Capitolo 55 (VII). Domenica in villa

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Per tutta la mattina Irene aveva dimenticato quelle parole; ma in quel momento, con Ilaria davanti, cominciò a capire: ella e il figlio avevano visto il cambiamento in Ilaria solo a dramma scoppiato.

Luigi vide la tensione nel suo viso diminuire, volle parlare, ma fu Irene a rompere il silenzio con aria quasi da madre preoccupata: «Ilaria, ma da quando sei così? Non hai una bella cera, ma mangi?»

Ilaria alzò il viso a bocca aperta, in silenzio, si girò verso Luigi che le fece un sorriso per invitarla a rispondere, guardò Irene, solo per un attimo, calò lo sguardo, «zia, da qualche mese non ho molto appetito.»

«Ma dottore, mi pare magra...», Irene disse a Luigi. 

«Decisamente sottopeso, a giudicarla a occhio», Luigi disse neutro, come un mediatore in un dibattito televisivo, «Ilaria?»

«Sì, dottore?», Ilaria girò lo sguardo, a bocca aperta. 

«Prima di pranzo vieni un secondo in studio che ti peso e prendo la pressione; non mi piace quel colorito», Luigi si accomodò, aveva rotto il ghiaccio nella direzione voluta, accavallò le gambe, appoggiò il gomito al bracciolo della poltrona, «che ne dice, Irene?»

«Io. ..», Irene si morse il labbro, tutti i suoi discorsi di perle ai porci, bastonate e tutto il resto le ritornarono in mente come onde in tempesta, ma li cacciò; le sembrò impossibile arrabbiarsi con quell'essere di fronte; capì cosa avesse voluto dire il dottore, Maria e anche suo marito; capì infine che il figlio non era caduto per la sua bellezza, in quel momento un po' sfiorita; ma che l'aveva effettivamente presa sotto la sua protezione di fratello in quel modo distorto per il loro antico amore; chinò il capo, si strinse le mani; «non sono un dottore», guardò poi Ilaria, «ma ora che la vedo vicina, si vede; non è una cosa di ieri.»

«No, decisamente», insistette il dottore, con un tono accademico, come se con Irene stesse discutendo un caso clinico, «ci troviamo di fronte a un calo cronico che avviene da anni»; si alzò, andò verso Ilaria, le scostò i capelli, «il fisico ne risente, ovvio, vede la clavicola?», le tastò la spalla con aria professionale e con un occhio al suo orologio.

Tolse la mano dopo qualche secondo, «debole!», rimise i capelli a posto, «certamente il soggetto in partenza era in salute, giovane, resiste a lungo, ma non era infinita la sua riserva di energia emotiva, fisica, psichica; il crollo finale...», si andò a sedere di nuovo in poltrona, accavallando le gambe, «era quasi scontato.»

«Grazie, dottore», Ilaria gli sorrise. 

Egli alzò le spalle, «dovere, Ilaria», guardò poi intensamente Irene, per studiare una sua reazione che non venne.

Ilaria chinò il capo, «zia, scusami però se ho trascinato tuo figlio, non ce l'ho fatta», si guardò le mani, strinse le labbra, «ero troppo sola, ma credimi, non avrei voluto! L'avrei potuto prendere senza problemi prima e non l'ho fatto, anzi. ..», mise le mani sulle spalle, incrociando le braccia al suo petto, «prima ero molto più bella», si guardò in basso, «mi vedo sciupata adesso», scosse il capo, «non è per questo che Marco mi ha presa e io l'ho lasciato fare.»

Ilaria aspettò una risposta che non venne mentre Luigi osservava la scena, attento a ogni cambio di umore; aveva visto il viso di Irene contrarsi in una smorfia di rabbia quando Ilaria aveva detto "trascinato tuo figlio", ma l'aveva poi vista più addolcirsi quando aveva detto "mi vedo sciupata adesso".

«E per cosa Ilaria?», Irene chiese infine, con un tono più triste che arrabbiato, «per la vostra promessa fatta ad Antonio?»

«Sì, zia», Ilaria giunse le mani, cercò il contatto con i suoi occhi, ma li riabbassò: «non potevo essere felice senza più mio figlio.»

Dolore e perdono (Parte VIII: I fratelli amanti)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora