Il Vasilus

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Servirebbero interi trattati per descrivere tutto quello che vidi lungo il Sentiero del Re, in realtà non vedemmo molto, anche perché dovevamo arrivare velocemente su Orissia, e quei duecentomila mondi a portata del Sentiero avrebbero richiesto troppe deviazioni e troppi banchetti, ci fermammo per qualche incontro e saluto ai mondi principali, tra i trentacinque che costituivano le basi sui baricentri lungo il Sentiero del Re vero e proprio. Il comandante della nostra scorta orissiana, il comandante Chibronte salì a bordo della Saulus per presentarsi e salutarci, ma Sibilla mi aveva raccomandato di non invitarlo a cena come un Roviano avrebbe fatto e anche il comandante disse lo stesso. Il motivo era che Chibronte era di origine molto umile; figlio di un meccanico di mezzi agricoli e di una cameriera di un piccolo mondo agricolo vicino ad Orissia, la sua forza e l'intelletto gli avevano permesso di scalare i gradi militari e gli atti di coraggio contro i pirati provenienti dal Nucleo gli avevano fatto ottenere il comando di una nave con cui aveva vinto una battaglia contro una flotta dell'Alleanza Partiana, altro importante nemico di Orissia. Dopo quel successo era diventato uno dei Diecimila e loro ufficiale prima di essere nominato Capitano di Brigata, ovvero la flotta che ci stava scortando e il Vasilus in persona lo aveva insignito di grandi riconoscimenti, ma non aveva ancora guadagnato un titolo come shazo, e di conseguenza non aveva il diritto di condividere cibo o ospitalità con gente di rango superiore al suo come Sibilla o persino io.
Fisicamente Chibronte era un uomo con un volto severo, capelli neri e corti, il naso era rotto e gli occhi erano di un verde intenso, un mento appuntito ma robusto, come la sua corporatura. Mi accorsi che il braccio e la gamba destri erano meccanici, un sistema primitivo visto che su Rovia eravamo in grado di clonare e impiantare arti o organi nuovi, ma visti gli accessori che si potevano aggiungere a protesi meccaniche ne capii il senso. Chibronte era un uomo di poche parole ma la sua mente mi diceva che era un uomo d'onore e di cui fidarsi. Anche lui mi vedeva come il nuovo Fondatore e bisogna dire che avere un amico come lui nel Gran Reame non era qualcosa da poco.
Tra le varie esperienze fatte ricordo che atterrammo su un mondo abitato da una popolazione che aveva sviluppato una particolare pigmentazione di un nero intenso a causa della luce infrarossa della sua stella, il pianeta si chiamava Sus ed era al confine di una catena di stelle chiamate Linea Eufra, dal nome di un eroe mitologico, Eufra appunto, che l'avrebbe percorsa combattendo e uccidendo i tiranni e i mostri che dominavano i mondi principali di quel firmamento. Su quel mondo eravamo a metà del percorso, una settimana di salti e avremmo incontrato il Vasilus in persona.
Gli abitanti di Sus erano tutti di bassa statura e il loro mondo era davvero buio perciò accendevano luci molto intense e la luce era come scrittura per loro: comunicavano a grande distanza lanciando segnali luminosi tra le loro città e le loro navi erano piccole ma velocissime e avevano reso molto facile lo spostamento sul loro globo, la loro società era organizzata in maniera matriarcale con una signora al vertice della gerarchia che veniva eletta ogni sette orbite del pianeta, ovvero dodici anni terriani. Erano molto ospitali e furono gentili al nostro passaggio, la matriarca mi donò anche una sorta di medaglione con uno stiletto nascosto al suo interno, un'arma pericolosa, ma con valore cerimoniale per i Susi, proprio come le mie seste dee. Loro erano nel Gran Reame da tanto tempo e veneravano letteralmente il Vasilus e tutti i membri della sua famiglia perciò anche Sibilla era come una semidea per loro. Il difficile fu parlargli perché la loro lingua, basata su suoni simili a schiocchi sembrava un crepitio della legna mentre brucia.
Una volta entrati nella Linea di Eufra il Sentiero del Re indicava dei mondi a zigzag da visitare, questo a causa della vicinanza degli astri e dei baricentri gravitazionali al suo interno. In uno di quei sistemi, dove ci trattenemmo per smaltire le radiazioni, incontrammo una tribù di nomadi: cinque grandi navi città che tenevano aperte le vele solari e si spingevano grazie all'energia che sparavano su di esse, quelle vele avevano la forma di un rombo e coprivano un'area di almeno ottocento chilometri, il minimo per spostare, con la spinta della luce o dell'energia sparata dalla nave, un vascello con circa tre milioni di passeggeri. Quando era necessario un salto in iperspazio la vela veniva richiusa e ripiegata al interno di un vano sulla prua. L'ingegneria che aveva realizzato quelle vele in un'epoca preistorica si basava molto su nanotecnologia e materiali sottili e flessibili, ma credimi Lettor, quelle vele sono indistruttibili.
Il capo di quella tribù, un certo Tamiele, invitò me e Sibilla sulla sua nave per conoscere la sua famiglia e la storia del ritrovamento di Terra. Benché tutti lo sconsigliassero io e Sibilla salimmo sulla grande nave città e incontrammo Tamiele e la sua gente. I nomadi erano sempre molto albini, alti e con capelli o rasati o molto lunghi. Tamiele aveva anche una lunga barba che lo indicava come il capo della sua comunità. Erano mercanti e trasportatori, benché soggetti a molti pregiudizi e discriminazioni in gran parte della Via Lattea, ma sapevano bene che Sileus aveva emanato leggi e ordini che avevano reso l'Impero molto accogliente per loro e anche gli abitanti dei mondi che frequentavano sapevano quanto fossero utili per il commercio, il trasporto e le esplorazioni. La loro unica regola era di non fermarsi mai. L'interno della loro nave sembrava davvero una grande città con gli edifici che crescevano tra le pareti, poiché le barre gravitazionali attraevano verso l'esterno della nave e permettevano così di avere maggior spazio per nuovi edifici.
La casa di Tamiele era collocata sul attico di un grande edificio vicinissimo al punto di attracco su cui io e Sibilla eravamo scesi e quindi durò poco la parata, ma c'era davvero un'enorme folla a salutarci e renderci omaggio. Percepivo moltissima gioia da parte loro, si ricordavano la chiamata del Fondatore e l'annuncio della fine del Esilio. In effetti per loro era molto importante la nostra presenza e ciò che rappresentavamo.
Tamiele e fu molto gentile con noi: l'attico della sua dimora era molto ampio e si aveva un'eccellente vista sulla nave città illuminata di una luce rossa emanata dalle stelle artificiali interne  che garantivano la vita di quelle persone. Seduti in cerchi eravamo io e Sibilla, Tamiele e altri dodici uomini, considerati gli anziani da cui dipendevano le scelte della tribù. Le loro mogli e i loro figli ci servivano i pasti, com'era tradizione per loro. Al centro del cerchio era presente una sfera che emetteva una luce bianca. Il cibo era semplice: molto pane, acqua e carne secca, verdure e altri alimenti a lunga conservazione realizzati con lo scalpello atomico e conservati. Essendo però abili negli affari questi nomadi erano spesso ricchi e Tamiele poteva permettersi certi lussi come ottime bevande, fumi e cibi di più alta qualità che ci servì in seguito.
Io e Sibilla notammo che un bambino ci osservava con una certa curiosità, Tamiele se ne accorse e ci chiese il permesso di invitare anche quel piccoletto che si rivelò essere suo figlio Achis. Il piccolo si avvicinò con un certo timore.
"Salve" gli dissi.
"Ciao- rispose il bambino nomade umilmente- voi venite da un mondo vero?"
Aveva sette anni, nato su quella nave non aveva mai conosciuto niente al di fuori di essa.
"Sì- dissi- io da uno che si chiama Rovia, e Sibilla da Orissia che non è lontana da qui."
"È vero che voi costruite le case sui pianeti? Che montate le fondamenta sulla roccia e sul terreno?" chiese.
"Sì- rispose Sibilla- e alcune di queste case diventano talmente tante da formare le città e alcune possono arrivare a coprire un intero pianeta."
"Ma come fate a farle decollare?"
Mi venne naturale ridere, ma mi ricomposi e spiegai: "Le nostre città non volano, restano salde sul terreno in cui la gente vive, si muove, lavora e accumula grandi quantità di cibo per poter prosperare."
"Sì è vero- disse Tamiele- vivere su un mondo è comodo, ma noi sappiamo che anche la nostra maniera è ottima. I mondi non sono eterni, prima o poi finiscono e diventa inevitabile per i popoli cercare nuove dimore e rifugi. Noi vediamo molte genti, molti luoghi, prosperiamo e quando le risorse di un territorio finiscono, o arriva un potente nemico o la natura manifesta la sua ira con qualche violento fenomeno, ci spostiamo e troviamo presto un nuovo luogo in cui vivere in pace e serenità."
"È vero ma l'Abisso contiene molti pericoli e vivere praticamente in solitudine quassù comporta dei rischi estremi" disse Sibilla. Percepivamo che quelle persone ne erano pienamente consapevoli ma amavano il loro stile di vita.
"L'Abisso è come l'Uomo- disse Tamiele- certe volte è crudele e pericoloso, ma allo stesso tempo è buono con chi lo conosce e lo rispetta. Noi siamo tutti figli di questo cosmo e in esso corriamo gli stessi pericoli e gli stessi benefici."
"Ma non è dura essere senza patria?" chiesi.
"Patria?- disse Tamiele prendendo in braccio suo figlio- siamo sempre accanto ai nostri cari, le nostre famiglie sono unitissime, a questi tavoli si riuniscono anche quattro generazioni ogni sera. Quale patria è migliore di questa?"
Lo capii molto bene e anche Sibilla. Quella non era la gentaglia che i pregiudizi descrivevano: era una cultura viva, fiorente e molto unita, gente pacifica che viveva completamente immersa nel cosmo in cui galleggiavano tutti i mondi e le certezze dell'Umanità.
Dopo la giornata passata a bordo dei nomadi il nostro viaggio riprese senza ulteriori soste rilevanti, Sibilla era sempre più emozionata al pensiero che il suo mondo era sempre più vicino e anche io ricordavo che quella che stava arrivando era la mia seconda patria.
Una sera, in uno dei nostri incontri, Sibilla fu molto presa a descrivermi il Vasilus e il modo di comportarsi al suo cospetto, ma fu solo una piccola parte del discorso perché poi mi descrisse un sacco di posti in cui voleva portarmi, ma prima mi avrebbe presentato qualcuno su Madiana, l'ultimo mondo che avremmo visto prima di Orissia. In effetti sapevo che ci era stato chiesto di prendere a bordo un passeggero da lì, ma non volle dirmi chi.
"Una sorpresa" mi disse.
Il pianeta Madiana si presentava piuttosto bene: un mondo terriano con un piccolo oceano e delle terre non proprio fertili, la terra formazione aveva permesso la vegetazione solo lungo le scogliere e nella fascia del crepuscolo, poiché era un pianeta con rotazione sincrona: una delle faccine era sempre rivolta verso la sua stella e l'altra era immersa nella notte eterna, un aspetto affascinante secondo me. Era un luogo sacro, la meta di un cammino di pellegrinaggio molto sentito anche nella mia religione. Avrei voluto visitarlo ma decidemmo che era il caso di raggiungere Orissia il più velocemente possibile e così facemmo salire a bordo l'ospite e il suo seguito di trenta persone.
Era un patriarca religioso; indossava una lunga veste nera e una tiara dello stesso colore con uno strascico che gli arrivava fino alle ginocchia, aveva dei guanti neri ornati d'oro, anelli e simboli della religione dello Shasamazi un po' ovunque, più un grosso bastone d'oro simbolo del suo rango. Era un uomo avanti negli anni, con una lunga barba bianca, grasso ma possente. I suoi simboli e la sua mente mi dicevano che era il sommo sacerdote di Orissia e anche gli Orissiani a bordo lo mostrarono chinandosi a lui. Non diceva una parola e la sua mente era davvero disciplinata, anche se non nascondeva la felicità nel rivedere Sibilla comunque non riuscivo a penetrare affondo in lui: era come se meditasse in modo da tenermi fuori dalla sua testa.
Lo accompagnai con Sibilla nel alloggio che avevo fatto preparare per lui e mi chiese di rimanere con lui e Sibilla, una volta chiuse le porte, il sommo sacerdote si guardò un po' intorno per verificare che nessuno vedesse o ascoltasse. Appoggiò il suo bastone su uno dei divani e guardò Sibilla, a quel punto abbassò le difese aprendo la mente e un grandissimo sorriso alla sua..... piccolina?
"Finalmente- disse con una voce forte ma gentile- finalmente piccolina rieccoti a casa!"
Sibilla abbracciò quel omone che fece attenzione a non toccarle il volto ma che si dimostrava a dir poco commosso.
"Mi sei mancato tanto caro zio" disse lei.
In quel momento si lasciarono e iniziarono a fissarmi, mentre io ero lì a chiedermi cosa dovevo dire  o non dire.
"Zio, lui è il Coimperatore Octopon Vandor Caros" mi ripresentò ufficialmente, anzi a dire il vero per lui era come se fosse quello il nostro primo vero incontro.
"Piccolina- disse lui- ma io lo riconosco? Oppure...?"
"No zio, lo riconosci eccome- disse lei venendo verso di me e togliendosi un guanto- perché è davvero lui."
"Ma cosa....?"
"Tranquillo Octopon- mi disse lei- è che lui aspetta da tanto questo momento, anche da più di noi."
La mente del sommo sacerdote mi fu chiara e io aprii un guanto prendendo la mano di Sibilla. Quel uomo divenne come un bambino.
"Il FONDATORE- gridò- IL FONDATORE! FINALMENTE DOPO UNA VITA INTERA PASSATA A SPERARLO!"
Corse in avanti e mi afferrò tra le possenti braccia sollevandomi e stritolandomi. La sua mente era davvero sprizzante di gioia.
Quando mi lasciò caddi in ginocchio temendo di non potermi più rialzare mentre quel gigante andava a darsi una lavata gridando che si doveva fare una grande festa. Sibilla si avvicinò a me con fare furbo e molto divertito.
"Come stai?" chiese.
"Non sento più le gambe.... la mia spina dorsale è spezzata..... lo sterno non c'è più...."
"Le braccia?"
"A pezzi...."
"Sì succede sempre così; comunque quello era mio zio Gerus, sommo sacerdote di Orissia e fratello del Vasilus, l'Unico lo conservi."
"Ma..... ma quanti erano?" chiesi io ancora in ginocchio.
"Uno.... ma vale almeno per dieci. È lui che mi ha benedetto anni fa, a lui è apparsa quella visone del Fondatore che mi benedisse annunciando te."
La fissai e lei mi sorrise.
"Lui sa bene cosa vuol dire da parte mia dire che sei il nuovo Fondatore ed era felice anche per questo."
Mi rialzai in tempo per rivedere quel uomo che mi era improvvisamente diventato simpatico.
"Ho intenzione di conoscere tutti i vostri amici, tranquilli, io rimango in silenzio, tranquilli. Ma questa sera voglio imparare tutto di te buon Caros!"
"Vostra eccellenza- dissi ansimando- acconsentite quindi ad una cena nei giardini della nave questa sera per il sesto turno?"
"Ci saranno tutti? Dico anche il tuo seguito ragazzo? BENISSIMO! Quindi questa sera festeggeremo in tuo onore!"
Uscii zoppicante insieme a Sibilla che si stava davvero divertendo come una pazza.
"Ma perché non mi hai mai parlato di quella bestia?" chiesi.
"Parla con rispetto: per gli Orissiani lui è come il Sommo Pontefice per i Roviani ed è una delle persone più buone e dolci che conosca. Porta pazienza per favore, lo hai percepito anche tu che ti ha subito voluto bene" mi disse Sibilla che sembrava davvero eccitata e in effetti lo ero anch'io.
"E poi.... se ti fossi preparato, questo incontro non sarebbe stato così memorabile, pensa se gli sfuggivi!"
"Questa non me la scordo.... non me la scordo!"
Avvertii tutti che quella sera si sarebbe tenuto l'ennesimo banchetto ma che sarebbe stato qualcosa di diverso dal solito.
Su istruzioni di Sibilla e Uliria fu preparato un cerchio di tavoli e sedie e la luce della gigantesca serra venne abbassata in modo da simulare la notte, mentre al centro del cerchio veniva proiettato un ologramma della Via Lattea.
Gerus volle conoscere prima di tutti il cappellano di bordo che fu onorato di quel incontro. I due si sedettero insieme sulla tavola, uno di fianco al altro facendo una benedizione insieme.
Avevamo costruito un'atmosfera molto bella, pacifica e.... spirituale.
Erano presenti tutti gli Orissiani di bordo più i membri della delegazione roviana.
"Amici carissimi- disse Gerus Lyriano- rendiamo grazie per questa fortuna: per il nostro bene, la nostra salute, la nostra prosperità. Rendiamo grazie per il ritorno in patria della nostra dolce principessa della seta Sibilla Lyriana, il cui ritorno è motivo di gioia per tutta la nostra patria- partì un applauso da tutti i presenti- e rendiamo grazie per i nostri amici dalla grande Rovia, in particolare al Coimperatore Octopon Vandor Caros, il nostro ospite più illustre che onoriamo questa sera."
Un applauso ancora maggiore, le loro menti erano davvero sincere nel loro saluto e nel omaggio che mi rendevano.
"Io vi ringrazio molto- dissi- ma non ho ancora meritato di essere onorato dalla vostra gente."
Gerus rifletté qualche secondo, poi rispose: "Cosa ci fai qui?"
Non risposi, ma lui sapeva che leggevo la sua mente e che quindi sapevo dove voleva arrivare.
"Sei il secondo in comando della grande superpotenza del nostro cosmo, hai restituito a tutti noi il mondo d'origine, portando a compimento le grandi promesse della fede, e sei qui perché vuoi rendere possibile la pace tra i nostri popoli. Davvero credi che la nostra gente non ti debba onorare?"
Inutile dire che mi sentii davvero lusingato, ma era commovente la sincerità con cui quel uomo mi definiva la sua speranza.
La cena fu molto semplice, non si fecero grandi discorsi, scambi di opinioni politiche o discorsi sulla potenza degli Stati e dei popoli, ma scambi di storie, racconti e conversazioni amichevoli. Tali furono i nostri rapporti con quei saggi Orissiani per tutti i tre giorni successivi. Poi la vedemmo.
Sibilla si alzò eccitata come una bambina a Natale quella mattina in cui la voce del capitano risuonò per tutta la Saulus con queste parole: "Buongiorno a tutti i passeggeri e membri del equipaggio. È un grande piacere per me comunicarvi che oggi, tra quattro ore precisamente, salteremo nel sistema di Demevas dove, come voi saprete, si trova il pianeta Orissia, la nostra destinazione."
"Octopon- mi disse appena alzata- ci siamo! CI SIAMO!"
Ero ancora immerso nel torpore notturno, benché io e lei ci svegliassimo sempre contemporaneamente quella mattina ero davvero in difficoltà.
"Come? Cosa?" chiesi io cercando di recuperare le facoltà mentali.
"Octopon dai..... tra poco arriviamo a casa mia finalmente. Svegliati! Vedremo Orissia.... OGGI!"
Sorridevo.
"Cosa c'è?" chiese dopo essersi calmata.
Era leggermente spettinata, benché i capelli fossero costantemente raccolti in quella coda simbolo di nubilato e verginità, con quel pigiama bianco, i piedi nudi e quello sguardo stralunato.
"Sei davvero molto diversa dalla principessa della seta che incontrai un anno fa" dissi.
"Davvero?- mi chiese lei cambiando tono- e cosa ti sembro adesso?"
"La più splendida ragazza possibile: bella, spontanea e felice. Semplice e perfetta" risposi.
Si avvicinò a me con una ritrovata solennità.
"Sta cercando di compiacermi magistrato?" chiese.
"Coimperatore prego- dissi io alzandomi- e ovviamente è così! Ci sto riuscendo principessa della seta?"
"Ovviamente vostra signoria."
Era bello scherzare tra noi, e ormai eravamo davvero naturali nel nostro rapporto, malgrado l'attenzione alla virtù.
"Sul serio: sei meravigliosa quando sei felice" le dissi.
"Grazie, anche tu sei meraviglioso. Penso però che tu possa capire: è bello tornare a casa" mi rispose abbracciandomi.
"Lo so fin troppo bene" le dissi.
Fu un giorno di attesa: tutti noi ci stavamo preparando ed eravamo davvero emozionati all'idea del imminente incontro con il Vasilus. Pur non avendolo mai visto prima ormai potevo dire di conoscere bene Merus stando alle descrizioni che ne avevo letto, sentito e ricevuto da molte fonti, specie da Sibilla che lo conosceva come un padre. Tuttavia incontrare l'uomo più nobile della Galassia sarebbe stata un'esperienza che avrei ricordato per sempre.
Raggiunsi Sibilla al ponte di osservazione: io avevo la mia toga purpurea con i simboli del mio grado e la corona civica e Sibilla lo stesso abito che aveva indossato il giorno in cui era arrivata su Rovia, il diadema e le fiamme che correvano dalle spalle ai guanti, avevamo entrambi riacquisito la nostra solennità e ci preparavamo al luogo più regale del nostro cosmo.
Eravamo stati autorizzati ad eseguire un salto vicino al pianeta, fortunatamente i fari del sistema erano perfettamente in grado di indicarci la posizione richiesta e così fu semplice per i nostri navigatori stabilire le coordinate.
Io e Sibilla eravamo soli nel osservatorio e così non fu difficile prenderci per mano mentre vedevamo le navi della nostra scorta fare il salto e sparire nel buio. Era molto emozionata e in effetti lo ero anch'io. Stava iniziando una nuova avventura.
La saracinesca del osservatorio si chiuse. Un respiro. E poi un salto.
Riaprimmo gli occhi e poi lo fece anche la Saulus; la saracinesca del osservatorio fu di nuovo spalancata e ci apparve uno spettacolo affascinante: un pianeta con tre grandi satelliti naturali che orbitavano intorno ad esso, si vedeva chiaramente il profilo di una grande città sul lato oscuro e sule titaniche pietre orbitali, ma non era Orissia, era Susia Minor, uno dei mondi del sistema, una grande industria dei Lyriani che fabbricava navi e mezzi per quella zona del Gran Reame.
Usammo la sua gravità per lanciarci verso la direzione giusta e in due ore saremmo arrivati sul mondo capitale, era davvero emozionante.
Ad un certo punto apparve, a distanza ma diventava sempre più evidente, sempre più grande, sempre più vicino.
Ed eccola, Orissia. Un mondo splendido, affascinante, esotico e capace di incantare chiunque posi gli occhi sui suoi mari polari e le sue sabbie d'oro. Appariva davvero come un globo dorato con i suoi affascinanti anelli che la circondavano come un velo da sposa, brillando più delle stelle sotto la rossa luce di Demevas che sembrava regalare i suoi raggi migliori per quel pianeta che le aveva donato tanta gloria.
C'erano diecimila navi sparse a guardia del pianeta, un esercito immenso, infatti i Diecimila non dovevano il loro nome al proprio numero, ma a quello delle loro navi da guerra. Erano vascelli davvero solenni e schierati secondo una precisa linea come le flotte dei legionari, e ognuna mandava un messaggio di saluto. Le navi si connettevano tra loro con una rete di comunicazione continua che permetteva alle navi comando delle diverse unità di comandare istantaneamente ogni singola azione della flotta, ma il barritus delle navi roviane avrebbe abbattuto quella rete velocemente, eppure non penso che sarebbe stato facile persino per i legionari sconfiggere quella vasta armata. I Diecimila erano la più potente flotta del Gran Reame e non era difficile, mentre passavamo in mezzo agli schieramenti di quegli splendidi galeoni, capire perché avevano l'onore di essere la guardia del Re dei Re di Orissia. Tutte le navi portavano sulla loro prua a forma di testa di balena la Fiamma di Orissia e, onore riservato solo a loro, il sigillo con il nome di Merus, il Vasilus da loro protetto e servito. Sentivo che per gli Orissiani a bordo era un vero orgoglio vedere la potenza della loro patria esposta così, anche se Mirus l'analizzò vedendola come un segno di incertezza e debolezza, qualcosa di opulento e buono soprattutto per le parate che per le vere guerre. Ringrazio il Padre Divino che non ebbe modo di pentirsene.
Orissia era era sempre più vicina e potevamo vedere chiaramente il suo grande deserto che la copriva nella sua interezza tranne che ai due poli. Non lo vedevamo dallo spazio ma sapevamo che il nord conteneva una fascia di territorio perfettamente abitabile e dotata di un grande mare da cui partiva una rete di fiumi, laghi e mari sotterranei che attraversavano l'intero pianeta collegandolo con il sud. Per questo si diceva che l'acqua era il sangue di Orissia.
Su quella fertile regione, a nord, si trovava la grande città di Chetrala e in essa il Surif, o Palazzo Arancione, dove abitavano il Vasilus e la sua famiglia.
Usammo uno degli incrociatori più grandi per portare giù le oltre duecento persone che componevano i passeggeri della Saulus, tra Roviani e Orissiani. Vidi chiaramente che Chetrala aveva una pianta ottagonale perfetta, Sibilla mi aveva descritto la divisione della città in tre aree; la prima, più esterna, preposta ad ospitare le industrie, i porti e le abitazioni dei cittadini comuni, la seconda area ospitava i ministeri, gli uffici amministrativi, le abitazioni dei cittadini più altolocati e dei funzionari che componevano la Corte Reale, o Skarlaktos, l'organo di governo del Gran Reame presieduto dal Vasilus, oltre al Tempio Purpureo e gli altri luoghi di culto. La terza area, la più interna, era il Surif, il grande complesso di giardini, torri, bastioni e le immense sale che erano il centro del Gran Reame da millenni.
Il Palazzo Arancione non era niente paragonato alle dimensioni e alla magnificenza del Palazzo Centrale, ma era comunque una costruzione di cui parlare con entusiasmo.
Atterrammo su una delle piattaforme poste difronte ad uno degli ingressi, perfetto per ospitare la navicella.
Ad attenderci un grande reggimento di Diecimila con le loro alte alabarde e gli splendidi elmi, sbatterono le armi a terra cinque volte facendo un chiaro saluto ai membri della famiglia dei Lyriani, in quel momento Gerus e Sibilla.
Appena scesi ci accorgemmo che alcune alabarde si muovevano, qualcuno camminava tra i soldati che con una precisione incredibile lasciavano spazio e si ricompattavano. Vedemmo che c'era un vessillo che cominciava a distinguersi tra le alabarde. Sibilla ebbe un fremito: aveva riconosciuto il sigillo della regina Olira, la prima moglie del Re dei Re di Orissia.
Quando la prima fila di soldati si scansò ecco che apparve una donna alta e magra, con i capelli corvini sciolti intorno alle spalle, un abito bianco e verde ornato con simboli argentei che mostravano il suo rango di sovrana e madre degli eredi al trono.
La sua mente mi diceva che era molto strategica, attaccata ai doveri del suo ruolo ed estremamente felice di rivedere quella nipote che per lei era come una figlia.
Un inchino e poi Sibilla fece un passo avanti e iniziò a parlare nella sua lingua.
"Saluto con rispetto e devozione l'eccellentissima maestà della regina, chiedendo umilmente il permesso di entrare nella casa dei sovrani che qui governano le nazioni di tutte le stelle che il nostro mondo ammira nei suoi celi" disse.
La regina fece un cenno e un sorriso.
"È una gioia il tuo ritorno dolce Sibilla, il mio amato sposo ti concede con gioia il ritorno nelle dimore dei sovrani che tu hai il diritto di abitare- disse la regina allungando le mani porgendo le mani a Sibilla che subito le prese con devota prudenza- bentornata a casa figlia mia!"
"È bello rivederti dolce madre" rispose Sibilla.
La regina passò poi lo sguardo su di me; prontamente feci il mio saluto.
"Nobilissima regina- dissi- è un grande onore essere alla presenza della vostra eccellentissima maestà e poter ammirare finalmente la grandezza del vostro mondo. Io sono Octopon Vandor Caros Aedifus, Coimperatore di Rovia e vostro amico. Porto i saluti di Sileus, Imperatore di Rovia e amico della casa dei Lyriani- allungai la mano ed Ergesius prontamente mi mise sul palmo un cofanetto preparato appositamente per questa occasione.
"Prego la grande maestà di accettare questo omaggio mandato dal Imperatore per onorare la padrona della casa del Vasilus" dissi porgendo il cofanetto ed ecco un'ancella della regina che subito si fece avanti e prese il cofanetto per poi aprirlo e controllare il contenuto. Appena fu chiaro che tutto era tranquillo la regina prese il cofanetto e ne estrasse l'anello in zaffiro rampicante, un corallo tipico di Ecton preziosissimo ed estremamente costoso. Per questa storia del programma per la pace era costata un patrimonio astronomico.
"Un gioiello davvero meraviglioso, come la cortesia del nostro ospite- disse la regina contemplando il gioiello appena indossato- anche noi abbiamo un dono per te Coimperatore, ma il mio sposo, l'Unico lo mantenga longevo e forte, ci tiene a dartelo di persona. Sappi che sei il benvenuto tu e tutto il tuo seguito."
Mi stava esaminando, pensava a ciò che Sibilla le aveva scritto di me e vedeva che non aveva esagerato. Mi sentii lusingato. Subito dopo fece un saluto a Gerus, formale ma sinceramente rispettosa nei confronti del cognato e sommo sacerdote.
Improvvisamente si voltò e tutti i soldati scattarono sul attenti e si separarono in due file. La regina camminò tra di esse a passo deciso mentre Sibilla si metteva al mio fianco facendomi il cenno di iniziare a camminare. Un modo un po' strano di dare il benvenuto ma sapevo che c'era ben altro a cui mi sarei dovuto abituare.
La sala del trono non era lontana dal luogo dello sbarco, scendemmo una lunga scalinata costellata di affreschi e statue alte quindici metri raffiguranti alcuni grandi Vasili del passato. La regina era in testa alla colonna e tutto il grande corteo che, chissà come, si era formato alle nostre spalle, procedeva seguendo il ritmo dei suoi passi. Arrivati alla fine della scala ci ritrovammo davanti ad una porta immensa che conduceva ad un corridoio da lasciare senza fiato, meno male che ero abituato a quelli del Palazzo Centrale, ma le decorazioni e la bellezza di quel edificio costruito con una pietra arancione che sembrava brillare di un bagliore proprio era davvero impressionante sotto la luce proveniente dalle finestre sul lato destro. Notai qualcosa di curioso alla fine del percorso, prima della porta d'ingresso: una teca contenente un ritratto, una sorta di icona molto antica e conservata per mezzo di una tecnologia di stabilizzazione molecolare.
Quel ritratto raffigurava un uomo forte, dallo sguardo solenne che sembrava fisso su un orizzonte incerto ma che non intaccava la sua sicurezza. Indossava quella che sembrava una divisa militare color zaffiro e portava sul fianco una spada molto simile a quelle delle guardie del Vasilus e di alcune guardie d'onore di diversi Stati vicini e da quella parte del Nucleo. Al polso mostrava uno strano arnese, un antico strumento meccanico per la misura del tempo su cui era riprodotto lo stesso simbolo della sua divisa: un infinito racchiuso in un ottagono, antichi segni usati anche dai Valeriani e che la tribù di Dara esponeva particolarmente. I capelli neri e la barba incorniciavano quel volto forte e solenne, ben visibile malgrado lo stato molto vissuto del antico ritratto. Senza dubbio era stato un grande condottiero, un eroe. Non c'era da sorprendersi che i Lyriani vantassero una discendenza da quel uomo. Sibilla, rimanendo in rispettoso silenzio, mi indicò l'angolo in basso, uno dei più rovinati, dove vidi le prime due lettere del nome: SO.
"Chi è?" chiesi a bassa voce.
"Mio zio mi fece promettere che sarebbe stato lui a raccontartelo" disse rapidamente durante l'apertura della porta.
Entrammo nella sala, quella era la Camera delle Fiamme, in effetti quel simbolo appariva ovunque e sul pavimento era stato posto il sigillo con il nome di Merus, inciso con nei mosaici e nelle mattonelle su cui stavamo camminando. Percepii che Mirus e Leriano erano davvero estasiati da tutto quello che stavano vedendo. Quella sala doveva essere lunga almeno ottocento metri e larga la metà, eravamo entrati da un angolo e quindi fu facile calcolare questa grandezza, non c'era colonnato eppure gli architetti antichi erano riusciti a realizzare un monumento che si reggeva perfettamente senza questo sistema, percepivo che la mente di Mirus era già all'opera per comprendere questo meccanismo e cercare di migliorarlo.
Quello era davvero il cuore del Gran Reame, come la Cappella della Memoria su Rovia, il luogo dove si riunivano i capi del dominio di Orissia.
Sibilla mi invitò a girarmi verso il lato corto e fu allora che vidi..... in verità non so cosa vidi, o almeno non lo capii subito: c'era un altare, con il Simbolo esposto come in una cattedrale, e dei fumi venivano elevati, corteccia di sodome bruciata secondo i riti dello Shazamasi, l'altra fede della Redenzione, e c'era un uomo inginocchiato davanti al Simbolo che pregava con formule e salmi innalzando un piccolo turibolo con i fumi. La sua mente mi diceva che era profondamente immerso nella preghiera e in effetti il Canto della Creazione sembrava assumere una certa ritmicità in sua presenza, in linea con le sue preghiere. Io rimasi fermo, mentre tutte le persone intorno a noi si disponevano e nella sala, come schierati. Sentii che altra gente, molta gente, stava entrando dalle altre entrate della sala, in poco tempo direi che ci fossero almeno duemila persone in quel luogo che si curavano di lasciarci un certo spazio.
L'uomo che pregava si alzò rimanendo voltato verso l'altare, indossava una tunica bianca e aveva i piedi nudi, fece un inchino e si girò verso di noi. Doveva essere avanti negli anni, ma non vecchio, aveva una lunga barba argentea e dei folti capelli dello stesso colore, non il grigio della vecchiaia, erano color argento, un biondo molto forte. I suoi occhi azzurri sembravano stanchi ma avevano uno sguardo penetrante che passò su tutta la folla soffermandosi su Sibilla e su di me. Fece due passi avanti, lentamente. La parete dietro di lui si mosse e chiuse l'altare lasciando un muro con la Fiamma di Orissia che circondava il sigillo del nome di Merus.
L'uomo allargò le braccia: dei servitori vestiti di tuniche nere corsero e cambiarono completamente il suo aspetto: gli misero una tunica e poi un manto color del oro, uno di essi si pose davanti a lui agganciando degli anelli alle trecce in cui era divisa la sua barba, per poi stringergli una cintura ai fianchi e mettergli un medaglione che raffigurava il suo stemma, altri due intanto infilavano degli anelli alle sue mani, tre dita per mano e dei bracciali che chiudevano le maniche. Dopo aver chiuso la tunica e sistemato il mantello i servi si allontanarono e un ultimo allungò un grande vassoio da cui l'uomo appena rivestito di tutti quegli ornamenti prese un lungo bastone, uno scettro che sembrava raffigurare un fiore che sboccia. Dal pavimento emerse qualcosa: delle piastre che andarono a formare un grande trono d'oro con dei cuscini rossi. L'uomo si sedette su di esso e la regina Olira salì la piccola scalinata fino a raggiungere l'uomo che non distoglieva lo sguardo da un punto fisso sopra le nostre teste. Un altro servitore porse alla regina un vassoio su cui era posta una grossa corona composta da piastre di diamantifero dorato che ella prese e, con solennità ed eleganza, appoggiò sulla testa di quel individuo.
Fatto questo la regina Olira si rivolse al pubblico dicendo ad alta voce: "Prostratevi tutti al nobilissimo e potentissimo Vasilus Merus, Re dei Re di Orissia."
"L'UNICO GLI DIA LUNGA VITA E POTENZA!" dissero tutti i presenti ad alta voce mentre si prostravano faccia a terra.
Io e i miei compagni però eravamo ancora in piedi.
"Octopon- sussurrò Sibilla accanto a me roteando la testa e fissandomi dal basso- prostratevi presto!"
"Sibilla- le risposi con lo stesso tono- sai bene che non possiamo!"
"COSA?" gridò la voce di un giovane uomo vestito con un abito di un verde smeraldo che fece il suo ingresso nella sala accanto al trono.
"QUESTI STRANIERI OSANO OFFENDERE IL RE DEI RE E SFIDARLO? MERITANO LA MORTE!"
Un nutrito gruppo di guardie ci puntò contro le alabarde avviando i fucili lec montati su di esse.

Le memorie dell'Imperatore CarosDove le storie prendono vita. Scoprilo ora