Capitolo 55 (IV). Domenica in villa

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«Sì, un po' dottore.» 

«Un po' tanto, direi» commentò Luigi; il suo occhio aveva notato il braccio più esile, le forme ridotte, sempre bella ma sofferente. Sara gli aveva detto che era cambiata, un po' sciupata, ma, vedendola dal vivo, aveva cominciato a pensare a un inizio di esaurimento nervoso.

«Non ho più tanta fame», Ilaria chinò il capo, «ho dovuto passare tante cose e. . . »

«Lo sappiamo, anzi», Luigi sospirò, «forse è stata anche nostra responsabilità non essercene accorti.»

«Dottore, grazie davvero, ma...», Ilaria si abbracciò le ginocchia unite, «le sto facendo passare adesso a voi: perdonatemi.»

«Cercheremo di risolverle poco per volta», Luigi le aveva sorriso, «Marco ti ha detto che avrei avuto piacere di leggere le lettere di Giorgio?»

«Sì, dottor Luigi...», Ilaria aprì la borsa, «eccole», gliele sporse. 

Per qualche momento Luigi le osservò, da distante si sentiva Elena gridare qualcosa a proposito di fiori; dopo aver letto la prima Luigi sbuffò e la mise a lato e, dopo neppure mezza pagina della seconda, sbottò, «Sara leggi un po' qui!», diede il plico a sua moglie tenendolo al margine come se fosse qualcosa di infetto, «guarda che popò di roba ha tirato fuori quell'avvocato con un piede nella fossa!»

«È così grave, Luigi?», Sara lo prese e indossò gli occhiali da lettura. 

«Leggi, leggi», diede un colpo con il palmo aperto al bracciolo della poltrona, gonfiò il petto: «e dire che sono io che gli impedisco di metterci l'altro, dovrebbe ringraziarmi che gli faccio vedere il nipote crescere invece di scrivere queste cattiverie!», tamburellò sul tavolino, le sue guance erano diventate rosse, «adesso no, non mi voglio rovinare la domenica, ma domani in trattoria mi sente!»

«Che roba...», Sara dopo qualche secondo lo restituì a Luigi, «non leggo più per rovinarmi l'appetito, ma perché non hai detto nulla, almeno a Marco?»

«Penso che sia chiaro, Sara», Luigi aveva ancora le guance rosse, lo pose sul tavolo, si rivolse a Ilaria, «hai avuto paura, vero?»

«Non solo paura», Ilaria era seduta sulla sdraio, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e la testa sorretta dalle mani, «ma anche tanta vergogna per non aver difeso il mio bambino», lo guardò negli occhi, «quella che ho anche adesso.»

«Ilaria, non avercela, come difenderti da un attacco simile, Giorgio forse qui ha esagerato, che dici Luigi?»

«Dico che gliele canterò, ma prima le faccio vedere a un mio amico avvocato», ci batté il palmo, «posso farmi le fotocopie, Ilaria?»

«Sì certo, dottore...», Ilaria aveva gli occhi fissi su un punto lontano. 

«Ehi!», Luigi le pose una mano sul ginocchio, «Ilaria, hai sentito mia moglie?» 

«No, mi scusi...», Ilaria si girò verso Sara che le mise una mano sulla spalla. 

«Non devi vergognarti: sei una buona madre, lo sei stata e lo sei ancora.» 

«Non lo so, ho avuto tanti dubbi confrontata con Silvia...», Ilaria scosse il capo, «se penso che questo è l'ultimo mese in cui potrò dormire con mio figlio», si interruppe, prese un fazzoletto, «scusate.»

«Era per questo che avevi pensato di rimanere a Colliano?», le chiese Sara. 

«Sì, mi sentivo inutile», guardò Sara, «e pericolosa, non volevo creare...» 

«Ilaria, stai tranquilla», Sara l'interruppe, «dopo aver letto le lettere capisco la tua reazione di non dire nulla e di stare a Colliano; anzi sei stata brava, io...», guardò il marito, e sorrise, «con il mio carattere, avrei dato di matto.»

Dolore e perdono (Parte VIII: I fratelli amanti)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora