JANETTE
Dieci ore.
Dieci lunghissime ore in cui dovrò portarmi avanti con il lavoro, riposare, stuzzicare Michael e ancora lavorare.
Mio padre ha concesso alla Royals & Fashion uno dei suoi jet più prestigiosi e comodi, lo stesso che solitamente utilizzano politici e uomini e donne di un certo rango. Non so se questo possa essere un bene o un male ma solo in questi momenti realizzo davvero quanto sia comodo essere così privilegiati. Non gli sono riconoscente quasi mai, abituata come sono a cavarmela da sola ma, devo ammetterlo: mi ha salvata. Anzi, ci ha salvato.
«A cosa pensi?», chiedo, sistemandomi meglio sul mio sedile.
«Sto studiando una strategia per coinvolgere al cento per cento gli italiani», ribatte, senza alzare lo sguardo dallo schermo del pc.
«Sai che spetta a me», dico dolcemente, «non sovraccaricarti di lavoro».
Michael mugugna qualcosa di incomprensibile. So benissimo che niente e nessuno lo desterà dal fare quello che sta facendo ragion per cui mi metto subito a lavorare a mia volta.
Nonostante l'accordo con gli italiani sia stato siglato molto tempo fa, Jonathan ha insistito tanto affinché io e Michael "controllassimo" di persona che tutto fosse al proprio posto. Un po' buffo da parte sua "spedirmi" dall'altra parte del mondo con la poca esperienza che mi ritrovo all'interno della Royals & Fashion ma sono certa che il tutto sia stato fatto con un motivo ben preciso: mettermi alla prova. Jonathan non è Curtis e sta facendo di tutto per ricordarmelo. Se prima dovevo lavorare il doppio per dimostrare quanto io meritassi il posto, adesso devo farlo il triplo. E devo farlo bene perché non posso e non voglio perdere il lavoro. Tornare a lavorare in aziende di secondo livello non rientra più tra le mie opzioni: o il meglio o niente.
«Hai avuto notizie di Curtis?», chiedo di getto, mantenendo lo sguardo fisso sullo schermo del mio computer.
«Sento sua moglie ogni giorno», ribatte con lo stesso tono, «ma purtroppo ci vorrà del tempo prima che possa tornare alla normalità».
«Ah»
È tutto quello che riesco a dire. Non voglio che Michael si intristisca a causa mia. Curtis è un po' come un secondo padre per lui; lo conosce sin da quando era solo un bambino e ha frequentato casa sua più di ogni altra persona al mondo. So tutto questo perché Michael, con il tempo, ha imparato a confidarsi con me. Se c'è una cosa che adoro di lui è proprio questa: scoprirsi piano piano, come un fiore che si schiude dopo giorni di pioggia sotto ai primi timidi raggi del sole.
Michael non è una persona "semplice"; conta più difetti che pregi, ha un pessimo carattere a primo impatto e per strappargli due parole di bocca bisogna quasi penare. Allo stesso tempo però, ha un cuore grande e genuino. E non serve che lui spieghi la sua sofferenza a parole, parlano gli occhi. Gli stessi occhi che si accendono solo in mia presenza, spegnendosi nel momento in cui devono osservare qualcosa o qualcuno che non sia io. Può sembrare morboso all'apparenza ma non lo è; sembra quasi una sorta di devozione, come se non esistesse niente di più bello al mondo per lui.
«Hai fame?», dice, alzandosi e osservandomi.
«Un po'», mi alzo a mia volta con non poche difficoltà, «dovrebbe esserci qualcosa da mangiare da qualche parte, non sono molto pratica».
Michael si sposta velocemente, mantenendo un andamento degno di un felino. Io, al contrario suo, fatico quasi a stargli dietro. Com'è possibile che riesca a mantenere l'equilibrio così bene nonostante entrambi siamo su un dannato aereo e non sulla terra ferma?
«Credo di non aver mai conosciuto qualcuno più imbranato di te», commenta ironico mentre entra in quella che è la nostra camera da letto.
«Senti», ribatto prontamente, poggiando il palmo della mano sulla parete, «non sono io imbranata, è questo coso che si muove troppo».
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(UN)fortunately we are in love
ChickLitJanette Jensen ha trent'anni e per la prima volta in vita sua da quando si è laureata in economia e marketing, è stata contattata per lavorare in una delle più prestigiose aziende di Manhattan: la Royals & Fashion. Michael Moore ha trentatré anni, u...