Cap.41 L'appuntamento

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MICHAEL

Scaricare la tensione al sacco prima di incontrarla è servito a poco e nulla. Ero convinto che avrei steso Janette con la mia proposta, stamattina. Tuttavia, non avevo fatto i conti con la sua personalità. Ha accettato senza battere ciglio, stupendomi e lasciandomi senza parole. Letteralmente. Più ci penso, più non me ne capacito. Due milioni e mezzo, cazzo. Ok, suo padre è uno degli uomini più ricchi di Philadelphia. Ma possibile mai che lei disponga di tutta questa liquidità nell'immediato?

Il fatto che divideremo persino il pianerottolo, poi, è quello che più mi destabilizza. Sono davvero sicuro di riuscire a controllare una come lei? È Janette. E per quanto detesti ammetterlo, ha le palle. In più, da quando il coglione ha deciso di corteggiarla inviandole ogni giorno delle rose in ufficio, mi sento più nervoso del solito. Non lo so, c'è qualcosa che non mi convince. Non che mi interessi la sua vita privata. Tuttavia, preferirei che questo non interferisse con il resto. Sento che sto per perdere il controllo di tutto. E non posso permettermelo, soprattutto tra quelle mura. Se pensa di poter agire come se fosse a casa sua, si sbaglia. Ti rimetterò al tuo posto, miss Jensen.

Lavo energicamente il petto, provando a togliere dalla pelle il malumore e l'eccessivo sudore. Credo di aver affondato un po' troppo di destro; il polso è leggermente dolorante e le nocche mi si sono arrossate troppo. Faccio attenzione a non far cadere troppa acqua calda sulle stesse; la pelle lievemente scorticata diventa lava a contatto con la stessa. Devo assolutamente comprare dei nuovi bendaggi. Se il risultato è stato questo con qualche ora di allenamento, cosa succederà quando riprenderò ad allenarmi a pieno regime?

Un suono improvviso mi spinge a drizzare le orecchie. Qualcuno è entrato nello spogliatoio fischiettando.

«Cosa diavolo», borbotto, tendendo meglio le orecchie.

Voglio capire chi è prima di uscire da qui dentro.

«Chi c'è?», urlo, sporgendomi leggermente in fuori con la testa.

«Sono io!»

La voce di Jordan mi tranquillizza. Ok, si sarà allenato anche lui. Tiro un sospiro di sollievo. Molte volte è capitato che diverse dipendenti di questo posto finissero nello spogliatoio sbagliato. E per quanto io ami ricevere attenzioni, le loro non erano desiderate. Per questo motivo tendo ad accertarmi sempre di avere davanti degli uomini e non delle donne, appunto. Qualche mese fa, una delle inservienti che si occupa delle pulizie, mi ha sorpreso nudo mentre mi asciugavo davanti allo specchio. Ha indugiato così tanto con lo sguardo sul mio corpo da farmi arrossire. E io non arrossisco mai. Subito dopo, è corsa dalle sue amiche a raccontare quanto vigoroso fossi. Per due mesi non ho fatto altro che subire occhiatine languide, inviti per uscire a bere qualcosa, bigliettini compromettenti ritrovati in ogni dove. Persino nelle mutande pulite dimenticate sulla panchina adiacente una delle docce. Roba da matti. Come avessero scoperto che quelle fossero proprio le mie mutande, non lo saprò mai. Tuttavia, mi è bastato. Non ho intenzione di replicare uno spettacolo simile.

«Di buon umore, stamattina?», dico al mio collega, osservandolo.

È stranamente felice. E non è da Jordan, decisamente. Soprattutto a inizio settimana.

«Possibile che tu e lei parliate anche allo stesso modo?», ribatte incuriosito, squadrandomi dalla testa ai piedi.

«Io e chi?», chiedo spontaneamente, tamponando i capelli con una mano.

«Tu e Janette», accarezza il suo nome con la lingua, temporeggiando e godendosi la mia espressione nel sentirla nominare.

Il suo telefono, nel frattempo, non smette di vibrare. La felicità non avrà mica un nome e un cognome?

(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora