Capitolo 13

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È una sensazione strana, un dondolio continuo, stanco, accompagnato da attimi di luce improvvisa. La testa pulsa, fa male. Il torpore la riveste come una coperta buia. Il tempo scorre.

Mi sveglio con il profumo del pane. È davvero una strana sensazione, mi rendo conto che non mi è mai capitato in tutta la mia breve vita. Per la prima volta dopo molto tempo ho voglia di alzarmi, di aprire gli occhi e di guardare in faccia alla nuova giornata. Per la prima volta dopo molto tempo, ho voglia di vivere. Mi rendo conto di essere sdraiata in un letto pulito. Non devo nemmeno fare lo sforzo di alzare le palpebre per capirlo. Le lenzuola profumano di buono, nell'aria c'è un sentore di fresco. Sono combattuta tra l'idea di rimanere per sempre accoccolata tra le coperte morbide e quella di alzarmi dal letto e guardarmi intorno. Temo che se aprissi gli occhi potrei rimanere delusa da ciò che troverei. Ormai mi sono fatta un'idea chiara di ciò che ci deve essere là fuori: una piccola stanza pulita e accogliente con piccole finestrelle dalle tendine rosse. Come quella che Dyre mi raccontava la sera all'orfanatrofio, quando tutti se n'erano già andati a letto e io piangevo sola in un angolo, dopo aver ricevuto la mia razione quotidiana di cattiveria. La fiaba era sempre la stessa, ogni volta. Dyre ne conosceva solo una che potessere essere così definita. Una stupida fiaba dove tutti si vogliono bene, e , dopo molte peripezie, vivono per sempre felici. Una fiaba mielosa fino all'esagerazione, completamente inverosimile, soprattutto di questi tempi. Una fiaba letalmente stupida e convincente. Così convincente che finivo sempre per crederci. Almeno fino a quando la realtà della mia infanzia rubata non tornava irrimediabilmente a battere con insistenza alla mia porta.

Ci hanno costretti a crescere in fretta.

Ci hanno insegnato a patire in silenzio fame e gelo. Ma non sono riusciti a strapparci i ricordi, quelli no. E ci hanno lasciato i nostri sogni. Nascosti tra il buio e la polvere delle nostre sofferenze, nella realtà grigia delle nostre esistenze, i sogni hanno continuato a vivere. Alcuni si sono affievoliti, altri si sono ingigantiti. Ma nessuno si è spento. Non ancora.

Ancora una volta, e mi maledico per questo, mi lascio andare e comincio a fantasticare su un mondo di affetto, dolci e baci della buonanotte...

Il cinguettio di un uccellino mi riporta però ben presto alla realtà e un piccolo pensiero riesce a infiltrarsi nell'angolo più remoto della mia mente, portandosi dietro un bel carico di domande.

"Dove mi trovo?"

Sono presa dal panico.

"Cos'è successo? Dove sono? Chi mi ha portata qui?"

Faccio un respiro profondo e tento di calmarmi. Sono in un luogo caldo, pulito e asciutto. Non sono, almeno apparentemente, in pericolo. Qui sembra tutto così bello.

"Sono morta?"

Cerco freneticamente il battito del mio corpo, che tambureggia nel petto. Rassicurante. Faccio un altro respiro profondo e finalmente mi decido ad aprire gli occhi. La luce li colpisce brutalmente e mi acceca, così li richiudo. Provo a socchiudere le palpebre poco a poco, per abituarmi alla luminosità dell'ambiente. Quando i miei occhi si sono ambientati comincio ad esplorare la stanza con lo sguardo. È pulita, fresca, dalle pareti in solida pietra. Due piccole finestre si aprono su un cortile deserto ma curato. Le tende sono azzurre, non rosse, ma va bene comunque.

Vinco la pigrizia e mi alzo dal letto. Sono piuttosto debole e il mio stomaco brontola in modo spaventoso, ma nell'insieme mi sento piuttosto bene. Mi avvio con passo lieve verso la porticina di legno chiaro della stanza e la apro delicatamente. Un piccolo corridoio mi conduce in una sala piuttosto grande con qualche piccola finestra. Il profumo di pane proviene da qui. In un angolo c'è una piccola figura vestita di turchese che volteggia tra il tavolo e il forno destreggiandosi tra pagnotte, impasti, torte e decorazioni.

-"Buongiorno, ben svegliata!" mi saluta la figura, senza fermarsi né voltarsi un momento. La osservo lavorare per qualche minuto, poi lei finalmente si gira e mi sorride.

-"Vuoi fare colazione?" mi chiede.

Io non vorrei sfruttare troppo la sua ospitalità e mi vergogno anche un pochino, ma sono affamata e il mio stomaco risponde al posto mio.

-"Vieni avanti, non essere timida. Prego, siediti. Non fare caso al disordine! Qui c'è un po' di pane fresco, del burro della marmellata, un po' di torta. Se hai un attimo di pazienza di porto anche un po' d'acqua. Mangia pure tutto ciò che vuoi, non fare complimenti!"

Detto ciò, si rimette a lavorare.

Davanti a tutte queste squisitezze resto allibita. Non ho mai visto niente del genere, a malapena conosco il significato della parola "torta". Il pane è così dorato e croccante... il burro così cremoso... la marmellata così dolce... la torta così soffice...

Bastano soltanto pochi bocconi di quelle delizie per farmi perdere completamente il contegno spazzolando il tutto in pochi secondi. Alzo gli occhi dal tavolo e mi accorgo che lei mi sta fissando, stupita e divertita allo stesso tempo.

-"Bene, vedo che hai apprezzato!"

Io arrossisco fino alla punta dei capelli e abbasso lo sguardo sulle briciole rimaste, di colpo diventate molto interessanti.

-"Comunque non mi sono ancora presentata. Io sono Heyleen."

Tende la mano verso di me e io la stringo con poca convinzione

-"Kyera" dico semplicemente.

Ora che si è fermata ne approfitto per osservarla meglio. Noto che il suo vestito, che inizialmente mi era sembrato turchese, è in realtà intessuto di fili di diverse sfumature che spaziano dal verde del mare al blu del cielo, in un continuo rincorrersi e intrecciarsi di colori e trame diversi. In alcuni punti è un po' sdrucito e smagliato, perciò deduco che deve aver vissuto giorni migliore. A proteggere l'ampia veste c'è un grembiulino chiaro, color fibra naturale, pieno di farina.

-"Mi spiace molto per il disordine, sono davvero poco presentabile. Scusami tanto."

Questa volta è lei ad arrossire, mentre si toglie il grembiule e lo scrolla, sollevando una bianca nube di farina. Il rossore delle guance e il suo sorriso in po' timido fanno risaltare gli occhi vivaci, marroni con qualche indefinita sfumatura di verde. Mi accorgo solo ora, osservandola attentamente, di quanto sia giovane. Non potrà avere che pochi anni in più di me. Non so perché, sarà lo sguardo insieme allegro e riflessivo, l'aria responsabile della persona che sa il fatto suo, ma all'inizio mi era sembrata più vecchia. Nonostante ciò è animata dalla frizzante energia della giovinezza e dentro di sé nasconde un cuore dolce e generoso, bisognoso di amicizia. So per certo, (e credo di averlo saputo fin dall'inizio), che davanti a me ho una persona di cui mi posso fidare. E, forse, con cui mi potrò confidare.

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Il capitolo vi ha un po' spiazzati, vero? Sarà tutto reale? Dove è finita Kyera? Lo scoprirete presto...forse...
Non dimenticate di commentare, fatemi sapere la vostra opinione!
A presto!

Destino - Il volo del corvoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora