'ora tarda. Nonostante sia quasi mattino, non riesco a chiudere occhio. Continuo a osservarla e non me ne capacito, come si può arrivare a tanto? Ha il viso gonfio, piccole ecchimosi le colorano il volto di viola, il labbro spaccato trasuda dolore e sofferenza. Non andiamo d'accordo, è vero. Tuttavia non avrei mai immaginato che l'avrei vista in questo stato. Sono abituato a vedere la sua parte sfacciata, strafottente. Stuzzicarci a vicenda è il nostro modo di comunicare e ora mi sembra di essere completamente muto. Una fitta di dolore invade il mio petto, costringendomi a ritrarre la mano. Mi sento dannatamente in colpa per quanto accaduto. Forse è meglio se la lascio dormire in pace, lontano da me e dai miei pensieri intrusivi.

Mi alzo lentamente, mantenendo lo sguardo fisso su di lei. Più la guardo, più sento il cuore tamburellarmi in petto in modo sconnesso. Se potessi farlo, eliminerei tutto il dolore dal suo corpo per portarlo nel mio. Se potessi farlo, guarirei ogni sua ferita. Ma sono solo uno stupido essere umano e tutto ciò non mi è permesso.

«Resta, ti prego», bisbiglia con voce impastata.

Mi blocco sul posto, incredulo. Sta accadendo realmente? Vuole che io dorma con lei? Sta delirando, non c'è altra spiegazione. La ignoro, indietreggio ancora. La sua voce però torna a farmi vibrare l'anima.

«Non voglio rimanere da sola, ti prego», continua, questa volta aprendo gli occhi.

«Non ci entriamo, il letto è piccolo. È meglio che tu dorma tranquilla», dico, sottolineando l'evidenza.

Janette si sposta in avanti, mantenendosi distesa su un lato. Il suo viso si contrae in una smorfia.

«Michael, non fare l'idiota», mi rimbecca, «ci entriamo, te lo assicuro».

«Dovrò abbracciarti per farlo. Lo vuoi davvero?»

Annuisce, sorridendo.

«Hai decisamente preso una botta bella pesante per arrivare a ciò», ironizzo.

Janette si limita a sorridere, evitando di rispondere.

Lascio cadere gli abiti ai miei piedi, rimanendo a torso nudo. Indosso il pantalone del pigiama e mi infilo nel letto con uno scatto. Sento vibrare tutto al mio interno; è come se un terremoto avesse scosso i miei organi, il mio stomaco e la mia anima. Mi sento bruciare. E per assurdo, non voglio che questo fuoco venga spento. Mi avvicino maggiormente a lei e delicatamente, la porto al mio petto. Non mi importa se domani avrò perso la sensibilità alle braccia, voglio stringerla a me. Voglio sentire il suo calore sulla mia pelle, voglio farla sentire al sicuro. Affondo il naso nei suoi capelli; l'odore deciso del profumo invade le mie narici, inebriandole.

«Hai un buon profumo», ammetto senza pensarci troppo.

«Sei serio? Non mi sono nemmeno lavata dopo quello che è successo», ironizza.

Il suo corpo si scuote sotto al mio tocco. Ride e sembra essere sollevata rispetto a prima. Sono felice di esserle d'aiuto in qualche modo.

«Sul serio», poggio il mento nell'incavo della sua spalla, «ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa di grave», confesso, abbassando di un tono la voce.

Janette torna seria. Il suo corpo si irrigidisce e percepisco l'agitazione senza il bisogno di guardarla in faccia.

Cazzo, Michael, perché non hai taciuto?

«Diciamo che ci vuole più di una rapina per buttarmi giù», prende un respiro, «ho temuto solo che potessero approfittare di me», conclude affranta.

(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora