Cap.31 Istinto di sopravvivenza

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MICHAEL

Via dalle mie mani, ancora. Sono un fottuto idiota. Come ho potuto permetterle di giocare così con la mia mente? Come ho potuto lasciarla fare in modo indisturbato? Devo ricordarmi che lei ricopre il posto del mio migliore amico e che io altro non devo fare se non sbatterla fuori dall'azienda a calci in culo. Questo deve essere il mio unico pensiero. Nient'altro. La rabbia annebbia la mia mente, completamente. Accartoccio il pacchetto di sigarette, buttandolo al suolo. Lo calcio via con tutta la rabbia che mi ritrovo in corpo.

Maleducato

La voce di Janette risuona nella mia mente.

«Fanculo», borbotto.

Vago per la città senza una meta effettiva. Ho lasciato la moto dove l'ho parcheggiata per la festa; non sono nelle condizioni adatte per poter guidare. Ho pagato qualcuno affinché la sorvegliasse per tutta la notte. Il dubbio che possano metterci le mani di sopra solletica la mia mente. Mentre cammino sul marciapiede, un'idea malsana e poco pulita, m'illumina. Digito il numero di Chase e nonostante siano le tre di notte inoltrate, lo stronzo risponde.

«Che vuoi?»

«Vieni al Sin's club, ora», dico in modo rude.

«Ma...», prima che possa procedere, gli attacco il telefono in faccia.

C'è un motivo se abbiamo una tessera esclusiva per questo club. Perché non sfruttarla? Saremo venuti qui forse due volte in croce da quando ci siamo tesserati. Dopo averla mostrata ai buttafuori, mi faccio largo nel club. Luci soffuse, odore di tabacco nell'aria, alcol, donne. Soprattutto donne. Il luogo della perdizione. La clientela è per lo più composta da uomini maturi e con un ingente capitale da sperperare; io non rientro tra loro, non ho la bava alla bocca e soprattutto non amo spendere i miei soldi in questo. Tuttavia, ho avuto la grande fortuna di ricevere la tessera gratuitamente, grazie all'amicizia decennale che lega mio padre al proprietario. Di conseguenza, una tappa qui di tanto in tanto è d'obbligo. Soprattutto quando sei il figlio di Axel Moore, l'uomo d'affari più invidiato e odiato d'America. E cazzo, non per vantarmi, ma sono sulla via giusta anche io. Odiato lo sono, sicuramente. Sull'invidia ho ancora molto da lavorare.

«Signor Moore, è un piacere averla di nuovo qui», una specie di maggiordomo mi accompagna al posto riservato.

Mi accomodo, prestando poca attenzione alle sue parole. Sul tavolo trovo una bottiglia di whiskey da almeno cinquecento sterline, sigari e altre cianfrusaglie. Ticchetto nervosamente con le dita sulle ginocchia, in attesa di Chase. Dove cazzo è finito quel coglione? Sento il telefono vibrare nella tasca della giacca ma lo evito. Una cameriera vestita in abiti striminziti poggia sul mio tavolo un kit per il dopo serata: preservativi, caramelle per l'alito e una maschera. Ciò che più amo di questo posto è questo: possibilità di consumare in loco senza dover portare le donne nelle proprie case o nelle stanze d'hotel. Sembrerà un ragionamento da maschilista patologico ma non lo è. Tutte le donne presenti qui dentro sono consenzienti, lo fanno per lavoro e non sono assolutamente costrette. Sono delle prostitute ma di un livello avanzato.

«Ce ne hai messo di tempo», l'ammonisco, mentre l'osservo accomodarsi al mio fianco.

«Sei ubriaco, amico? Guarda che cazzo di ora è», mi risponde rude.

«Calmati, la rabbia ti fa venire le rughe, non te lo hanno mai detto?», mi prendo gioco di lui, «ho bisogno di parlarti».

«E devi farlo in questo posto? A malapena sento la tua voce e poi sai che non mi concentro quando ho tutto questo davanti agli occhi», mi rammenta, spostando lo sguardo sulla stripper che si sta immergendo nella vasca.

Ha ragione. La soglia di attenzione di Chase qui dentro è a livelli davvero minimi. Eppure, nonostante questo, sono sicuro che lui afferrerà il mio discorso.

(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora