Cap.26 Due giorni soltanto

262 21 17
                                    

JANETTE

Sia benedetto chi ha inventato la pausa caffè. E sia benedetto anche Curtis per aver pensato a una sala relax così. Nella vecchia azienda in cui lavoravo a stento avevamo la macchinetta. Mi godo i miei cinque minuti di serenità lontana dal mondo, seduta sulla poltroncina che mi permette di osservare dai finestroni la vita oltre queste mura. È incredibile come viviamo tutti allo stesso modo; di fretta, fasciati nei nostri abiti super costosi, alle prese con la noiosa routine lavorativa.

Pensati in vacanza alle Maldive, Janette. Pensati così.

«Buongiorno novellina, è qui che ti nascondi, quindi?», lo sento avanzare nella stanza per poi avvicinarsi alla macchinetta del caffè.

«A quanto pare non mi sono nascosta bene», ribatto tagliente, voltandomi nella sua direzione.

Michael sorride sfacciatamente mentre gira il caffè con la palettina. La porta alle labbra, leccandola lentamente. La sua lingua avvolge lo stecco in legno, l'assapora con calma mentre i suoi occhi cercano insistentemente i miei. Mantengo il contatto visivo seppur leggermente in difficoltà; non riesco a fare a meno di osservare come riesca a giocherellare con la mia sanità mentale compiendo un gesto così innocuo all'apparenza. È come se fossi imbambolata ora; non riesco a muovere le gambe, sento lo stomaco in subbuglio e ogni centimetro dell'intimo che indosso è quasi inzuppato, ora. Lo sa. Sa benissimo cosa sta facendo. Rinsavisco solo nel momento in cui i suoi denti staccano un pezzetto di legno, sputandolo a un lato della stanza.

«Maleducato», lo ammonisco, guardandolo torvo.

«Ti è piaciuto il mio regalo?», chiede, evitando il mio insulto.

Muovo un passo nella sua direzione, incrociando le braccia al petto. Michael mantiene il contatto visivo, appoggiandosi con entrambe le mani al tavolo dietro di lui. La camicia fascia perfettamente i suoi muscoli, evidenziandoli.

Concentrati, J. Occhi in alto e non in basso.

Continuo a ripetermelo consapevole che potrei fallire da un momento all'altro. Inumidisco il labbro inferiore, deglutendo velocemente. Più mi avvicino a lui, più il fiato mi si fa corto. È impossibile non pensare a quanto accaduto l'altra notte; eravamo proprio qui, lui era inginocchiato ai miei piedi e io avevo il controllo di tutto. Ora, invece, mi sento priva di qualsiasi potere. Mi sento nuda, alla sua mercé. Una notte sola ha potuto davvero ridurmi così?

«Potrai vedermi con quello indosso solo nei tuoi sogni, Michael», scandisco bene il suo nome, sussurrandolo al suo orecchio.

In tutta risposta, lo sento ridere di gusto. Passano pochi secondi prima che la sua risata si tramuti in un qualcosa di roco, brutale, animalesco. Qualcosa che smuove anche l'organo dimenticato da Dio che mi ritrovo in corpo.

«Occhio a quello che desideri, J. Sai bene che i miei sogni finiscono quasi sempre per diventare realtà», la sua voce baritonale scatena l'ira del mio clitoride che ha iniziato a pulsare come un forsennato.

Indietreggio con uno scatto, respirando a fondo.

Aria. Ho bisogno di aria.

«Vai a farti fottere», ringhio, spostando lo sguardo altrove.

Il suono della sua risata mi sta innervosendo e non poco. Giuro, vorrei mandarlo al diavolo io stessa con un calcio diretto nelle palle. E godrei nel vederlo sprofondare. Mi irrita. Quest'uomo mi irrita. Gode così tanto nel rendermi la vita impossibile?

«Comunque, hai già scelto l'abito per il party di sabato?», attira nuovamente la mia attenzione, facendomi bloccare sulla soglia della porta.

Sono combattuta sul da farsi. Se rispondo, dovrò continuare la conversazione e non ne ho voglia. Se non lo faccio, automaticamente, penserà di aver fatto colpo nel mio ego.

«Non ti interessa», è tutto ciò che riesco a dire senza insultarlo.

«Peccato», avanza verso la porta anche lui, «il tuo accompagnatore voleva saperlo, non io», continua, superandomi.

«Cosa? Chi è?», lo rincorro, speranzosa che possa rispondermi.

«Non ti interessa», si blocca, voltandosi nella mia direzione e scoccandomi un sorriso dei suoi. Uno di quelli da "ho vinto anche questa volta".

«Bastardo», borbotto a bassa voce, stringendo i pugni.

Michael entra nel suo ufficio e io faccio lo stesso, sprofondando nuovamente sulla mia sedia.

Lo fulmino con lo sguardo attraverso le vetrate; si limita a sorridermi trionfante, mentre armeggia con il telefono.

«Vaffanculo», dico.

Spero proprio riesca a leggere il labiale.

Vuoi la guerra? E guerra sia.

MICHAEL

Giocare con la sua mente è la cosa che più adoro. Se mi pagassero per farlo, a quest'ora, avrei i milioni. Riesco a insinuarmi così bene nei suoi pensieri da scatenare in lei sensazioni contrastanti. Mi detesta ma allo stesso tempo brama le mie mani sul suo corpo. Dice di odiarmi ma gli occhi la fottono, evidenziando quanto è bugiarda. Mi guarda come se potesse vedere attraverso i vestiti. E sono certo che vorrebbe farlo di nuovo, andare oltre, intendo. Ma il mio gioco è appena iniziato e abbiamo tutto il tempo a disposizione. Prima o poi farà un passo falso. Ne sono certo.

Ce l'ho in pugno.

E sono così curioso di vedere cosa combinerà sabato.

Ancora due giorni.

Due giorni soltanto.


(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora