MICHAEL
«Non stavo facendo nulla», la rincorro fuori dalla sala relax, mantenendo il passo.
Sembro un cazzo di cagnolino. Lei affretta il passo, quasi infastidita dalla mia presenza; non cedo terreno, non voglio che si faccia strane idee in testa. Anche se devo ammettere che persino un adolescente ha più contegno di me. Cosa diavolo mi è preso?
«Michael, ho scoperto che parli nel sonno», dice, bloccandosi improvvisamente e voltandosi nella mia direzione. I suoi occhi mi scrutano a fondo, saettando su ogni centimetro del mio corpo. Porto una mano ai capelli, scompigliando un po' il ciuffo all'indietro. Merda. Spero di non aver detto cazzate.
«E quindi? Sono un essere umano, può essere che lo faccia quando sono troppo stressato», puntualizzo, tentando di salvare il salvabile.
«Chiudi gli occhi, J. Immagina di essere al suo posto, se vuoi», canzona, incrociando le braccia al petto. «Al posto di chi?», continua, avvicinandosi appena.
Coglione. Sono un coglione.
«Non eri tu la J del mio sogno», ribatto serio. Uno strato di sudore m'imperla la fronte, spero di essere stato abbastanza convincente.
Un ghigno perfido le dipinge il volto; la sua espressione soddisfatta quasi manda il mio cervello in panne.
«La prossima volta fa in modo che l'espressione sul tuo viso corrisponda alle tue parole», mi si avvicina all'orecchio, «sei un pessimo bugiardo», conclude, scoccandomi un bacio sulla guancia.
Mi volta le spalle e raggiunge il suo ufficio, lasciandomi come un'idiota, immobile in mezzo al corridoio.
«Va al diavolo!», borbotto a fil di voce, dirigendomi a mia volta nel mio ufficio.
La sua espressione soddisfatta mi urta ogni nervo presente nel mio corpo. Cosa pensi di fare, Janette? Non riuscirai mai a giocare con me perché io sono il gioco.
JANETTE
Ho sentito tutto. Tutto quello che Michael ha borbottato nel sonno, l'ho sentito. Per un attimo, ho giocato con la sua mente, prendendomi gioco della sua lucidità inesistente. Devo ammettere che mi ha fatto sorridere vederlo così... preso. In tutti i sensi. Non è passato inosservato il suo atteggiamento, così come non è passato inosservato il suo sorriso rilassato. Credo di non averlo mai visto sorridere prima. Ed è... strano. Io e lui condividiamo lo stesso ufficio da giorni ormai eppure sembra che io non abbia mai avuto modo di conoscerlo per davvero. Si barrica sempre dietro quella sua corazza fatta di stronzaggine e bronci, evitando di uscire dalla linea difensiva almeno quando è in mia presenza. Che palle. Non poter conoscere le sue sfumature, mi urta. Non c'è un vero e proprio motivo; semplicemente, vorrei conoscere qualcosa in più di lui per poterlo utilizzare quando mi serve. Non ho dimenticato come mi ha trattata il primo giorno. Tuttavia, il contatto fisico avuto ieri sera, seppur per poco, ha svegliato in me quella sensazione che ho provato in bagno. Quella che Chase ha velocemente sotterrato sotto il suo ego smisurato e la sua maleducazione. Un fuoco improvviso è divampato dentro di me, spingendomi a cedere alla carezza gentile della sua mano, al suo calore. Lui non sa che io so. Non sa che ero sveglia. Non era un sogno il suo o almeno, lo era in parte. Ma io c'ero dentro tanto quanto lui. Eh sì, ho provato a immaginarmi lì, al posto della bionda. Perché so benissimo che il suo pensiero è stato quello per tutto il tempo. L'ho percepito sulla pelle, quando noncurante che io potessi svegliarmi, ha continuato a sfiorarmi; l'ho percepito quando il calore della sua bocca si è poggiato sulla mia pancia, delicato e deciso allo stesso tempo; l'ho percepito quando, peccaminoso come un diavolo tentatore, ha soffiato sul mio clitoride, spingendo la mia eccitazione a livelli non razionali. L'ho percepito su ogni centimetro di pelle e non. Tutto ciò mi spaventa, terribilmente. Perché purtroppo, Michael, è riuscito dove Chase ha fallito. E lo ha fatto senza dover utilizzare le mani o chissà cos'altro. Come può un uomo arrivare a scatenare tanto senza dover utilizzare altro se non la mente? Come può Michael, nello specifico, arrivare a fare ciò? Un robot privo di sentimenti se non per sé stesso. Non lo posso accettare, non lo voglio accettare.
Scaccio quell'idea di lui inginocchiato ai miei piedi dagli occhi e torno con la testa nel mio ufficio. Devo addobbarlo un po', è decisamente troppo triste. Penso che nella pausa pranzo mi recherò in uno dei negozi che si trovano all'angolo della strada per acquistare qualche quadro e qualche oggetto d'arredo. Ho bisogno di lavorare a pieno regime sulla campagna primavera- estate. Curtis pretende una bozza sulla scrivania del suo ufficio entro e non oltre il weekend ergo: devo lavorare come un mulo sotto pressione. Affinché ciò avvenga nel migliore dei modi, devo evitare in tutti i modi il contatto visivo e non con Michael. Ho capito che è pericoloso, che la sua presenza mi turba. Non sarà poi così difficile farlo – evitarlo, intendo – ci riesce sempre così bene. Perché ora dovrebbe essere l'eccezione?
«Mi spieghi perché sei vestita esattamente come ieri sera?!», Jordan spalanca la porta, trascinandosi dentro l'ufficio.
«Buongiorno anche a te», ironizzo, alzando lo sguardo nella sua direzione.
Mi porge un caffè, accomodandosi con nonchalance sulla sedia e fissandomi torvo.
«Allora?», mi incalza. Sembra una iena alle prese con un cucciolo di elefante. Ha fame di gossip e mangerà proprio me.
«Ho avuto una pessima nottata e anziché tornare a casa, ho pensato di fermarmi qui», taglio corto, tornando con lo sguardo al computer. Fissare lo schermo bianco è sempre meglio che incontrare lo sguardo infuocato di Jordan. Giuro, potrebbe incenerirmi, se volesse farlo.
«Perché sei qui? Non dovresti lavorare?», continuo. So che non taglierà corto, ho imparato a conoscerlo velocemente. È risaputo che dove ci sono inciuci, c'è Jordan. Io sono la novellina, l'ultima arrivata: gossip fresco da sbandierare ai quattro venti senza possibilità di ripercussioni.
«Voglio la verità», appoggia i gomiti sulla scrivania, «anche mr. Muscolo indossa gli stessi abiti di ieri sera», continua, scrutandomi a fondo con fare indagatore.
Corrugo la fronte. Mr. Muscolo? E chi diavolo è?
«Scusami?»
«Non fare la finta tonta, Michael», mi redarguisce.
Sbuffo alzando gli occhi al cielo.
«Perché non lo chiedi a lui? Non sono mica la sua segretaria!», brontolo, «se è tutto, ho del lavoro da svolgere, io», sottolineo, invitandolo a lasciare la stanza.
Jordan fa per alzarsi, bloccandosi ai piedi della scrivania. Torreggia su di me dall'alto dei suoi quasi due metri. I suoi occhi brillano di una luce inequivocabile.
«Non provocarlo, non guardarlo, non assecondarlo. Ignoralo», canzona, «non dimenticarlo. Deve diventare il tuo mantra».
Mi volta le spalle e a grandi falcate raggiunge l'uscita, dirigendosi nell'ufficio di Michael. Porge un caffè anche a lui e noto che il simpaticissimo mr. Muscolo ha lo sguardo puntato su di me. Spero che quella pettegola riesca a tenere la bocca chiusa, evitando di farmi cacciare in ulteriori casini.
Distolgo lo sguardo per prima, abbandonandomi nuovamente ai miei pensieri confusi e poco puliti.
Facile a dirsi, Jordan. Facile a dirsi. Quando hai a che fare con un uomo come Michael, non assecondarlo è impossibile.
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(UN)fortunately we are in love
Genç Kız EdebiyatıJanette Jensen ha trent'anni e per la prima volta in vita sua da quando si è laureata in economia e marketing, è stata contattata per lavorare in una delle più prestigiose aziende di Manhattan: la Royals & Fashion. Michael Moore ha trentatré anni, u...