Cap.40 Due milioni e mezzo

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JANETTE

Dalle vetrate che separano il mio ufficio da quello di Michael noto un fascio di rose blu riposto sulla mia scrivania. Alzo gli occhi al cielo, esausta. Posso percepire la risatina compiaciuta di Michael nelle mie orecchie senza che lui sia realmente qui a ridere di me. Spalanco la porta, fiondandomi all'interno della stanza. A grandi falcate raggiungo la scrivania e una volta afferrati i fiori, li butto nel cestino. Di nuovo. Mi curo solo di non buttare il biglietto. Lo apro e l'ennesimo messaggio dalla calligrafia perfetta anima il cartoncino nero.

Spero che il blu sia di tuo gradimento. Non mi hai telefonato, devo forse offendermi?

Non mi arrenderò con te.

«Patetico», borbotto, gettando anche il biglietto nella spazzatura.

Faccio per sedermi quando lo vedo entrare nel suo ufficio. Niente abiti sartoriali, solo pantaloncini e canotta. È... sudato. E scompigliato. Non si è mai presentato in queste condizioni a lavoro. Lo sguardo mi cade sui bicipiti super allenati e le gambe toniche. È tremendamente attraente. E tonico. E ancora attraente.

«Janette Jensen non sei più una ragazzina», scuoto me stessa, spostando lo sguardo sul computer.

Per quanto mi sforzi, però, non posso fare a meno di far cadere l'occhio nella direzione del mio collega. Sorseggia dell'acqua da una borraccia mentre il suo pollice annoiato scorre sullo schermo del telefono. Intercetta il mio sguardo e colta di sorpresa, colpevole di tutti i campi d'accusa che mi riguardano, mi affretto a spostarlo altrove. Le mie guance bruciano e prego che lui non se ne renda conto. Non mi piace essere colta in fragrante. Che si tratti di Michael o di qualsiasi altra cosa.

«Cosa dovevo fare?», mi dico, muovendo il mouse sul desktop.

Incredibile, ho perso quell'ultimo barlume di lucidità rimastomi in corpo.

Controllare le email, giusto. Ho un paio di bozze da esaminare prima di mandare l'ok per la campagna. È un lavoro che avrei dovuto svolgere con Michael ma date le circostanze, è meglio se io me ne tenga alla larga. O almeno, è meglio che io ci provi. Mi trovo su un treno che probabilmente deraglierà questa mattina. E non sono pronta a schiantarmi.

«Buongiorno novellina», fa la sua entrata trionfante, sorridendomi. «Altre rose? È proprio un gentleman, mio Dio», mi schernisce, avvicinandosi alle stesse.

«Punto primo: non sono una novellina», gli faccio eco, «punto secondo: puoi buttarti nella spazzatura assieme a loro, se proprio ci tieni».

Guadagno un'occhiata truce di rimando. Ok, forse ho esagerato. Ma ha la capacità di far tendere i miei nervi in modo fastidioso.

«Hai dormito male, ieri notte?», si accomoda, noncurante del mio umore altalenante.

«Ti ho forse detto che potevi accomodarti?»

«Calmati, Rambo. Per quanto ne so, lavoriamo ancora insieme», mi incalza con tono ironico.

Sospiro. È una battaglia persa.

«Cosa vuoi?», chiedo, annoiata.

Non posso soffermarmi con lo sguardo su di lui per più di due secondi. Non so perché mi stia facendo quest'effetto ma è meglio per entrambi che lui lasci l'ufficio nel minor tempo possibile.

«Ricominciamo», mi dice, «buongiorno», continua, prendendosi gioco di me.

Lo detesto.

«Sono venuto qui perché ho delle novità da darti», prende una pausa breve, «alcune buone, altre no».

Ed ecco che l'ansia si impossessa nuovamente del mio stomaco, attorcigliandosi a esso e stritolandolo con forza.

Deglutisco a vuoto, inumidendo il mio labbro inferiore con la lingua. Michael si gode quell'attimo, indugiando più del dovuto con lo sguardo sulle mie labbra.

(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora