Capitolo 53 (VII). Conviventi

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Marco andò all'alloggio dei custodi; girato l'angolo la voce squillante di Elena arrivava attenuata; si sentì di nuovo il toc cadenzato del martello di gomma che il muratore usava per spingere le pietre e tante cicale. Faceva ancora tanto caldo; scese la rampa di scale, la porta era socchiusa, bussò, ma Irene non rispose.

«Mamma?», provò a bussare un'altra volta. Rimase in ascolto qualche secondo, ma sentì solo un sospiro.

«Mamma?», aprì; Irene era seduta al tavolo in cucina, con una mano si reggeva il viso e piangeva, con l'altra teneva un fazzoletto appallottolato e si asciugava le guance, guardava nel vuoto, «mamma, ciao», chiuse.

«Sei solo...», guardò un attimo dalla sua parte, ma poi ritornò a guardare il vuoto, «dov'è lei?»

«L'ho lasciata con Elena, così si svaga un po'» 

«L'hai fatta già svagare abbastanza, per essere suo fratello, poi...», si soffiò il naso.

«Mamma, se ti do fastidio torno un'altra volta...», Marco fece per voltarsi. 

«Che fai lì in piedi? Non sei un estraneo, purtroppo», si asciugò una lacrima, «questo dolore da mio figlio...è troppo grosso...», si girò verso la cucina dove c'era una caffettiera da cinque, «il caffè sarà freddo, scaldalo un po' anche per me.»

«Va bene...», Marco prese un pentolino, ci versò il caffè rimasto dalla caffettiera e accese la fiamma; nel frattempo prese due tazzine, due cucchiaini e la zuccheriera, li pose sul tavolo uno di fronte all'altro.

«Come sta Maria?», gli chiese mentre gli avvicinava la tazzina. 

«Sta bene, grazie.», rimase in piedi ad attendere che si scaldasse. 

«Quella non ne vedeva l'ora, conoscendola vi avrà fatto pure dormire insieme...»

«Sì, ma sono io che gliel'ho chiesto.» 

«Ah, sì, bella roba, se a me avessi chiesto di dormire con tua sorella ti avrei dato tanti calci che ti saresti svegliato in un letto d'ospedale...»

Marco spense il gas sotto al pentolino, lo versò nelle tazzine, «dai, mamma, non ti ci vedo», gliel'avvicinò.

«Non mi mettere alla prova, figlio mio», Irene si mise due cucchiaini di zucchero, «e quella si sarà fatta anche due risate alle mie spalle.»

«Mah, diciamo che l'ho vista più rassegnata che contenta», Marco per sé mise solo un cucchiaino, cominciò a girare.

«Dovrebbe esser contenta, invece, di sua figlia, l'allieva ha superato la maestra. . . », bevve il suo caffè tutto d'un fiato, «lei sarà andata a letto con tutta Colliano, ma almeno i suoi fratelli non li ha toccati.»

«Mamma, quando ti ci metti però...», Marco sbuffò, bevve un poco del suo, «perché con mia suocera va meglio che con te?»

«Perché lei ti compatisce, figlio; ha un genero malato, poverina, e sopporta», si soffiò il naso, «e a me, invece, resta solo la vergogna.»

«Non esagerare, dai...», Marco prese le due tazzine, le portò a lavare, «quello tra me e Ilaria è amore.»

«Amore...», Irene scosse il capo, «quale amore? È fango!» 

«Ma allora lo è sempre stato fango? Io Ilaria la amo da dodici anni, mamma.» 

«Ma almeno non ci andavi a letto!», sbuffò, si girò, prese una fotografia che era incastrata alla vetrinetta, «pazienza, lei faceva la gatta morta, tu la ammiravi, ma si sapeva e si sopportava...», la guardò e cominciò a piangere, «ma così...», riprese a piangere.

Dolore e perdono (Parte VIII: I fratelli amanti)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora