Cap.46 Punto di non ritorno

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T.W: 18+. Contenuti sessuali espliciti.

JANETTE

Lo seguo nel suo appartamento. L'ultima volta che sono stata qui non ero proprio al top della mia condizione fisica e mentale. Una strana morsa mi stringe lo stomaco al pensiero non appena varco la soglia. Michael deve averlo notato, ha appoggiato la sua mano sulla mia schiena. Rabbrividisco. Il calore del suo tocco leggero e delicato permea nella mia pelle, arrivando a toccare punti a me completamente sconosciuti sino ad ora.

Calma, Janette. Calma. Non è nulla che tu non sappia gestire.

«Scusa il disordine», ironizza, sbattendo la porta dietro di sé.

Non c'è nulla fuori posto. Nulla. Neanche un calzino dimenticato sotto al divano o un cartone della pizza accartocciato sul tavolo. Niente di niente. È tutto pulito. E profumato. Menta, muschio bianco e fiori freschi. È una fragranza leggera e per niente disturbante. L'adoro.

«Non sai proprio come rompere il ghiaccio», lo rimbecco, raggiugendo il divano.

Michael ride.

Una risata fresca, genuina, sincera. Una di quelle che sento raramente quando siamo insieme altrove. È bello vederlo così rilassato nonostante io mi senta terribilmente in ansia e fuori luogo. Sono così arrabbiata per la situazione dell'appartamento da non essermi resa conto di aver trattenuto il respiro per tutto questo tempo.

«Posso offrirti qualcosa da bere?», chiede, avvicinandosi a un tavolino con una serie di alcolici riposti in ordine.

«Sono solo le sei del pomeriggio», gli faccio notare.

«E allora?», m'incalza lui, mentre con una mano versa del bourbon in un bicchiere.

«E allora ci tengo a rimanere sobria, grazie», rispondo acidula, mantenendo lo sguardo fisso su di lui.

È ancora girato di spalle; i muscoli si tendono mentre chiude la bottiglia. La camicia arrotolata lungo gli avambracci mette in risalto le sue vene, spingendo la mia immaginazione un po' troppo in là. Il flashback della sua mano stretta attorno al mio collo torna prepotente alla mente, costringendomi a serrare le gambe per evitare al fuoco del desiderio di sprigionarsi un po' troppo. Michael è come un predatore, lui fiuta il sangue della preda e poi attacca. L'ho capito dal primo momento. E il fatto che io sia seduta sul divano di casa sua, dopo una giornata eccessivamente stressante, non aiuta. Non aiuta perché potrei quasi pensare che io qui possa effettivamente rilassarmi. Non aiuta perché, nonostante tutto, una piccola parte di me vorrebbe davvero che Michael fiutasse il mio "sangue".

«Rilassati, non mangio mica».

Ah no?

Si accomoda sulla poltrona posta di fianco al divano, divaricando le gambe e assumendo una posa da "il mondo è ai miei piedi". Emana potenza e mascolinità allo stato puro. Sembra il signore oscuro di uno di quei film fantasy che trasmettono in tv nel weekend. Il cavallo del suo pantalone è leggermente gonfio, motivo per cui penso che i suoi pensieri abbiano deragliato tanto quanto i miei.

Guarda altrove, Janette. Guarda altrove.

«Allora, perché mi hai portata qui? Avrei potuto gestire il nervosismo da sola», cambio argomento, tentando di spostare lo sguardo sulle pareti che mi circondano.

«E rischiare così di doverti venire a trovare al Rikers island?», ironizza, sghignazzando.

Manda giù un sorso che gli brucia la gola e con uno sforzo non indifferente, convinco il mio corpo a non fare lo stesso. Bruciare, intendo. C'è qualcosa nell'aria che mi spinge a non pensare lucidamente. Sarà il suo appartamento, la sua camicia un po' troppo fasciata, il luccichio nei suoi occhi o qualunque altra cosa ma non riesco a mantenere un contatto visivo per più di due secondi senza arrossire.

(UN)fortunately we are in loveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora